Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c1

Capitolo primo Gli enti di IeFP e la valutazione sull’esperienza del duale: una tripla «A»
di Daniele Marini

Notizie Autori
Daniele Marini è professore di Sociologia dei processi economici all’Università di Padova.
Abstract
Il capitolo si propone di interrogarsi in merito all’efficacia dei sistemi di istruzione e formazione professionale e riguardo ai modi con cui tali forme sperimentali duali di educazione possano rinnovare il tradizionale modo di intendere la dimensione dell’insegnamento e dell’apprendimento, giungendo in tal modo ad un superamento del dualismo che tende a separare la dimensione educativa da quella professionale. A partire dall’analisi di ventiquattro interviste rivolte ad alcuni responsabili di enti IeFP si tenta qui di delineare le caratteristiche comuni nel loro operato, quali le finalità, gli specifici approcci, le differenze rispetto ai normali percorsi formativi, la distribuzione sul territorio nazionale, i piani didattici, le resistenze esterne, il ruolo delle istituzioni, la tipologia di clientela e i rapporti con le aziende finalizzati all’integrazione in ambito lavorativo. Tali valutazioni risultano estremamente utili per comprendere le possibili aree di intervento su cui focalizzarsi per implementare le potenzialità offerte dagli enti di IeFP.

1. Un contesto in trasformazione

Stiamo attraversando una fase di trasformazioni profonde, per certi versi paradigmatiche, che l’attuale crisi determinata dalla pandemia ha esaltato ulteriormente, ma le cui radici risiedono più indietro nel tempo. Proviamo, sinteticamente e per punti, a considerare alcuni fra gli aspetti più rilevanti che attengono alla formazione delle persone.
Il sistema produttivo e gli ambiti della competizione, l’apertura dei mercati, l’organizzazione delle imprese che si collocano in misura crescente in un sistema di filiera, stanno producendo nuove geografie dello sviluppo, nuovi assetti geo-economici su scala globale, ridefinendo anche i mercati e la divisione del lavoro nel mondo.
La diffusione delle nuove tecnologie digitali, che travalicano l’ambito lavorativo e permeano le nostre esistenze, genera la crescita – soprattutto nelle nuove generazioni, ma non solo – di schemi cognitivi nuovi, molto diversi dai precedenti, mutando radicalmente il modo di apprendere e le rappresentazioni sociali [1]
.
Nel rapporto fra mondo del lavoro e dell’istruzione/formazione sembra allargarsi la forbice fra le richieste di figure professionali sempre più preparate e articolate, oltre che alla loro progressiva trasformazione, da un lato; e, dall’altro, un’attività formativa/didattica che richiede tempo per svolgersi e fare acquisire le conoscenze/abilità/competenze {p. 12}necessarie. Quindi, la forbice velocità (della domanda delle imprese) vs tempo (educativo) si amplia.
Nel contempo, assistiamo anche a trasformazioni culturali profonde, e non solo nell’ambito lavorativo. Il venire meno delle grandi narrazioni ideologiche non è stato sostituito da nuove narrazioni generali, ma ha lasciato spazio all’emergere delle soggettività che però non garantiscono la costruzione di comuni punti di riferimento, nuovi orizzonti di valore largamente condivisi.
Le stesse culture del lavoro, in particolare fra le giovani generazioni, presentano caratteristiche che le differenziano rispetto alle generazioni precedenti, mettendo l’accento in particolare sulle dimensioni della soggettività, dell’autorealizzazione, dell’imprenditività. In altri termini, l’idea del lavoro si prefigura come un «percorso di carriera», meno legata al «posto fisico» e più sul «soggetto» in relazione con l’impresa [2]
. Inoltre, in questa fase storica, pare essere di fronte – per molte professioni – a una sorta di «ricomposizione» del lavoro. Come se si stessero incrociando due fenomeni: da un lato, l’attesa da parte dei soggetti di sperimentare maggiore autonomia e responsabilità sul lavoro, la ricerca di elementi espressivi e di gratificazione; dall’altro, l’introduzione delle tecnologie digitali che consente flessibilità e autonomia decisionale per chi opera con questi mezzi. Al punto che si potrebbe parlare dell’avvento di un «umanesimo tecnologico» [3]
dove le dimensioni della persona e della tecnologia trovano un nuovo e diverso equilibrio.
Se in precedenza il fordismo e il taylorismo avevano parcellizzato e frammentato il sapere e le mansioni, con l’obiettivo di dare maggiore conoscenza specifica e funzionalità operativa, le nuove tecnologie digitali sembrano offrire l’opportunità di una ricomposizione malleabile delle conoscenze e delle professioni. Non è, sia chiaro, un «ritorno» al mestiere artigiano, a quelle mansioni tipiche {p. 13}dove un lavoratore e un maestro seguivano l’intero processo della produzione. Tuttavia, l’obiettivo è similare a quel tipo di esperienza: alla realizzazione di un lavoro «fatto bene», a regola d’arte [4]
. Dove il lavoratore è reso partecipe delle diverse fasi produttive, dove viene a conoscenza delle differenti parti del modo di produrre, pur non dovendole eseguire tutte. In questo senso, possiamo comprendere come le competenze trasversali costituiscano l’ossatura principale delle richieste del mondo del lavoro [5]
. Tant’è che nelle imprese più avvedute esistono programmi di introduzione e socializzazione (induction) per i nuovi arrivati, in cui il neoassunto viene reso partecipe dell’intera impresa. Oppure l’utilizzo della rotazione delle mansioni (job rotation), così che il lavoratore possa conoscere in modo più pertinente il processo lavorativo.
Anche solo rinviando a queste sintetiche considerazioni possiamo comprendere come gli enti di Istruzione e Formazione Professionale (IeFP) si muovano in un contesto che non attraversa semplicemente un passaggio congiunturale, bensì di trasformazione di un insieme di paradigmi che coinvolgono anche il mondo della formazione e dell’istruzione. Di scrittura di una nuova «grammatica» della formazione [6]
.
A partire da queste considerazioni ci vogliamo interrogare se il sistema e le modalità di formazione tradizionali dell’IeFP mantengano ancora la loro efficacia. Oppure, non {p. 14}sia necessario avviare innovazioni nel modo di insegnare ed educare, alla luce anche di diversi approcci teorici.
Com’è noto, alcuni enti di IeFP già da tempo avevano avviato forme educative e formative sperimentali, innovative, a partire anche dalla sperimentazione duale del 2016, ispirata dall’allora sottosegretario al Lavoro Luigi Bobba [7]
, oggi divenuta strutturale.
L’obiettivo di questa ricerca esplorativa è cercare di individuare alcune linee comuni di tali esperienze formative. Non con l’idea di determinare un «modello» (operazione impossibile data la diversità di esperienze, storie e territori) cui ispirarsi, ma proporre delle linee guida da proporre ai diversi enti di IeFP così da poter trarre suggerimenti utili da tradurre poi tailor made, declinandole sulle proprie specificità.
L’analisi di seguito presentata è l’esito di 24 interviste in profondità realizzate sull’esperienza del sistema duale in Italia, promossa dalla Fondazione per la Scuola in collaborazione con Forma (Associazione nazionale degli enti di formazione professionale). Al fine di costruire una traccia di intervista aderente agli obiettivi del progetto e per cogliere le questioni maggiormente sensibili legate all’esperienza del duale, si è deciso di costruire un’intervista semi-strutturata (a domande aperte) da sottoporre ad alcuni responsabili di enti di formazione professionale, che avessero già sperimentato il sistema duale, quali testimoni privilegiati [8]
. Va da sé che i risultati della ricerca, per la metodologia seguita e il carattere esplorativo, non costituiscono una rappresentazione campionaria di tutti gli enti di IeFP italiani. Ciò non di meno, in virtù della sua estensione territoriale (quasi tutte le regioni italiane: 16 su 20) e dei testimoni privilegiati interpellati (direttori e responsabili del duale) costituisce uno strumento conoscitivo prossimo alla realtà indagata. E, soprattutto, in grado di delineare gli esiti positivi, così {p. 15}come le criticità e le aree di intervento da privilegiare per migliorare il percorso del duale in Italia.

1.1. IeFP a tre dimensioni

Lasciando alla curiosità del lettore la volontà di leggere nel dettaglio i temi e le questioni emerse, qui proponiamo alcuni elementi chiave affiorati dall’analisi delle interviste. Detto che l’esperienza del duale si innesta, nella maggior parte dei casi interpellati, su percorsi di innovazione formativa già avviati dai singoli enti, la cosiddetta «sperimentazione Bobba» ha offerto una cornice istituzionale, una razionalizzazione e un’iniezione di risorse per gli enti di IeFP, sospingendoli nella direzione di una maggiore relazione fra formazione e mondo produttivo.
In questo senso, si può sostenere che gli enti di IeFP in virtù dell’esperienza duale sviluppino un’azione «tridimensionale», che si dipana lungo tre assi privilegiati.
Un primo asse è legato al territorio. Gli enti sono spinti a uscire dalle proprie mura scolastiche e interagire con altri attori interessati o che intervengono sul tema della formazione e del lavoro. I soggetti principe sono ovviamente le singole imprese e le associazioni di categoria – e, in qualche caso, le organizzazioni dei lavoratori – con cui condividono una progettualità di azione e di interventi formativi, sviluppando così azioni di sinergia e di sistema. Ma possiamo annoverare altri soggetti come consulenti del lavoro e commercialisti [9]
, assistenti sociali. Oltre agli enti locali e, per ovvie ragioni, alle regioni.
Ma non si tratta solo di un’azione strumentale e organizzativa. Poiché si tratta di interventi con finalità educativa, si devono stabilire e condividere linguaggi, codici, finalità e obiettivi fra soggetti diversi (ente e impresa). Dunque, il
{p. 16}rapporto col territorio non è declinato solo come costruzione di relazioni operative, ma anche di valori, di orizzonti culturali. E, com’è facilmente intuibile, non è un processo lineare, privo di asperità. Ma richiede una continua operazione di mediazione e costruzione.
Note
[1] D. Marini e F. Setiffi (a cura di), Una grammatica della digitalizzazione. Interpretare la metamorfosi di società, economia e organizzazioni, Milano, Guerini, 2020.
[2] D. Marini, Fuori classe. Dal movimento operaio ai lavoratori imprenditivi della Quarta rivoluzione industriale, Bologna, Il Mulino, 2018.
[3] Utilizzo la definizione da C. Gentili, Umanesimo tecnologico e istruzione tecnica. Scuola, impresa, professionalità, Roma, Armando, 2007.
[4] R. Sennet, L’uomo artigiano, Milano, Feltrinelli, 2008.
[5] Una verifica empirica a queste considerazioni si può reperire in «Bellafactory Focus», n. 7, 11, 2017, La sorpresa auto. La fabbrica 4.0 aumenta la quota di lavoro nei prodotti, Fondazione Ergo, www.fondazionergo.it/upload/pdf/BellaFactory/BFFOCUS7_DEF.pdf; D. Marini, I nuovi paradigmi dei lavori. I fabbisogni professionali dei lavoratori vicentini, Collana osservatori, n. 25, Milano-Treviso, Community Research&Analysis, 2019. Per una disamina esaustiva sul tema delle competenze si veda L. Benadusi e S. Molina (a cura di), Le competenze. Una mappa per orientarsi, Bologna, Il Mulino, 2018; L. Ribolzi et al., Dai saperi disciplinari alle competenze. Strategie organizzative per la progettazione del curricolo, Bologna, Il Mulino, 2020.
[6] D. Marini, Lessico del nuovo mondo. Una lettura dei mutamenti sociali ed economici, Venezia, Marsilio, 2021.
[8] Si veda più avanti la nota metodologica e la traccia dell’intervista realizzata.
[9] Su queste figure, peraltro, si rende necessaria un’azione formativa e conoscitiva sul funzionamento e le opportunità del duale. Più spesso si riscontra una ritrosia da parte loro ad aderire alle proposte degli enti di IeFP su questo versante, bloccando possibili partnership con le imprese. Soprattutto nei confronti delle micro e piccole realtà produttive, queste figure professionali costituiscono una porta di accesso ineludibile.