Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1
Di più, è lo stesso mondo degli enti di formazione professionale a presentarsi frastagliato, (dis)articolato. E così si percepisce e si autorappresenta. È sufficiente rinviare, in parte, all’idea e alla visione di formazione professionale che non appare da tutti partecipata alla medesima maniera. Fino alla scarsa condivisione di progettualità, di scambio di esperienze, di messa in comune di buone pratiche. Talvolta, frutto di gelosie, di temere la concorrenza di altri enti, per spirito di sopravvivenza: basti rinviare alle disparità di realizzazione in merito alle attività di orientamento, di rilevazione dei
{p. 21}fabbisogni professionali, così come un’assenza di strategia di comunicazione all’esterno. In sintesi, si registra un brulicare di iniziative, un’effervescenza di idee e di progetti, ma che non riescono a elevarsi a sistema, a generare un vero e proprio organismo della formazione professionale nazionale.
Il secondo ambito riguarda la dimensione formativa. La metamorfosi di cui abbiamo dato evidenza, lascia aperti anche una serie di interrogativi più squisitamente dedicati al fronte della didattica. Come già osservato, il momento formativo si fonde in quello lavorativo. Ma fino a che punto la dimensione educativa (scolastica) si può innestare – ed è opportuno lo faccia – in quella professionale (impresa)? Fino a dove l’identità scolastica si deve congiungere con quella imprenditoriale, senza perdere la propria specificità e autonomia? Sono interrogativi aperti che forse non avranno una risposta univoca, ma richiedono una capacità di equilibrio mobile.
Così pure per quanto riguarda la valutazione delle competenze, soprattutto in modo congiunto fra scuola e impresa che, per il momento, è rappresentato da una sommatoria di valutazioni, più che da un’unione. E altrettanto vale per la misurazione delle soft skills, rispetto alle hard skills: anche questo è un territorio ancora in buona misura da esplorare.
Ancora, l’esperienza del duale non si attaglia a tutti i/le ragazzi/e. Un orientamento efficace potrebbe aiutare le giovani generazioni a intraprendere i percorsi più idonei. Ma anche una maggiore flessibilità fra i due canali (tradizionale e duale), sia in entrata che in uscita, faciliterebbe la possibilità dei/lle ragazzi/e di sperimentare una diversa idea del «fallimento» scolastico.
Infine, si pone un tema di prospettiva. Talvolta, la scelta di iscriversi a un percorso di IeFP è bloccata dall’impossibilità di prefigurare un percorso che possa avere anche uno sbocco presso un Istituto tecnico superiore (ITS), un’Istruzione e formazione tecnica superiore (IFTS) o l’Università, se non passando dalla conquista di un diploma superiore. Come procedere nell’aprire un canale che dalla IeFP, passando a ITS e IFTS, possa consentire agli/lle allievi/e che lo desiderano un approdo all’istruzione universitaria? {p. 22}Qualche progetto si sta avviando su questi aspetti, ma sono ancora i prodromi, sperimentazioni. Il terzo ambito, collegato al precedente, riguarda l’organizzazione degli enti. La sperimentazione duale genera riverberi sul piano della strutturazione degli enti di IeFP. Sotto questo profilo, gli interpellati mettono in luce alcune opportunità. In primo luogo, la possibilità – in relazione alla possibilità di disporre di maggiori risorse economiche – di realizzare investimenti in nuovi macchinari e, in particolare, nelle strumentazioni digitali, sempre più presenti nel mondo del lavoro. In secondo luogo, l’apprendistato di primo livello appare poco noto e poco appetibile per le imprese, in virtù anche delle molteplici declinazioni strumentali di questa tipologia contrattuale [11]
che rischia di disorientare le aziende. Servirebbe una maggiore azione nella semplificazione e nell’informazione dell’utilità e bontà di questo strumento per l’inserimento lavorativo. In terzo luogo, non sempre le imprese hanno consapevolezza del loro ruolo educativo.
Sotto questo profilo sarebbe utile attribuire un riconoscimento particolare a quelle che realizzano percorsi virtuosi di accoglienza e inserimento lavorativo, così da farle diventare buone pratiche e diffondere comportamenti emulativi. Infine, ma non per importanza, la pandemia ha posto un ulteriore aspetto di frontiera che riguarda i nuovi «luoghi» della formazione: FAD, e-learning, alfabetizzazione digitale. Non si tratta, in realtà, di temi nuovi, ma la situazione di blocco totale (lockdown) anche delle attività formative, le ha poste in primo piano per la prosecuzione della didattica, obbligando i docenti a vere e proprie conversioni della propria azione didattica. Anche questo versante diventa un ulteriore banco di prova che sfida l’insegnamento e l’organizzazione degli enti.
Il quarto ambito è relativo a un tema dalle radici antiche: la burocrazia, tema che da troppo tempo si trascina ed è pervasiva nella vita sociale. Anche nel caso degli enti di IeFP e della sperimentazione duale questa dimensione {p. 23}interviene irrigidendo i processi di innovazione. Non è soltanto determinato dall’eccesso di carte da sbrigare, che tolgono tempo e risorse all’azione formativa. E talvolta sono gli stessi enti che si fanno carico di sbrigare quelle delle piccole imprese con cui sviluppano partnership. Ma l’eccesso di norme, come sempre, produce asimmetrie, disomogeneità e paradossi, come nel caso emblematico del contrasto fra l’inserimento di minori in azienda (nelle sue diverse forme) e l’obbligo formativo necessario per poter accedere al lavoro, piuttosto che le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Il duale costituisce una sperimentazione che non può essere incanalata e ingessata entro obiettivi e criteri tipici delle dinamiche formative tradizionali, così come talvolta accade nelle normative regionali. Mancano criteri e indicatori declinabili con la nuova sperimentazione, soprattutto secondo le metriche delle istituzioni regionali. Ciò è frutto ancora della prevalenza del rapporto docente/discente tipico della situazione classe, mentre nell’apprendimento sul lavoro le condizioni diventano altre e difficilmente traducibili negli schemi canonici richiesti dalla burocrazia.
Al termine, se gli «enti» di formazione, sulla spinta della sperimentazione duale, si trasformano in «agenti», allora sarebbe utile mutare anche la categoria del «duale» che – come già evidenziato – indica due momenti complementari, ma distinti fra loro. Qui siamo di fronte a una forma nuova della didattica e dell’apprendimento, dove il momento formativo si fonde con quello lavorativo. Allora, si potrebbe definire questa modalità come «Sistema For.Lav.», in una crasi di formazione e lavoro.

2. Il sistema duale: una transizione «senza fratture»

La prima parte dell’intervista ha inteso ricostruire i motivi e i fattori che hanno spinto gli enti a sperimentare il sistema duale. L’elemento principale che emerge dalle interviste è che si sia trattato, in realtà, di una naturale evoluzione rispetto a una serie di attività e modalità formative che questi enti avevano già iniziato a sperimentare in un {p. 24}recente passato. Seppure con esperienze e sistemi diversi, tuttavia l’adesione alla sperimentazione duale è avvenuta «senza fratture» [12]
rispetto al flusso nel quale gli enti di IeFP s’erano già incamminati. In qualche modo, si potrebbe sostenere che la sperimentazione duale ha realizzato una sorta di sistematizzazione di quanto già stava accadendo, indirizzandola e offrendo una cornice istituzionale alle singole esperienze in corso.
Per noi è una naturale evoluzione di quello che era il nostro approccio alla formazione professionale, nel senso che non c’è nulla di diverso da quello che stavamo già facendo precedentemente. Diciamo che l’aspetto della sperimentazione duale è servito da un lato (da un punto di vista delle risorse che ha messo a disposizione) a poter avere maggiori risorse a disposizione per incrementare e sviluppare quello che già in parte si faceva e, dall’altro, è servito anche a rimettere a fuoco alcune situazioni che per noi in parte erano già avviate, però hanno avuto uno sviluppo ulteriore in seguito a questo ragionamento sul duale (DL1).
Una conferma che l’introduzione del duale abbia permesso di strutturare e razionalizzare maggiormente esperienze già maturate antecedentemente è data dalle motivazioni sulla scorta delle quali gli enti di IeFP hanno adottato la sperimentazione.
In prevalenza, i testimoni interpellati sottolineano due aspetti prevalenti. Il primo è relativo alla dimensione didattica (7 casi su 20), alla necessità di dare continuità e compimento a un’azione formativa e di crescita della persona sviluppata lungo il triennio. Grazie al duale si è dato compimento al IV anno di istruzione delle giovani generazioni poiché:
[...] avevamo la possibilità di dare ai ragazzi l’opportunità di raggiungere il diploma di qualifica. Quindi è stata una motivazione didattica, educativa e formativa per dare una completezza di percorso ai nostri ragazzi (SA1).{p. 25}
Per certi versi, la sperimentazione introdotta offre una sponda alla necessità di affermazione e legittimazione di un universo formativo più spesso considerato marginale, di serie B, poco noto al grande pubblico. Come se la «vera» istruzione avvenga esclusivamente entro i canali pubblici, presso i licei o gli istituti tecnici. Mentre al settore privato e regionale sia destinato un ruolo ancillare nel sistema formativo nazionale. Ciò nonostante, il duale apre una breccia nella riflessione se gli assetti pedagogici e didattici attualmente vigenti nell’istruzione pubblica siano tuttora validi rispetto all’avvento della cosiddetta Quarta rivoluzione industriale e dei processi di digitalizzazione che stanno stravolgendo il mondo del lavoro e le organizzazioni produttive [13]
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Il nodo è vedere se l’impostazione pedagogica e didattica del 90% della scuola italiana sia ancora valida in una società in cui l’obbiettivo è ormai la formazione, non solo pedagogica dell’individuo, ma anche di natura professionale, immaginando che lo sviluppo delle competenze professionali diventi sempre più complesso (NL2).
Di più, qualcuno si spinge a sottolineare come si intraveda in questa nuova forma educativa anche una dimensione etica nel senso di una visione nuova e più compiuta tanto delle politiche attive, quanto per favorire la costruzione di una dimensione di più effettiva «cittadinanza» delle giovani generazioni.
[Il duale è] un motivo etico rispetto allo sviluppo delle forme di politica attiva del lavoro e di formazione che servono per l’integrazione lavorativa dei giovani (CT2).
Il secondo aspetto, complementare al precedente, richiama la relazione col territorio, la valorizzazione delle reti di
{p. 26}rapporti già instaurati con il sistema produttivo locale e le famiglie. L’introduzione del duale rafforza l’intensità e la continuità della reciprocità degli enti di IeFP verso imprese e famiglie (7 casi su 20), raccogliendone bisogni e istanze.
Note
[12] Mutuo questa definizione dall’analisi, su altri versanti, di G. Fuà e C. Zacchia (a cura di), Industrializzazione senza fratture, Bologna, Il Mulino, 1984.
[13] Per una riflessione su questi temi rinviamo a Marini, Fuori classe. Dal movimento operaio ai lavoratori imprenditivi della Quarta rivoluzione industriale, cit.; A. Magone e T. Mazali (a cura di), Il lavoro che serve. Persone nell’industria 4.0, Milano, Guerini, 2018; Marini e Setiffi (a cura di), Una grammatica della digitalizzazione. Interpretare la metamorfosi di società, economia e organizzazioni, cit.