Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
Come si può osservare, la questione del tutor aziendale – soprattutto in un contesto di sistema produttivo frammentato e costituito da microaziende – risulta fortemente problematica e difficilmente risolvibile da parte delle singole entità imprenditoriali. Sotto questo profilo, l’indicazione di realizzare un’infrastruttura regionale che non solo realizzi della formazione e orientamento alle imprese, ma che possa mettere a disposizione delle piccole realtà dei tutor aziendali esterni adeguatamente formati (analogamente alla funzione
{p. 56}dei «manager in affitto») potrebbe essere una soluzione che solleva le singole entità aziendali, disponibili all’inserimento, di doversi accollare un onere cui non riescono fare fronte.
Per quanto attiene l’utilizzo dei contributi Anpal previsti per la formazione del tutor aziendale che avrebbero dovuto facilitare l’attivazione di questa figura, di conseguenza a quanto poc’anzi evidenziato, risultano molto poche le imprese che vi hanno fatto affidamento e l’hanno utilizzato. Lo scarso utilizzo è determinato quasi esclusivamente da problematiche legate all’eccessiva burocrazia. Al punto che gli stessi enti si sostituiscono all’impresa nella compilazione delle documentazioni necessarie. Con la conseguenza che si diffonde l’idea che anche quando qualcuno fa richiesta di contributi, alla fine prima di ricevere le risorse promesse deve attendere molto tempo, disincentivando così il suo utilizzo.
Durante i nostri monitoraggi e incontri con le aziende [...] abbiamo fatto presente questa possibilità. Però molti mi hanno risposto che era difficile per loro attingere a questi fondi e la maggioranza ha preferito non attingere, perché bisognava compilare delle domande, c’era della burocrazia, e qualcuno mi ha detto che non lo faceva perché era più complicato aderire. Essendo piccole realtà, tutti fanno affidamento ai loro commercialisti, alcune cose non le fanno loro in proprio (NP1).
Questo è una specie di enigma che dovrebbe risolvere l’Anpal stessa, perché chi ha creduto in questo tipo di misure di sostegno nella maggior parte dei casi è ancora in attesa [...] Bisognerebbe snellire tantissimo questo tipo di attività se vogliamo che sia effettivamente di sostegno a un sistema-paese che riesce a dare delle risposte ad adolescenti e giovani che sono desiderosi di prepararsi al mondo del lavoro. La maggior parte delle aziende che hanno collaborato con noi lo hanno fatto più per buona volontà che per effettivo valore aggiunto, rispetto a quanto promesso. Ci siamo dovuti spesso occupare noi delle pratiche, senza che queste in alcuni casi abbiano avuto ancora esito (SC2).
Un’ulteriore questione correlata alla sperimentazione duale riguarda la presenza in azienda di giovani minori. Per circa la metà degli intervistati (9 casi su 20) ciò ha suscitato alcune difficoltà. Le questioni si pongono soprattutto per {p. 57}alcuni settori lavorativi considerati più pericolosi o a causa degli orari di lavoro, dove la presenza di minori richiede molte cautele.
Le aziende hanno difficoltà soprattutto in certi contesti (ad es. automotive) ad affidare certi compiti o impegni particolari a ragazzi «piccoli». Molte aziende ci dicono che piccoli così non li accettano (NV1).
Soprattutto nei settori come quello della produzione del pane, non è semplice: c’è il problema del lavoro notturno. Quando noi parliamo di minori, in Italia ci sono delle limitazioni che andrebbero in qualche modo superate [...] (SC2).
Ciò non di meno, per le imprese la possibilità di avere un/una giovane all’interno dell’impresa e per un periodo prolungato – come consente il sistema duale – costituisce un’opportunità significativa.
Le imprese pensano che si formi molto meglio un ragazzo minore che un adulto. Quindi, secondo loro è molto importante avere un minore, poterlo formare, poterlo avere ad esempio per tre anni consecutivi. Quindi, abbiamo già esperienze di ragazzi nei percorsi di IeFP che poi permangono nelle aziende. Per loro un minore si coinvolge e cresce in maniera molto più proficua di un adulto già formato. Ci chiedono certo una serie di tutele, ad esempio le visite col medico del lavoro, i genitori firmano i progetti formativi [...] coscienti che sono minori (SM1).
L’altra metà circa (11 casi su 20) degli intervistati non ha rilevato difficoltà particolari, poiché si tratta di esperienze già praticate in passato.
Come in precedenza, alla fine abbiamo chiesto di fare un bilancio nei confronti del rapporto instaurato dagli enti con le imprese. E come più sopra, al di là della valutazione largamente positiva dell’esperienza, è qui utile evidenziare gli aspetti di criticità per avviare un miglioramento.
Tali dimensioni possono essere sintetizzate nei seguenti punti.
• Apprendistato di primo livello: pur non essendo semplice da gestire sotto il profilo organizzativo e didattico, {p. 58}tuttavia è una forma di inserimento lavorativo che si vorrebbe maggiormente realizzato e, soprattutto, semplificato sotto il profilo burocratico.
[...] c’è tanto lavoro, però viene fatto per il bene del ragazzo, affinché possa avere un’esperienza di lavoro anche già da indicare sul curriculum. È una carta vincente, un valore aggiunto che di solito piace a ragazzi e famiglie... un po’ meno ai consulenti, perché comunque c’è lavoro. Certamente, anche per l’ente di formazione non è semplice, perché bisogna avere per ogni ragazzo il piano formativo, poi tra l’altro il problema è che le aziende non hanno tutte lo stesso orario, non tutti i ragazzi vanno negli stessi giorni, per cui l’attenzione è veramente al singolo (NP1).
A volte la progettazione e l’idea che hanno le istituzioni è quella di ragionare di aziende grandi [...]. Se c’è meno burocrazia, sono magari anche più disposte a mettersi in gioco, soprattutto le aziende piccole. Se per assumere un apprendista minorenne devo prevedere moltissime attenzioni in più, perché tutta una serie di cose non le può fare perché è minore, allora non lo assumo. Più sono piccole e peggio è, perché diventa un ulteriore aggravio di cui si fa carico normalmente l’imprenditore (NL3).
• Attenzione educativa: ritorna la questione culturale, di come un’impresa e gli imprenditori considerino il lavoro e l’azienda. Talvolta, l’ente di formazione che propone un percorso non solo professionalizzante, ma anche educativo, si scontra con l’impostazione più pragmatica dell’impresa.
Talvolta diventa difficile la condivisione e l’attuazione dei valori soprattutto educativi con l’azienda, dipende molto dalla sensibilità del tutor aziendale [...] segno del fatto che non c’è ancora un contesto produttivo maturo. Di per sé sarebbe tutto positivo, ma ci vorrebbe un altro approccio mentale a questa esperienza (NV1).
All’interno di imprese più piccole e composte solo dal titolare, vengono seguiti, ma allo stesso tempo devono imparare più velocemente a essere autonomi e seguire le impostazioni dell’azienda stessa. Trasmettono le competenze, ma magari non lo fanno con un’attività formativa vera e propria, ma con apprendimento sul luogo di lavoro privo di un’azione didattica che invece dovrebbe essere svolta. Questo dev’essere, poi, corretto dai nostri docenti {p. 59}attraverso laboratori specifici utili per acquisire le competenze che non sono riusciti a interiorizzare all’interno della piccola impresa (NV2).
• Aspettative sul lavoro: in questo caso troviamo due aspetti speculari fra loro. Per un verso, le giovani generazioni manifestano un’aspettativa forte nei confronti del lavoro sotto il profilo realizzativo, ma anche dell’autonomia personale ovvero di essere ripagati del lavoro svolto come se fossero veri e propri lavoratori. Illanguidendo così il significato e la valenza dell’esperienza svolta. Dall’altro lato, le imprese medesime talvolta hanno un’attesa nei confronti dei giovani come se fossero lavoratori a tutti gli effetti, in considerazione del fatto che restano al loro interno per molto tempo.
[...] due estremi: da un lato, un iniziale entusiasmo; dall’altro un raffreddamento [...] I nostri giovani [...] hanno estremamente bisogno di un’occupazione e quindi intendono la formazione professionale veramente come un’occasione imperdibile per trovare un’occupazione; quindi, questa è stata colta in questa misura, i giovani erano molto entusiasti [...]. Per lo stesso motivo paradossalmente però, a un certo punto, c’è stato un raffreddamento dell’entusiasmo, quando hanno purtroppo percepito che a livello retributivo, nel caso di apprendistato, questa retribuzione non gli garantiva un sostentamento, tradotto: soprattutto nel caso del quarto anno, noi abbiamo convinto e orientato gli studenti a frequentare il quarto anno nel sistema duale, però questi sono ragazzi che abbiamo dovuto sottrarre al mondo del lavoro. Quando si sono resi conto che effettivamente era una via di mezzo tra lavoro e studio e quindi la retribuzione non gli garantiva di sostentarsi, allora lì c’è stato un pochino di raffreddamento (SA1).
Proprio in questi ultimi anni i ragazzi faticano un po’ a capire questo e la loro prima riflessione, non di tutti, è che «è quasi uno sfruttamento, perché non mi pagano, mi chiedono di svolgere dei lavori». L’impegno nostro è di aiutarli a comprendere che non li pagano, ma gli insegnano un mestiere [...] Molti a fine triennio, dopo gli esami, tornano nell’azienda dove hanno vissuto l’alternanza negli anni precedenti (NP1).
Si rischia di creare così un mismatch fra le finalità formative e educative dell’inserimento lavorativo duale e le {p. 60}diverse prospettive dei soggetti coinvolti (giovani e imprese) che va preventivamente colmato, al fine di non innescare circuiti perversi.

4.4. Istituzioni

Il ruolo delle istituzioni nell’esperienza duale, almeno per i casi interpellati, non è omogeneo nelle diverse realtà territoriali ed evidenzia una cesura all’interno del paese. Da un lato, vi sono alcune regioni – complice anche un sistema produttivo industriale ben radicato – che hanno assunto con determinazione più o meno accentuata l’innovazione duale, soprattutto nel Nord. È il caso di Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e in buona parte anche Piemonte ed Emilia-Romagna. Ma anche le Marche. Al punto che, l’essere una minoranza delle realtà regionali a livello nazionale, per alcuni mette in luce una percezione di essere frenati nella possibilità di espandere le buone pratiche fin qui sperimentate.
In regione, tutto sommato sì. Il discorso del duale è stato assunto anche a livello dell’ordinamento della IeFP, quindi, da questo punto di vista, non ci sono ostacoli, anzi [...] Direi che l’interiorizzazione e la consapevolezza sono tuttora elevate e crescenti (DL1).
La nostra regione ha spinto tantissimo fin dall’inizio [...] per agevolare il duale, perché comunque parliamo anche di aspetti economico-finanziari: il venir meno di ore d’aula fa decrescere anche il contributo quindi l’attività di tutoraggio viene svolta e viene riconosciuta anche in aggiunta, affinché l’ente possa garantire un servizio che sia quello didatticamente migliore aggiungendo anche questo ulteriore riconoscimento delle ore di tutoraggio in duale individuale sul ragazzo. Quindi, direi che è particolarmente sensibile questa regione su questa tematica, tant’è che l’ha normata e istituzionalizzata (NF1).
Dall’altro lato, in diverse realtà regionali del Centro e del Mezzogiorno la situazione risulta bloccata o, al più, ancora ai primi passi e con difficoltà ad assumere la logica del duale. Sostanzialmente risulta assente un vero e proprio
{p. 61}sistema di IeFP regionale, nonostante le attese e le spinte che gli stessi enti stanno realizzando nei confronti delle rispettive regioni.
Note