Giorgia Pavani, Stefania Profeti, Claudia Tubertini
Le città collaborative ed eco-sostenibili
DOI: 10.1401/9788815410221/c2
La rassegna dei principali strumenti giuridici a disposizione delle città collaborative ed eco-sostenibili mostra la varietà di forme che può assumere la «politica per le (e delle) città», ovvero l’insieme delle azioni poste in essere per risolvere i problemi specifici delle città, o per meglio dire la «questione urbana»: questione dalla cui soluzione dipende in realtà il benessere delle nazioni nel loro complesso, considerato che è proprio nelle aree urbane che si concentra la maggior parte delle attività economiche, delle risorse culturali ed umane, della ricchezza (v. cap. 1, § 1).
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Più che di politica al singolare, è più corretto parlare di politiche al plurale, e distinguere quelle che sono messe in campo in una logica discendente, da istituzioni o attori sovraordinati (è il caso delle politiche europee e di quelle nazionali che ne costituiscono il precipitato), potremmo dire di sussidiarietà verticale, e di quelle generate secondo una dinamica ascensionale, o di sussidiarietà orizzontale, caratterizzate dalla prevalente iniziativa privata che le istituzioni intervengono ad incoraggiare e inserire in una cornice favorevole o che promanano dall’esercizio dell’autonomia normativa e negoziale delle istituzioni di governo dell’area urbana.
La soluzione della questione urbana dipende molto dal corretto incrocio di queste politiche, che devono tra di loro coordinarsi ed armonizzarsi. Non è possibile, in altre parole, calare dall’alto soluzioni per le città, senza l’adeguato coinvolgimento delle comunità e delle istituzioni locali, che devono poi essere chiamate alla loro gestione ed attuazione; né, d’altro lato, le città possono pensare di risolvere la questione urbana da sé, senza l’essenziale contributo degli attori sovraordinati.
Sotto questo profilo, appare evidente in primo luogo che l’attenzione crescente dell’Unione europea per la questione urbana e l’insieme delle politiche da essa messe in campo da tempo per affrontarla rappresenta una grande opportunità per le città; si tratta di politiche la cui costruzione ed attuazione non può prescindere dal coinvolgimento attivo delle comunità locali, e che possono beneficiare in maniera notevole dal contributo collaborativo delle comunità, ed è ciò che precisamente è avvenuto in molti contesti.
Il coordinamento tra l’intervento dei livelli superiori di governo e la libera iniziativa delle città non è però cosa semplice da garantire.
Se per esempio guardiamo a come, in Italia, è stato predisposto il Piano nazionale di ripresa e resilienza – il più grande ed ambizioso piano di trasformazione della nostra economia e della nostra pubblica amministrazione, a giudizio degli attori politici ma anche dei commentatori, destinato a realizzare il primario obiettivo del programma europeo Next Generation EU, ovvero, «rendere le economie e le società {p. 101}dei Paesi europei più sostenibili, resilienti e preparate alle sfide e alle opportunità della transizione ecologica e di quella digitale» [71]
– notiamo che il coinvolgimento delle città e delle loro istituzioni di governo è stato assai limitato [72]
. A questa finalità di condivisione dei percorsi e degli obiettivi doveva rispondere la costituzione del Tavolo permanente per il partenariato economico, sociale e territoriale, avvenuta con il d.p.c.m. 14 ottobre 2021, con potere consultivo nei confronti della sede di coordinamento generale appositamente istituita per l’attuazione del PNRR, ovvero la «Cabina di regia» prevista dall’art. 2 del d.l. 77/2021 («Governance del Piano nazionale di ripresa e resilienza»). Il problema è che la stessa Cabina di regia sembra essere stata soverchiata, di fatto, da altre sedi meno trasparenti e partecipate nelle quali sono state decise le linee di intervento da attuare [73]
.
Se la fase di predisposizione del Piano e di individuazione delle linee di finanziamento ha mostrato una evidente difficoltà a coinvolgere le comunità locali, fondamentale è recuperare l’apporto della società civile in sede di attuazione delle azioni in esso previste. Nel PNRR si riconosce l’apporto che il terzo settore potrà fornire a supporto dell’azione pubblica, e vi si fa esplicito riferimento nella Missione 5, dedicata alle misure di inclusione sociale e coesione territoriale. Tuttavia, non si fa mai accenno all’amministrazione condivisa come modello preferenziale, o almeno opzionale, nella predisposizione e gestione delle nuove infrastrutture, materiali o immateriali che verranno attuate con le risorse del Piano, laddove è {p. 102}indubbio che la capacità che l’amministrazione condivisa ha di valorizzare i legami civili e sociali della cittadinanza è una risorsa fondamentale per contrastare in modo democratico gli effetti collaterali delle trasformazioni che deriveranno dai piani [74]
. Per questo motivo è stata salutata con grande favore la previsione dell’art. 21 del d.l. 152/ 2021, adottato nell’ambito dello specifico asse del PNRR destinato alla transizione ecologica [75]
, che ha disciplinato i piani urbani integrati, finanziati per l’appunto con i fondi del PNRR. L’intervento «Piani urbani integrati» è dedicato infatti alle periferie delle città metropolitane e prevede una pianificazione urbanistica partecipata, con l’obiettivo di trasformare territori vulnerabili in città smart e sostenibili, limitando il consumo di suolo edificabile. Nelle aree metropolitane si potranno realizzare sinergie di pianificazione tra il comune capoluogo ed i comuni limitrofi più piccoli con l’obiettivo di ricucire tessuto urbano ed extra-urbano, colmando deficit infrastrutturali e di mobilità. Quel che è interessante, nella nostra prospettiva, è la previsione che le città metropolitane, nel definire il riparto delle risorse tra i comuni, debbano tener conto dei progetti che i comuni determinano insieme ai soggetti del terzo settore, con l’intento non solamente di valorizzare questo modo di agire ma di considerarlo come un’ordinaria scelta [76]
.
Una ulteriore considerazione va fatta sulle riforme c.d. orizzontali previste nel PNRR a favore delle pubbliche amministrazioni, e quanto queste potranno contribuire allo sviluppo dell’amministrazione condivisa. Come ha sottolineato anche di recente la Corte costituzionale (sent. n. {p. 103}52/2021), l’amministrazione condivisa implica un impegno attivo dei soggetti pubblici: non sarebbe del tutto realizzato se si esaurisse nel rimuovere ostacoli ai cittadini attivi e agli enti del terzo settore. A questo si aggiunga che le azioni finanziate dal PNRR richiedono anzitutto una forte capacità di attivazione da parte delle amministrazioni pubbliche, chiamate in prima persona a progettare, a coinvolgere, e poi a realizzare e rendicontare i progetti. Da questo punto di vista, dunque, una pubblica amministrazione rafforzata nel suo capitale umano, infrastrutturale e tecnologico, come sarebbe quella delineata dal PNRR, costituirebbe un avanzamento anche per l’applicazione del metodo della co-amministrazione, anche se attualmente è presto per fare ipotesi sull’effettivo impatto che queste misure abilitanti avranno sul livello locale [77]
.
Se poi allarghiamo ancor più lo sguardo sui problemi delle città, non può tacersi che su queste ultime aleggia uno spettro: quello dell’incertezza della cornice istituzionale.
Il legame inequivocabile tra la città-comunità le sue istituzioni rappresentative presuppone che queste ultime siano messe in grado di svolgere al meglio il proprio ruolo.
Il tema, tuttavia, non è stato considerato urgente dal legislatore, che infatti non ha inserito nel PNRR, tra le riforme orizzontali, la tanto attesa riforma del TUEL, da cui dipende, tra l’altro, la chiara identificazione del ruolo delle città metropolitane. Anche sotto questo profilo, si spera che le trasformazioni indotte o rese necessarie dal PNRR fungano da volano per una complessiva riforma dell’ordinamento locale, che affronti i principali nodi dell’attuale sistema di governo e di amministrazione locale [78]
.{p. 104}

10. Itinerario bibliografico

Amministrazione condivisa e beni comuni
L’ideazione del concetto di «amministrazione condivisa» si deve, come è noto, a Gregorio Arena, Introduzione all’amministrazione condivisa, in «Studi parlamentari e di politica costituzionale», n. 3-4/1997, concetto ripreso e poi sviluppato dallo stesso autore in numerosi altri scritti (come Amministrazione e società. Il nuovo cittadino, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», n. 1/2017, e da ultimo ne I custodi della bellezza, Milano, Touring Club Italiano, 2020).
La nozione è tributaria, per riconoscimento dello stesso autore, di quella di «demarchia» di Feliciano Benvenuti (Il nuovo cittadino, Venezia, Marsilio, 1994; L’ordinamento repubblicano, Padova, Cedam, 1996; Le autonomie locali nello Stato moderno, in Scritti giuridici, Milano, Giuffré, 2006, III), e presuppone, a sua volta, il richiamo alla categoria dei «beni comuni» (G. Arena, Da beni pubblici a beni comuni, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», n. 3/2022).
Tale ultima categoria – tuttora in attesa di un compiuto riconoscimento nella classificazione codicistica delle forme di proprietà, a tre lustri dalla nota proposta della Commissione di studio presieduta da Stefano Rodotà – presenta anch’essa importanti antecedenti dottrinali, a partire dal concetto di proprietà pubblica in senso oggettivo in M.S. Giannini (I beni pubblici, Roma, Bulzoni, 1963).
Nella sterminata dottrina sui beni comuni, il collegamento con l’amministrazione condivisa è sviluppato, in Italia, in G. Arena, Cittadini attivi. Un altro modo di pensare all’Italia, Roma-Bari, Laterza, 2006; G. Arena, I cittadini attivi, una risorsa per l’interesse generale, in A. Bixio e G. Crifò (a cura di), Il giurista e il diritto, Milano, Franco Angeli, 2010; D. Donati e A. Paci, Sussidiarietà e concorrenza: una nuova prospettiva per la gestione dei beni comuni, Bologna, Il Mulino, 2010; U. Mattei, Beni comuni: un manifesto, Roma-Bari, Laterza, 2011; G. Arena e C. Iaione (a cura di), L’Italia dei beni comuni, Roma, Carocci, 2012; T. Bonetti, I beni comuni nell’ordinamento giuridico italiano tra “mito” e “realtà”, in «Aedon»,
{p. 105}n. 1/2013; D. Donati, Il paradigma sussidiario, Bologna, Il Mulino, 2013; A. Lucarelli, La democrazia dei beni comuni: nuove frontiere del diritto pubblico, Roma-Bari, Laterza, 2013; C. Iaione, La città come bene comune, in «Aedon», n. 1/2013; E. Boscolo, Beni privati, beni pubblici, beni comuni, in «Rivista giuridica di urbanistica», n. 2/2013, pp. 341 ss.; V. Cerulli Irelli e L. De Lucia, Beni comuni e diritti collettivi, in «Politica del diritto», n. 1/2014, p. 3 ss.; G. Arena e C. Iaione (a cura di), L’età della condivisione, Roma, Carocci, 2015; V. Caputi Jambrenghi, Bene comune (obblighi e utilità comuni) e tutela del patrimonio culturale, in «Giustamm.it», n. 9/2015; F. Giglioni, I regolamenti comunali per la gestione dei beni comuni urbani come laboratorio per un nuovo diritto delle città, in «Munus», n. 2/2016; G. Fidone, Proprietà pubblica e beni comuni, Pisa, ETS, 2017; M. Bombardelli, La cura dei beni comuni: esperienze e prospettive, in «Giornale di diritto amministrativo», n. 5/2018; G. Macdonald, La sussidiarietà orizzontale e cittadini attivi nella cura dei beni comuni, Roma, Aracne, 2018; R. Cavallo Perin, Proprietà pubblica e uso comune dei beni tra diritti di libertà e doveri di solidarietà, in «Diritto amministrativo», n. 4/2018; C. Micciché, Beni comuni: risorse per lo sviluppo sostenibile, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018; G. Arena, Un nuovo diritto per l’amministrazione condivisa dei beni comuni, in T. Dalla Massara e M. Beghini (a cura di), La città come bene comune, Napoli, ESI, 2019; R.A. Albanese, Nel prisma dei beni comuni. Contratto e Governo del Territorio, Torino, Giappichelli, 2020; R.A. Albanese e E. Michelazzo, Manuale di diritto dei beni comuni urbani, Torino, Celid, 2020.
Note
[71] Per un’analisi completa del NGEU e del PNRR italiano, F. Fabbrini, Next Generation EU. Il futuro di Europa e Italia dopo la pandemia, Il Mulino, Bologna, 2022.
[72] È un problema non esclusivo dell’Italia: secondo uno studio effettuato dal Comitato europeo delle Regioni nel giugno del 2021, la maggior parte degli attori regionali e locali è stata consultata solo in modo formale e unilaterale, mentre le loro idee sono state raramente trasposte nei diversi piani nazionali di ripresa e resilienza.
[73] Sulle criticità irrisolte del sistema di Governance del Piano, nella prospettiva del principio di sussidiarietà orizzontale, A. Poggi, L’attuazione della sussidiarietà orizzontale e le prospettive del PNRR, in N. Antonetti e A. Pajno (a cura di), Stato e sistema delle autonomie dopo la pandemia. Problemi e prospettive, Bologna, il Mulino, 2022, pp. 128 ss.
[74] Su questa esigenza, e sulle difficoltà di conciliare i tempi di attuazione del PNRR con i tempi richiesti dall’attuazione delle pratiche di co-amministrazione, cfr. Giglioni, Consolidamento e futuro dell’amministrazione condivisa, cit., pp. 212 ss.
[75] Sulla rilevanza specifica della transizione ecologica nel PNRR italiano, ed il suo rapporto con le misure di coesione ed inclusione, L. Pergolizzi, PNRR e transizione ecologica: un duplice percorso, in «Istituzioni del Federalismo», n. 2/2022, pp. 443 ss.
[76] In attuazione di questa previsione sono stati selezionati complessivamente 31 progetti, da realizzare entro il 2026, presentati da tutte le città metropolitane, per complessivi 2,7 miliardi di euro.
[77] Sulle necessità di coordinare iniziativa pubblica ed apporto della società civile per l’attuazione del PNRR, F. Cortese, Gestione dei fondi “RRF” e diritto amministrativo: sguardo di sintesi e di contesto, in «Istituzioni del Federalismo», n. 2/2022, pp. 379-381.
[78] Sulle questioni rimaste irrisolte, e da affrontare per la riforma del TUEL, G. Bottino, L’ordinamento degli enti locali: la riforma, o il coordinamento, che non possono essere più elusi, in «Istituzioni del Federalismo», n. 1/2022, pp. 187 ss.