Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c6
Questi elementi rendono immediatamente evidente il nesso e la continuità con il sistema duale e la prospettiva della personalizzazione del curricolo, nel contesto dell’ap
{p. 203}prendimento lungo tutto l’arco della vita e della necessaria osmosi tra formale e non formale.
Dal punto di vista tipologico non esiste un unico modello di Academy. Ognuno nasce e si configura a partire da specifiche esigenze aziendali. Da sottolineare comunque il fatto che non esiste solo la fattispecie della grande azienda (c.d. company/corporate Academy), ma anche quella dei training center sostenuti da un gruppo di PMI o reti di imprese specializzate in un dato ambito tecnologico (settore o filiera economica) o di associazioni datoriali/di categoria, con il coinvolgimento di soggetti del sistema educativo, dalle agenzie di formazione professionale alle scuole, dagli ITS alle università e centri di ricerca e sviluppo. Quest’ultima casistica si caratterizza per una maggiore flessibilità d’intervento ed efficacia di collegamento tra i diversi soggetti che vi partecipano.
Recentemente, nell’ambito della ridefinizione della missione e dell’organizzazione del Sistema di istruzione e formazione tecnica superiore in attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) [45]
, al termine ITS è stato affiancato quello di Academy, rinominando gli istituti come «accademie per l’istruzione tecnica superiore». Nel testo unificato di proposta di legge la centralità è chiaramente assegnata al sistema di istruzione secondaria e terziaria accademica. Ricondurre la molteplicità e ricchezza del fenomeno delle Academy a quest’unico alveo sarebbe senz’altro riduttivo. Più corretto e auspicabile riconoscere la funzione primaria delle aziende e del segmento professionalizzante del sistema educativo nazionale, con soluzioni in cui entrano a pieno titolo non in posizione marginale, anche le istituzioni formative. In questo processo una responsabilità e un ruolo decisivo dovranno essere assunti dalle regioni.{p. 204}

5.3. Alcune proposte

Relativamente all’impresa formativa appare opportuno che Stato e regioni, ognuno per le proprie competenze e laddove necessario in forma condivisa, definiscano un quadro normativo-regolatorio chiaro sia sulla natura e fisionomia degli istituti, sia sulle condizioni che consentono lo sviluppo delle attività formative, in modo flessibile e con riguardo alle diverse istanze giuridico-economico-fiscali dei gestori e di tutela dei diritti dei fruitori.
Nella IeFP le esperienze di «impresa formativa» d’eccellenza non mancano (si pensi, ad es., al Centro Cometa di Como, all’impresa sociale a responsabilità limitata FORMeL in Veneto o all’Istituto Prevert di Pinerolo) e da queste potranno discendere le utili indicazioni per una compiuta definizione del modello e una sua più omogenea istituzionalizzazione.
Tra gli aspetti che dovranno trovare un più esplicito chiarimento, uno riguarda sicuramente lo status giuridico degli studenti, cui certamente non va riconosciuto quello di lavoratore dipendente, né quello di tirocinante, dato che l’attuale regolamentazione delle quote di contingentamento rischia di vanificare la finalità stessa dell’istituto. Un altro, decisivo, è quello che concerne la regolazione del rapporto tra aspetto economico e educativo. Entrambi vanno infatti preservati: da un lato la dimensione della sostenibilità economica e del perseguimento dell’utile, che rivestono valore «sociale» in quanto funzionali (non solo in termini di reinvestimento) all’intervento formativo e che, quindi, non sono in contraddizione con l’assenza di scopo di lucro; dall’altro la finalità sociale e educativa, che si costituisce come criterio regolatore e fattore tutelante nei confronti di possibili spinte o derive economicistiche (l’ambito cui guardare e da cui trarre indicazioni è quello dell’impresa sociale, riconducendo all’impresa formativa le caratteristiche soggettive e organizzative che, nei servizi di pubblica utilità, connotano gli enti del Terzo settore).
Oltre al possesso di un’adeguata e coerente dotazione logistico-strumentale, per le istituzioni formative le regioni {p. 205}dovrebbero, pertanto, fissare standard minimi per l’operatività delle imprese formative, quali ad esempio:
– essere soggetto iscritto al Registro delle imprese o, quantomeno, nel Repertorio economico amministrativo (REA);
– realizzare un’attività economica non prevalente rispetto a quella formativa, ossia con ricavi o proventi inferiori al 50% dell’attività complessiva;
– assicurare la gestione amministrativo-contabile separata tra parte formativa e aziendale;
– reinvestire gli eventuali utili provenienti dall’attività economica nei servizi di formazione.
Sul versante delle Academy, le regolamentazioni regionali dovrebbero definire innanzitutto le caratteristiche qualificanti e i fattori di riconoscibilità. Una soluzione particolarmente adatta per la formazione iniziale può essere quella delle «Academy formative», intese come reti stabili, specializzate in un dato ambito tecnologico (settore o filiera economica), composte da una o più agenzie formative accreditate, imprese con capacità formativa (e, eventualmente, fondazioni ITS, atenei, centri R&S ecc.) che, avvalendosi delle risorse umane, organizzative e/o economiche dei soggetti componenti, realizzano percorsi formativi di IeFP in modalità duale.
L’intervento di queste Academy formative dovrebbe essere finalizzato a:
– qualificare e valorizzare il sistema formativo regionale con esperienze di eccellenza che rafforzino il legame stabile tra sistema regionale della formazione con il sistema delle imprese;
– promuovere l’utilizzo di metodologie e strumentazione tecnologicamente avanzata, permettendo ai giovani di sperimentare sul campo le logiche produttive dell’azienda e di essere formati in «laboratori» aziendali continuamente updated;
– ridurre il mismatching tra domanda e offerta di lavoro (minori tempi di transizione tra formazione e lavoro; riduzione dei tempi di copertura delle vacancy);
– aumentare l’attrattività del sistema regionale (aumento del numero di iscritti ai percorsi di IeFP, IFTS, ITS) e il valore aggiunto per addetto nei distretti.{p. 206}
Le aziende partner dovrebbero partecipare attivamente alla formazione facendosi carico di varie forme di engagement:
– collaborazione alla progettazione dei contenuti e dei profili dei percorsi per assicurarne la rispondenza ai fabbisogni di competenze delle imprese e del territorio;
– realizzazione presso le proprie strutture e reparti dei percorsi in alternanza e apprendistato e di segmenti di percorso formale;
– compartecipazione ai processi valutativi e certificativi degli apprendimenti acquisiti;
– messa a disposizione di spazi attrezzati, macchinari e attrezzature presso i propri stabilimenti per la formazione in contesto formale e non formale, nonché di proprio personale per la docenza;
– messa a disposizione a titolo non oneroso di macchinari e attrezzature anche presso i laboratori delle agenzie formative della rete;
– eventuale cofinanziamento dei costi del percorso formativo.

6. Apprendistato formativo

6.1. L’apprendistato oggi: una fisionomia da rivedere

L’apprendistato formativo (detto anche apprendistato «duale» e distinto dall’apprendistato professionalizzante) consente il conseguimento di tutti i titoli dell’istruzione e della formazione professionale attraverso un contratto di lavoro connotato da una rilevante componente formativa in azienda. La sua «dualità» si estrinseca proprio nell’essere una modalità formativa in cui l’apprendimento avviene sia presso le istituzioni scolastiche e formative, sia in azienda, in ambienti di lavoro che diventano veri e propri luoghi sociali di sviluppo delle competenze.
Le modifiche apportate alla disciplina nel 2015 (d.lgs. n. 81/2015, capo V) hanno certamente impresso un impulso positivo alla diffusione dell’apprendistato formativo. Tuttavia, resta un contratto poco conosciuto dalle imprese {p. 207}e con scarsa diffusione territoriale, perlopiù concentrata nelle regioni del Nord.
Questo perché il contratto di apprendistato sconta ancora una generale complessità burocratico-organizzativa che lo rende poco attrattivo, soprattutto per le PMI.
Proprio con riferimento alle tipologie di apprendistato «duale» il d.lgs. n. 81/2015 presenta alcune rilevanti rigidità che ne limitano l’organicità e, soprattutto, una diffusione commisurata al bisogno cui potrebbe rispondere:
– fissa un limite di età per le assunzioni (24 anni per il primo livello e 29 per il terzo) che ne impedisce l’utilizzo per il segmento della popolazione adulta a bassa scolarità, oggi sempre più chiamato a sviluppare nuove e più elevate competenze – attraverso percorsi di upskilling e reskilling ma, ancor prima, attraverso il conseguimento di qualifiche professionali e di titoli di studio – per poter permanere in un mercato del lavoro in continua trasformazione;
– impedisce di conseguire titoli di studio in progressione permanendo all’interno dello stesso contratto di apprendistato; questo vincolo rappresenta un evidente ostacolo: ad esempio, laddove sia stata conseguita già in apprendistato una qualifica professionale e si voglia proseguire la formazione accedendo a un percorso IFTS, oppure, sia stato conseguito un diploma d’istruzione e ci si voglia iscrivere all’università o a un percorso ITS, oppure ancora, si sia conseguita la laurea triennale e si desideri completare il percorso universitario con una laurea magistrale. In tutti questi casi, l’azienda favorevole e interessata a sostenere la carriera scolastica o universitaria del proprio apprendista è costretta a sobbarcarsi l’incomprensibile onere di dover chiudere il contratto di apprendistato in essere e affrontare l’iter burocratico per l’apertura di uno nuovo contratto sempre in apprendistato in capo alla stessa persona (anziché, come sarebbe più ragionevole, procedere al solo rinnovo del piano formativo).
Proprio a riguardo dell’organicità del sistema di apprendistato duale, è stato recentemente rivolto da Confindustria Piemonte un interpello all’Ispettorato nazionale del lavoro (INL) in merito alla possibilità di trasformazione o
{p. 208}successione di contratti di apprendistato, anche in conformità con la normativa sugli incentivi al lavoro e gli sgravi contributivi. L’INL ha risposto con nota n. 1026 del 23 novembre 2020, confermando che il d.lgs. n. 81/2015 permette la «trasformazione» di un contratto di apprendistato in un altro solo per il passaggio dal primo al secondo livello (apprendistato professionalizzante) secondo le indicazioni contenute all’art. 43, c. 9. Nel merito della stipula di un contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca a seguito del completamento di un apprendistato di primo livello, l’Ispettorato ha riconosciuto che:
Note
[45] Vedi il testo unificato delle sei proposte di legge di iniziativa parlamentare adottato come testo base dalla VII Commissione nelle sedute del 17, 23 e 24 giugno 2021 (http://documenti.camera.it/leg18/dossier/testi/CU0123a.htm?_1624880832048).