Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
In ogni caso, al di là delle dimensioni delle imprese, la logica comune con cui vengono attivate le partnership è prestare attenzione che nei luoghi di lavoro vi sia qualcuno che si prende cura e carico dei/lle giovani che saranno inseriti/e. L’impresa è un luogo educativo se qualcuno al suo interno s’impegna a seguire le persone, se l’impresa crede e investe nelle risorse umane, nella loro crescita, nell’allevare talenti.
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Tab. 2. Settori e dimensioni prevalenti delle imprese con cui gli enti di IeFP sviluppano relazioni
Regione
Settori prevalenti
Dimensioni prevalenti
Piemonte
Alimentare
Microimprese
Lombardia
Florovivaistico
Piccole imprese
Lombardia
Ristorazione, servizi, benessere
Micro/piccole imprese
Liguria
Settore benessere
Microimprese
Trentino-A.A.
Vari
Micro/piccole imprese
Veneto
Ristorazione e tour operator, elettrico, informatica e vendite
Microimprese
Medio/grandi imprese
Veneto
Vari
Micro/piccole imprese
Friuli V.G.
Turistico-alberghiero, acconciatore, meccanica, artigiano digitale
Piccole imprese
Emilia-Rom.
Meccanica, automazione (packaging), stampaggi plastica
Prevalentemente piccole, ma anche qualche grande impresa
Emilia-Rom.
Settore benessere
Microimprese
Toscana
Settore meccanico-robotica, falegname, ristorazione, acconciatore
Piccole imprese
Marche
Calzaturiero, termoidraulica, meccanica, metalmeccanico
Medio/piccole imprese
Lazio
Ristorazione, grafica, automotive, meccanica, elettronica, benessere
Microimprese
Lazio
Vari
Micro/piccole imprese
Abruzzo
Elettrico, meccanica
Microimprese
Molise
Meccanico e parrucchieri
Micro/piccole imprese
Campania
Moda
Prevalentemente microimprese, poche grandi
Puglia
Ristorazione, alberghiero
Micro/piccole imprese
Calabria
Acconciatori, ristorazione
Micro/piccole imprese
Sicilia
Industria
Micro/piccole imprese
 
 
 
Ciò richiede che fra ente di formazione e impresa vi sia un riconoscimento reciproco, dove sono individuate le specificità di ciascun attore e poste in integrazione fra loro attraverso un confronto. Si stabilisce una sorta di «patto formativo».
Si cerca molto la condivisione, la presentazione del percorso alle aziende si focalizza molto sulla necessità di curare anche la parte educativa, di crescita e sviluppo (NV1).{p. 52}
Viene redatto un patto insieme dove si vede questo aspetto: l’azienda capisce il ruolo che ha, che non è di avere un ragazzo che ti lavora lì sottocosto, ma di un patto tra il ragazzo che può lavorare e che ha diritto di ottenere una formazione professionale e l’azienda che veste un ruolo diverso, che è anche quello di essere formatrice e ha un ruolo educativo sul ragazzo stesso (NF1).
Le aziende che collaborano [...] sono aziende che per definizione condividono la missione educativa e formativa (SA1).
Questi aspetti trovano una declinazione concreta mediante alcune azioni: a) la condivisione del percorso formativo fra docenti e impresa; b) la creazione di gruppi di lavoro con le «imprese madrine», dove strutturare i percorsi; c) in alcuni casi, sono gli esponenti delle imprese che ospiteranno gli/le allievi/e a essere invitati a partecipare ai collegi docenti, in questo modo cercando di condividere linguaggi, codici e obiettivi formativi.
Per quello che riguarda le modalità di valutazione dell’operato dei/lle giovani inseriti nelle imprese, la quasi totalità degli interpellati dichiara di avere supportato l’azienda nella definizione dei criteri da utilizzare (18 casi su 20). Il ruolo del tutor formativo anche in questa specifica attività torna a essere centrale. Più spesso è a questa figura che viene delegata l’operazione di confrontarsi con l’azienda o col tutor aziendale nel definire gli obiettivi, le competenze e i criteri di valutazione dell’azienda, mediante schede analitiche. Si tratta di una fase delicata, poiché i linguaggi e i codici sono diversi; quindi, si tratta di realizzare anche un’opera di traduzione e mediazione.
Prima bisogna spiegare il modello all’azienda, e non è così facile perché solo leggere lo sviluppo delle competenze non è così immediato [...] anche perché ne va poi della valutazione finale del ragazzo. Viene quindi spiegato all’inizio e alla fine del periodo dell’alternanza e si fa insieme, si cerca di capire quale valutazione ha dato e per che motivo [...]. La valutazione dell’azienda poi insieme a tutto viene condivisa per capire bene (NF1).
Anche la creazione degli schemi di valutazione segue percorsi diversificati. In alcuni casi sono gli enti che for{p. 53}niscono alle aziende le schede di valutazione, in altri vengono definite congiuntamente alle imprese. In altri ancora si verificano situazioni più strutturate e complesse dove la definizione degli strumenti viene definita con gruppi di lavoro creati a tal fine.
La regione ha creato dei gruppi di lavoro, costituiti da formatori di vari settori, seguiti da Anpal servizi, per costruire gli strumenti di valutazione, che sono andati a costruire dei compiti operativi, competenza per competenza da far valutare alle aziende durante il percorso [...]. Un lavoro di costruzione di compiti operativi per ogni settore di competenza [...] circa una volta al mese/ogni tre settimane, in cui si vanno a definire i compiti che sono stati realizzati e che si dovranno realizzare e i criteri di valutazione dell’allievo rispetto a questi compiti [...] Il tutor formativo va presso l’azienda con una scheda associata a ogni competenza e un elenco di compiti operativi e al tutor aziendale chiede se è stato sviluppato quel compito e viene valutato su 4 livelli (0, 1, 2, 3) e poi dalla media di quello che è emerso viene assegnato il punteggio 0-100 (NV1).
Inoltre, appena gli/le allievi/e arrivano all’interno dell’azienda, insieme ad essa svolgono un’attività di «creazione del piano formativo» ovvero che cosa andranno a fare durante il periodo all’interno dell’azienda. Questo permette al tutor, attraverso il piano formativo e la descrizione delle attività giornaliere, di verificare la coerenza tra le attività e gli obiettivi formativi. Gli/le allievi/e sono dotati di un «libretto personale di registrazione delle attività formative» dove giornalmente registrano le attività che svolgono. Ogni settimana il tutor valuta quello che gli allievi hanno descritto. Dopodiché esprime una propria valutazione oggettiva del periodo.
Infine, abbiamo chiesto agli intervistati di fare una valutazione complessiva dell’esperienza con le aziende. Anche in questo caso, non mancano alcune criticità emerse dall’esperienza duale e legate a due aspetti prevalenti: da un lato, piccola dimensione significa anche minor personale disponibile interno all’azienda a seguire la presenza di un/una allievo/a, perché tutti impegnati nella realizzazione del {p. 54}prodotto o del servizio. Dall’altro lato, ritorna la questione culturale: frequentemente i titolari delle microimprese sono scarsamente scolarizzati e presentano una visione del lavoro dove la dimensione formativo-educativa non è centrale ai loro occhi.
C’è la necessità di far crescere le aziende: c’è quindi un terzo soggetto che entra nel ruolo di formatore molto più spinto [...] c’è una riprogettazione completa, perché è una filosofia diversa [...] non parliamo di uno stage più lungo, ma di una formazione diversa (NF1).
Ci sono parrucchieri ed estetiste che non hanno mai studiato, hanno sempre e solo lavorato. Quindi, è più difficile far capire loro quale ruolo possono ricoprire per la formazione (NL3).
Diversa è la prospettiva per quelle – poche – che hanno potuto creare partnership con imprese più strutturate, dove la funzione «gestione del personale» è sviluppata e la formazione dei collaboratori viene sviluppata costantemente.
Sicuramente le aziende più serie e più strutturate hanno fatto un passo in più, organizzandosi per fungere anche da luogo formativo, puntando sul tutor aziendale che diventa punto di riferimento con un’assegnazione di responsabilità seria e concreta. Cosa che talvolta in aziende più piccole e meno strutturate non si è verificato (CM1).
Torna così la centralità del ruolo del tutor, sia quello formativo che aziendale. Perché è dal dialogo e dal confronto fra questi due relè organizzativi che si può costruire un ponte fra ente di formazione e azienda.
Il tutor aziendale e scolastico sono due figure che si parlano, che si incontrano, che condividono gli obiettivi del percorso formativo, che stabiliscono insieme quali sono le tempistiche di ingresso del ragazzo in azienda, quali sono gli obiettivi del processo di apprendimento, cosa deve imparare il ragazzo e i tempi (NP1).
Tuttavia, se solo in 2 casi viene dichiarato che le aziende non avrebbero messo a disposizione alcuna persona a seguire {p. 55}gli inserimenti lavorativi, nella maggioranza degli interpellati (13 casi su 20) si tratta di un anello debole della catena formativa. Detto altrimenti, la presenza del tutor aziendale c’è, ma perlopiù si tratta di presenze poco strutturate, con cui non sempre il dialogo e le relazioni sono stabili. Al punto che anche l’attività formativa nei loro riguardi è più spesso estemporanea e informale, raramente articolata.
Avevamo fatto un tentativo di coinvolgere i tutor aziendali in un percorso di formazione: la Camera di commercio tedesca aveva proposto tramite la regione [...] un percorso che prevedeva una mezza giornata di formazione. Abbiamo fatto fatica a recuperare due tutor per ente [...]. Quindi, la formazione è stata fatta in modo informale, vis a vis tra tutor formativo e tutor aziendale in modo contestualizzato alla richiesta. Ricordo che i tedeschi ci guardavano con due occhi sgranati, perché per loro questo è un aspetto quasi scontato, mentre per noi è ancora un passo da fare, al momento complesso per il contesto italiano (NV1).
Ci sono stati dei momenti di confronto, però un’azione sistematica di formazione al tutor aziendale non mi risulta che sia stata mai messa in atto [...]. Da un lato, per l’azienda è un problema staccare una persona dal lavoro per mandarla a fare la formazione; dall’altro, giustamente il dipendente quando sono le 17 vorrebbe andare a casa. Quindi, fare un corso alla sera dalle 17 alle 19 diventa complicato (NE1).
Però quest’azione di formazione e orientamento alle imprese è molto fragile, cioè non esiste. Quindi, noi ci impegniamo a dare al tutor aziendale e al datore di lavoro tutte le informazioni che servono, ma non esiste un’infrastruttura regionale che faccia orientamento anche al mondo del lavoro su questo. Non esiste (CT1).
Come si può osservare, la questione del tutor aziendale – soprattutto in un contesto di sistema produttivo frammentato e costituito da microaziende – risulta fortemente problematica e difficilmente risolvibile da parte delle singole entità imprenditoriali. Sotto questo profilo, l’indicazione di realizzare un’infrastruttura regionale che non solo realizzi della formazione e orientamento alle imprese, ma che possa mettere a disposizione delle piccole realtà dei tutor aziendali esterni adeguatamente formati (analogamente alla funzione
{p. 56}dei «manager in affitto») potrebbe essere una soluzione che solleva le singole entità aziendali, disponibili all’inserimento, di doversi accollare un onere cui non riescono fare fronte.
Note