Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
Il secondo aspetto, complementare al precedente, richiama la relazione col territorio, la valorizzazione delle reti di
{p. 26}rapporti già instaurati con il sistema produttivo locale e le famiglie. L’introduzione del duale rafforza l’intensità e la continuità della reciprocità degli enti di IeFP verso imprese e famiglie (7 casi su 20), raccogliendone bisogni e istanze.
[...] veniva sempre la richiesta di aumentare il tempo di permanenza dei ragazzi in azienda, ma soprattutto di creare una condizione in cui i ragazzi potessero stare in parte in azienda, in parte a scuola; quindi, sempre di più che ci fosse un rapporto duale tra impresa e azienda, in modo da poter rivedere costantemente le competenze che i ragazzi devono acquisire (SA1).
Sotto questo profilo, la sperimentazione duale fluidifica le relazioni e le comunicazioni fra IeFP e impresa, contaminandole vicendevolmente e realizzando un circuito virtuoso fra competenze professionali da formare e esigenze delle imprese. In questo modo, configurando un sistema che si rimodella progressivamente in modo plastico.
A questi due motivi prevalenti e che accomunano la maggior parte degli interpellati vanno aggiunte altre dimensioni che l’introduzione del duale ha avuto la capacità e ha creato l’opportunità di mettere a frutto.
La possibilità di ottenere risorse economiche da dedicare a questa esperienza di alternanza, per un suo sviluppo ulteriore. Così facendo, si è realizzata una razionalizzazione e implementazione di attività che già erano in corso, aumentandole.
In alcuni casi, si è generata l’occasione di realizzare confronti con i modelli più avanzati del duale in ambito europeo, facendoli diventare ipotesi di riferimento e avvicinando l’esperienza italiana a quella continentale. Anche attivando esperienze di tirocinio in ambito UE per gli studenti italiani.
Attraverso progetti Erasmus dedicati agli allievi, ma soprattutto ai docenti, il tutor formativo insieme ad altri insegnanti hanno avuto la possibilità di viaggiare (Paesi Bassi e Germania) e di osservare e valutare i sistemi duali di altri paesi nord-europei. E quindi poter applicare anche in Italia procedure mai applicate prima (ad es. libretto personale di registrazione delle attività formative ovvero una modalità di registrazione delle attività e di valutazione e autovalutazione) (NL2).{p. 27}
Infine, ma non per importanza, va sottolineato come in alcune realtà siano state le istituzioni regionali a giocare un ruolo decisivo nel sospingere e sostenere gli enti di IeFP ad adottare il duale nei loro percorsi formativi. E forse non è un caso che ciò sia avvenuto dove le realtà di piccola impresa e dei distretti industriali siano particolarmente presenti (come in Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige). Oppure nel Mezzogiorno (Puglia e Sicilia) dove la spinta a una crescita economica del territorio, per un verso, e l’opportunità di canalizzare le risorse verso enti che fattivamente realizzano percorsi di formazione adeguati, dall’altro, hanno rappresentato i motivi principali dell’implementazione del duale.
La regione ci ha indirizzato avendo [il nostro ente] organizzazione, struttura, tutto quello che serve per poterlo fare. A differenza degli altri enti «pirati» che non hanno nulla, non hanno struttura, e l’organizzazione la creano dopo che hanno ottenuto i finanziamenti [...] È stato più un indirizzo regionale, per cui la scelta è stata sostanzialmente obbligata (SS1).
Ma la decisione di avviare la sperimentazione duale e le idee da cui è nata all’interno degli enti di IeFP deriva prevalentemente da una riflessione del corpo docente o da suggestioni e sollecitazioni da imprese, famiglie o istituzioni? Possiamo raccogliere le risposte dei testimoni privilegiati attorno a due ambiti preminenti.
Quello prevalente è sicuramente quello «esterno» (14 casi su 20) che si compone, a sua volta, delle seguenti declinazioni:
– istanze delle imprese: diventa essenziale, per una maggiore aderenza della formazione alle richieste del mercato del lavoro, avvicinarsi al mondo delle imprese. Un avvicinamento fatto di affiancamento, di partnership non subalterna, ma costruendo congiuntamente i percorsi formativi. In alcuni casi portando anche gli imprenditori in cattedra. Ciò risponde alla necessità di consentire, in particolare ai giovani più fragili, una collocazione adeguata all’interno del mondo del lavoro e, più in generale, alla riuscita personale e sociale delle giovani generazioni. Il rapporto col territorio, {p. 28}tuttavia, non si ferma alle relazioni con le imprese. Poiché è sempre necessario avviare progettualità di sistema, alcuni enti hanno sviluppato relazioni progettuali con assistenti sociali, educatori, commercialisti, consulenti del lavoro. In alcuni casi, anche con organizzazioni di categoria. In altri termini, la costruzione di reti di relazione spazia in un raggio più ampio rispetto all’esclusiva realtà imprenditoriale;
– sollecitazione delle istituzioni: anche le relazioni con le istituzioni regionali costituiscono un fattore che ha spinto a intraprendere percorsi innovativi sotto il profilo della formazione, benché ciò costituisca un patrimonio condiviso soprattutto dalle realtà regionali del Nord Italia;
– rapporto con le famiglie: più o meno tutti gli enti interpellati citano le famiglie dei/delle giovani studenti/esse come un soggetto centrale con cui confrontarsi e stabilire un contratto formativo positivo per gli/le alluni/e, benché evidenziato in modo esplicito da pochi fra gli interpellati.
La seconda dimensione, meno evidenziata, è quella «interna» (6 casi su 20) ovvero del corpo docente. Non mancano i casi in cui l’innovazione abbia preso le mosse dagli stessi docenti e formatori degli enti di IeFP, sollecitati dalle relazioni col sistema produttivo, anzi è in virtù di queste che si è sviluppato un circuito virtuoso fra enti di formazione e imprese. Grazie alla riflessione di alcuni gruppi di docenti, si sono individuate strade nuove che potessero differenziare e caratterizzare gli enti di IeFP, rispetto agli istituti professionali, individuandone le peculiarità da mettere in luce agli occhi delle giovani generazioni e delle loro famiglie. Di qui, anche la prospettiva di aprirsi alle esperienze e ai confronti con altri sistemi europei per trarre indicazioni utili e innovative.
Ma la sensazione prevalente è che l’introduzione della sperimentazione abbia incontrato qualche resistenza almeno iniziale, com’è plausibile che avvenga in tutte le organizzazioni in cui sono introdotti cambiamenti, anche meno radicali della sperimentazione duale.
[...] da un lato, il corpo docente ha bisogno di interfacciarsi con il mondo delle aziende. È un bisogno che c’è ma che non {p. 29}è sempre sentito (un docente rischia a volte di essere autoreferenziale, questo è il problema che a volte porta al mancato aggiornamento di un docente. Ma il mondo, non solo il mondo del lavoro, sta cambiando: stiamo introducendo l’Industria 4.0, tutto un altro modo di lavorare). Al contempo, le aziende, a volte per avere anche maggior prospettiva sugli investimenti che andranno a fare, hanno bisogno di interfacciarsi con il «materiale umano» che un giorno entrerà in azienda da loro (NE1).
I docenti hanno inizialmente subito questa sperimentazione, quindi l’input è stato prevalentemente esterno, da una proposta regionale e dalla possibilità di ottenere finanziamenti (NV1).
Come sottolineato in precedenza, il duale si innesta in un percorso di sperimentazione già avviato all’interno delle realtà di formazione interpellate. Tali innovazioni hanno trovato un humus favorevole e dato una spinta propulsiva all’avvio di nuovi percorsi nella formazione all’insegna del duale. Rispetto agli ambiti individuati, secondo l’opinione dei testimoni privilegiati, ad avere avuto il peso maggiore risultano essere soprattutto il rapporto con le imprese e, in seconda battuta, la spinta e il sostegno proveniente alle istituzioni regionali. Quindi, in definitiva, la propulsione a realizzare innovazioni ha avuto origine soprattutto su pressioni provenienti dall’ambiente esterno degli enti di IeFP, piuttosto che dall’interno. Benché abbia trovato, negli enti, un terreno fertile e pronto ad accogliere le sollecitazioni.

3. L’esperienza duale: esplorare oltre i «confini» per «ricomporre» i saperi

L’esperienza duale introduce un elemento dirompente nella tradizione formativa: il superamento della separatezza fra il momento dell’apprendimento teorico e quello pratico, la ricongiunzione fra la dimensione intellettuale e quella manuale. A pensarci bene, opera una ricomposizione dei saperi che è analoga a quella originaria: da bambini l’apprendimento avviene mediante il «fare», il toccare e giocare con gli oggetti, attraverso pratiche di azione. Conosciamo – e ci sviluppiamo – facendo. È successivamente, e in particolare {p. 30}nel nostro sistema formativo, che avviene progressivamente una scissione fra il sapere pratico e quello teorico.
In altri termini, si può sostenere che il duale opera una vera e propria immersione (e fusione) della formazione nel lavoro e viceversa. Al punto che gli stessi termini come «duale» e «alternanza» non rendono appieno il processo in corso: l’uno termine e l’altro, infatti, prevedono semanticamente l’unione di due momenti distinti, mentre in questo caso abbiamo un oltrepassare il confine usuale in un’ottica di integrazione e reciprocità continua.
Un primo confine che viene rivisitato è quello dei «luoghi» in cui la formazione non si realizza più in «classe» in modo esclusivo, ma anche l’impresa assume una connotazione «educativo-formativa».
[...] [l’esperienza] parte dall’idea di portare il lavoro all’interno della struttura scolastica attraverso un’attività di alternanza già durante il percorso formativo, in modo che i ragazzi abbiano la possibilità di essere inseriti in una situazione sì protetta ma di totale confronto con l’esterno (DP1).
La scuola non è più scuola, ma un luogo di formazione e i rapporti che si instaurano tra allievi e docenti è totalmente stravolto, quando la sperimentazione avviene all’interno della scuola; lo stesso capita quando ci si sposta in azienda, non è più uno stage, ma un vero e proprio lavoro (NT1).
La scuola deve necessariamente collaborare in maniera corresponsabile con le aziende, che non diventano più dei luoghi ospitanti gli stagisti come avviene nei percorsi triennali, ma diventano corresponsabili del percorso di formazione dei ragazzi con progettazione degli obiettivi formativi da raggiungere con piena responsabilità formativa (CL1).
Al punto che gli stessi termini «scuola» e «impresa» dovrebbero essere riformulati perché non identificano più le medesime funzioni e caratteristiche operative, non spiegano più che cosa si fa realmente. E questo aspetto, non secondario, si può riflettere anche nel fatto che quando si propone un «corso di formazione» a un soggetto – giovane o adulto che sia – con un’esperienza scolastica pregressa negativa,
{p. 31}lo porta a rifuggire un’esperienza formativa tradizionale. Presentare l’esperienza di formazione con un altro nome o con una locuzione di maggiore appeal ridurrebbe la propensione a rifuggire occasioni di rientri in percorsi educativi.
Note