Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c6
Proprio a riguardo dell’organicità del sistema di apprendistato duale, è stato recentemente rivolto da Confindustria Piemonte un interpello all’Ispettorato nazionale del lavoro (INL) in merito alla possibilità di trasformazione o
{p. 208}successione di contratti di apprendistato, anche in conformità con la normativa sugli incentivi al lavoro e gli sgravi contributivi. L’INL ha risposto con nota n. 1026 del 23 novembre 2020, confermando che il d.lgs. n. 81/2015 permette la «trasformazione» di un contratto di apprendistato in un altro solo per il passaggio dal primo al secondo livello (apprendistato professionalizzante) secondo le indicazioni contenute all’art. 43, c. 9. Nel merito della stipula di un contratto di apprendistato di alta formazione e ricerca a seguito del completamento di un apprendistato di primo livello, l’Ispettorato ha riconosciuto che:
Non si ravvisano, in assenza di esplicite previsioni normative o contrattuali, ragioni ostative alla «successione» di un nuovo contratto di apprendistato, sempreché il piano formativo sia diverso rispetto a quello già portato a termine secondo quanto già chiarito dal Ministero del lavoro, circostanza certamente ravvisabile laddove il nuovo contratto di apprendistato sia finalizzato ad acquisire un titolo di studio ulteriore rispetto a quello già conseguito anche in virtù di un precedente contratto di apprendistato di primo livello.
In altre parole, è sancita la possibilità, precedentemente ipotizzata solo in dottrina, di costruire una filiera di apprendistato duale.
Sarebbe però necessario un passaggio ulteriore che consenta l’integrazione verticale del percorso formativo in apprendistato con la necessaria semplificazione burocratico-amministrativa, proprio a partire dall’eliminazione del vincolo di interruzione di un contratto al conseguimento del titolo per poter accedere al successivo.
In ultimo, è necessario ricordare che contribuiscono a penalizzare fortemente la diffusione dell’apprendistato di primo livello (per la qualifica e il diploma professionale, il diploma di istruzione secondaria superiore e il certificato di specializzazione tecnica superiore) anche i vincoli posti dalle norme sulla tutela del lavoro minorile (ad es. sul lavoro notturno, turni) che, per determinati settori e profili, non consentono di attuare una piena «dualità» dei percorsi.{p. 209}

6.2. Alcune proposte

La prima esigenza attiene alla riforma di alcuni aspetti del quadro normativo vigente, che limitano significativamente il potenziale di diffusione del contratto di apprendistato duale.
Occorre innanzitutto procedere all’estensione dell’apprendistato di primo livello oltre i 25 anni, rendendolo così accessibile a tutti i lavoratori. Tale esigenza diviene a maggior ragione necessaria e urgente in considerazione della domanda di riqualificazione professionale che già sta emergendo e si manifesterà sempre più forte con la ripresa economica e in forza dell’impulso alla transizione digitale ed ecologica impresso dal PNRR [46]
.
Sempre sul versante normativo occorre prevedere una modifica finalizzata a consentire, nell’ambito di vigenza di un unico contratto di apprendistato (ad es. diploma, poi laurea ecc.), l’attivazione di più percorsi formativi per il conseguimento di titoli di studio progressivi, senza l’obbligo, oggi previsto, di chiusura e successiva riapertura di differenti contratti di apprendistato duale.
L’adozione di tale possibilità richiederebbe l’adeguamento della durata del contratto di apprendistato in coerenza con la durata ordinamentale prevista per il conseguimento dei titoli di studio (tra il primo e il terzo livello e all’interno del terzo livello del contratto di apprendistato) [47]
.
Il vantaggio derivante dalle proposte sopra indicate è riconducibile prioritariamente nella riduzione del carico burocratico, nella semplificazione dei rapporti contrattuali {p. 210}tra apprendista e datore di lavoro e nel consolidamento di una filiera formativa «duale» verticale (dalla formazione iniziale alla formazione terziaria).
Sempre sul versante della revisione del quadro normativo si presenta, in ultimo, l’esigenza di affrontare la revisione di quei vincoli normativi connessi alla tutela del lavoro minorile che condizionano la diffusione del contratto di apprendistato di primo livello. Pur mantenendo, come prima irrinunciabile preoccupazione, la tutela del minore e la prevenzione di ogni possibile forma di sfruttamento, è senz’altro possibile introdurre forme di flessibilità delle regole circoscritte a iniziative formative on the job promosse in ambiti protetti dedicati e controllati.
Oltre alle proposte di revisione normativa sopra illustrate, è utile, in ultimo, porre attenzione ai seguenti fattori funzionali al potenziamento delle azioni a sostegno della diffusione dell’apprendistato a livello regionale e nazionale:
– riconoscimento di contributi pubblici a integrazione della retribuzione dell’apprendista, condizionati al conseguimento dei risultati di apprendimento. Il quadro normativo vigente ha ridotto significativamente il costo del lavoro, con particolare riferimento all’apprendistato di primo livello; se per un verso questo può contribuire ad incentivare le assunzioni, per l’altro ha reso l’apprendistato meno appetibile per i giovani (e per le famiglie): il monteore retribuito non ricomprende, infatti, le ore di formazione presso l’organismo di formazione e riconosce solo il 10% delle ore di formazione interna all’azienda (i salari risultano, così, quasi dimezzati e troppo penalizzanti se confrontati con le indennità percepite dai tirocinanti);
– il riconoscimento ai datori di lavoro di contributi a parziale copertura delle spese del tutor aziendale, a suggello del pieno riconoscimento della centralità di questa funzione nel processo formativo.{p. 211}

7. Sviluppo formativo delle «soft skills»

7.1. Una dimensione decisiva

Il tema delle soft skills o competenze trasversali è ormai da tempo al centro dell’attenzione. È comunemente condiviso che esse rappresentano un fattore decisivo per la riuscita della persona nell’ambito della propria vita, in quello sociale e in particolare lavorativo. Basta scorrere velocemente le proposte online dei pacchetti formativi progettati in rapporto alle competenze più richieste dal mondo del lavoro; o considerare l’attenzione crescente assegnata a queste dimensioni dalle aziende per la selezione e lo sviluppo del proprio personale. Per queste ultime diventa sempre più necessario interrogarsi sulle proprie dinamiche interne e la propria cultura, per individuare le skill adeguate al contesto, al team o al ruolo che si intende far ricoprire ai dipendenti. Si impone progressivamente la necessità di bilanciare le competenze tecniche e professionali (c.d. hard) con una personalità aperta e adattabile, che sia compatibile con la specifica strategia e cultura aziendale. Vera e propria discriminante nella ricerca di candidati con una marcia in più, le soft skills costituiscono quelle caratteristiche che, se possedute dal personale interno a ogni livello, accrescono la competitività dell’impresa. Così nelle job description è ormai frequente trovare accanto alla voce hard skills (competenze tecniche), quella relativa alle soft skills.
Secondo lo Stanford Research Institute International, il 75% del successo di un lavoro a lungo termine dipende dalla padronanza delle soft skills, contro il 25% delle competenze tecniche. Secondo un’indagine condotta da Linkedin su 5.000 professionisti nel mondo delle risorse umane e dei manager, tra le tendenze che influenzeranno il mondo del lavoro all’interno delle aziende nei prossimi anni, le soft skills saranno determinanti per il 91% degli intervistati, seguite da flessibilità lavorativa (72%), cultura anti-molestie (71%) e trasparenza retributiva (53%).
Anche nel mondo della scuola il tema inizia a fare breccia, seppur ancora in termini ipotetici e di prima di{p. 212}scussione [48]
, rimanendo le pratiche e la cultura didattica ancora saldamente incentrate sulla componente hard delle conoscenze e competenze culturali e di indirizzo. Diverso invece il contesto della formazione professionale e della stessa IeFP, non solo culturalmente più predisposto, ma dove si documentano già pratiche diffuse che vanno nella direzione di uno sviluppo esplicitamente dedicato di queste dimensioni. In generale nell’ambito della formazione non trova accoglienza l’obiezione (fortemente ideologica) della funzionalità delle soft skills alle logiche produttivistiche del mercato del lavoro; se ne afferma, per contro, il valore in termini di formazione integrale e di valorizzazione della persona, in funzione del successo nei diversi ambiti, anche di vita e sociale.

7.2. Quadro regolamentare

Per il secondo ciclo di istruzione e formazione, relativamente alle c.d. dimensioni soft va sottolineata la presenza sul piano normativo e ordinamentale di alcune condizioni di sistema, in sostanza riconducibili:
– alle competenze chiave per l’apprendimento permanente [49]
quale framework e standard rappresentativo di tutti gli esiti di apprendimento dell’istruzione e dell’IeFP;
– al profilo educativo, culturale e professionale (PECuP) di cui all’Allegato A al d.lgs. n. 226/2005, cardine di tutti i quadri degli esiti di apprendimento del secondo ciclo.
Le key competences costituiscono il riferimento vincolante per la declinazione più specifica e la codifica degli esiti di
{p. 213}apprendimento realizzata autonomamente dalle istituzioni scolastiche e formative, ossia per la definizione delle competenze/skills da loro effettivamente sviluppate sul piano didattico-formativo. Riguardo ad esse va evidenziato che tutte sono caratterizzate in termini personali e sociali e che alcune lo sono in modo specifico (competenze personali, sociali e di apprendimento; competenze civiche; competenze imprenditoriali; competenze in materia di consapevolezza ed espressione culturale). Ad ogni key competence sono poi connessi gli «atteggiamenti», ossia dimensioni per così dire più profonde della persona (fiducia, curiosità, disponibilità al dialogo critico e costruttivo ecc.), inevitabilmente implicate e messe in gioco nel loro sviluppo. Di fatto la dimensione degli atteggiamenti è strettamente connessa a quella delle soft skills.
Note
[46] L’urgenza di un intervento in tal senso è rappresentata dal fatto che essa permetterebbe di ricomprendere tutti i target del programma Gol (Garanzia occupazione lavoratori) promosso nell’ambito del PNRR e per i quali sono previste azioni di upskilling e reskilling che potrebbero così essere svolte in apprendistato.
[47] A tal fine sarebbe sufficiente intervenire al capo V del d.lgs. n. 81/2015, modificandolo in analogia a quanto disposto dall’art. 43, c. 9, che espressamente consente la «trasformazione» del contratto di apprendistato di primo livello in apprendistato professionalizzante; tale previsione dovrebbe essere estesa anche al passaggio tra apprendistato di primo e terzo livello, come pure tra titoli diversi dell’alta formazione.
[48] Così ad es. M. Tiriticco, L’importanza delle soft skills, in «Edscuola», 8 febbraio 2021 (https://www.edscuola.eu/wordpress/?p=141075): «nella scuola di una società democratica e fondata anche e soprattutto sulla formazione del cittadino, le competenze relazionali, le soft skills, dovrebbero costituire obiettivi di comportamento non meno importanti di quelli che riguardano le discipline di apprendimento. Perché, di fatto, competenze professionali e competenze civiche in un paese democratico sono strettamente legate».
[49] Raccomandazione del Consiglio del 22 maggio 2018 (2018/C 189/01).