Giorgia Pavani, Stefania Profeti, Claudia Tubertini
Le città collaborative ed eco-sostenibili
DOI: 10.1401/9788815410221/c2
È questo legame che ha fatto intravvedere nell’amministrazione condivisa, infine, lo strumento di elezione per la realizzazione di un modello di città eco-sostenibili, ovvero di città che riescono a coniugare sviluppo e tutela dell’ambiente urbano, garantendo il principio di sostenibilità economica e sociale attraverso la messa a frutto di tutte le proprie risorse, non solo materiali ma anche umane [12]
(v. cap. 1, § 2.3). Le potenzialità applicative che, come si è ricordato, sono insite nel modello dell’amministrazione condivisa inducono a ritenere che per la realizzazione di questi scopi possano essere utilizzate modalità diverse di collaborazione, ivi comprese quelle anche originariamente concepite e praticate per la realizzazione di altre finalità, ed eventualmente oggetto di normazione in settori e campi differenti della vita amministrativa. Se è vero, infatti, che le prassi collaborative, nate quasi sempre praeter legem, guadagnano legittimazione progressiva mano mano che il diritto positivo le riconosce e le disciplina, è altrettanto vero che la loro forza consiste proprio nella capacità di superare gli argini rigidi delle
{p. 70}normative consolidate, per potersi adattare alle concrete esigenze della comunità di riferimento [13]
. Di qui l’utilità di una rassegna degli strumenti giuridici a disposizione delle città collaborative ed eco-solidali, che, partendo dal dato di diritto positivo, tenti di coglierne le prospettive di utilizzo attuali e future.

2. I fondamenti costituzionali dell’amministrazione condivisa

Una lettura del fenomeno collaborativo nella prospettiva del diritto pubblico non può che prendere le mosse dai suoi fondamenti costituzionali. Del tutto pacifica è la derivazione costituzionale più diretta, quella dell’art. 118, c. 4 della Costituzione, il quale, prevedendo che la Repubblica favorisca «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà», riconosce esplicitamente due degli elementi distintivi del modello dell’amministrazione condivisa: che lo svolgimento di tali attività può avvenire anche per iniziativa dei cittadini e che quando ciò accade, essa deve essere accompagnata dal sostegno dell’amministrazione.
L’accezione di sussidiarietà orizzontale accolta dalla riforma costituzionale del 2001 non è quindi, secondo l’ormai prevalente lettura, negativa (da intendersi come necessaria ritrazione dell’amministrazione dalla cura di interessi generali, laddove esista un’attività privata capace di soddisfarli), ma positiva (necessario intervento dei pubblici poteri a favore dei singoli e delle formazioni sociali che si adoperano allo svolgimento di attività di interesse generale).
Ormai acquisito è anche il collegamento stretto tra principio di sussidiarietà orizzontale, principio democratico (art. 1), principio di uguaglianza sostanziale (art. 3, c. 2) e principio solidaristico (art. 2), inteso quest’ultimo sia in riferimento alla promozione ed al riconoscimento delle formazioni sociali, sia in riferimento ai doveri inderogabili di {p. 71}solidarietà sociale, anch’essi base per un legittimo intervento (anche spontaneo) dei cittadini, singoli o associati, in funzione dell’interesse generale [14]
. A tali principi costituzionali ha fatto riferimento anche la Corte costituzionale traendo dall’originaria «socialità dell’uomo» e dalla «profonda socialità che connota la persona», la possibilità che le attività di interesse generale siano «perseguite anche da una autonoma iniziativa dei cittadini», in linea di continuità con quelle espressioni della società solidale, «fortemente radicata nel tessuto comunitario del nostro Paese», nella sentenza n. 131 del 2020 – su cui si tornerà oltre – a giusto titolo considerata una sentenza «manifesto» [15]
dell’amministrazione condivisa.
Se dal fondamento costituzionale si passa all’analisi dei principi e diritti costituzionali alla cui attuazione può essere applicato il modello dell’amministrazione condivisa, è evidente che la sua portata sistemica ne permette un’utilizzazione nei moltissimi casi in cui le norme costituzionali individuano un interesse generale, alla cui cura – come si è detto – possono sempre concorrere, ed anzi devono essere sostenuti a concorrere, i cittadini. La prassi applicativa, del resto, ha già mostrato come la collaborazione civica possa attuarsi nel campo del diritto al lavoro, all’istruzione, alla tutela ed alla valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici, alla sicurezza, alla tutela della salute e nella garanzia dei diritti di assistenza sociale, oltre che, naturalmente, alla {p. 72}tutela dell’ambiente. E proprio nella prospettiva qui accolta, quella delle città eco-solidali, non può quindi trascurarsi l’impatto dell’inserimento nell’articolo 9 (v. la l. cost. 11 febbraio 2022, n. 1) di un nuovo comma, che, seguendo l’esempio di altre costituzioni europee [16]
, affida alla Repubblica, oltre al compito di promuovere lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica e di proteggere il paesaggio e il patrimonio storico e artistico, anche di tutelare «l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni».
Se è vero, infatti, che la tutela dell’ambiente, anche nella sua vocazione ecosistemica, era già stato riconosciuto quale principio costituzionale dalla Corte sin dalla seconda metà degli anni Ottanta, è altrettanto evidente che la riforma ha una chiara finalità rafforzativa di tale obiettivo, che diviene in tal modo un interesse pubblico prioritario, valore oggettivo e non solo diritto soggettivo [17]
, al cui concorso occorre sollecitare anche la cittadinanza attiva in funzione di protezione delle generazioni future dai rischi connessi al climate change.
Anche se è ancora presto per comprendere le implicazioni derivanti da questa modifica costituzionale, essa apre quindi scenari interessanti di ulteriore ampliamento e rafforzamento degli strumenti giuridici che possono rivelarsi più idonei all’attuazione di questi nuovi e fondamentali obiettivi. Lo si desume anche dalla coeva modifica dell’art. 41 Cost., che consente espressamente alla legge di indirizzare e coordinare l’attività economica pubblica e privata, d’ora in poi, anche a fini «ambientali»: pur non avendo fatto espresso riferimento allo sviluppo sostenibile, questa norma rimanda ad un necessario equilibrio sistemico tra attività umane e tutela dell’ambiente che occorre sempre e comunque garantire.
Un compito certamente titanico per i pubblici poteri, che senz’altro può trarre grande giovamento anche dalle {p. 73}energie e dalle iniziative dei cittadini.

3. Città collaborative e sistema costituzionale delle competenze

La preferenza accordata dalla Costituzione al comune quale livello di amministrazione, secondo il principio di sussidiarietà inteso anzitutto come prossimità nella distribuzione e nell’esercizio delle funzioni amministrative (art. 118), rende naturale collocare l’amministrazione condivisa entro il perimetro delle amministrazioni locali: non a caso l’art. 3, c. 5 del TUEL, secondo cui comuni e province «svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali», è stato considerato espressivo di un vero e proprio nuovo modello di governo locale basato sulla co-amministrazione [18]
.
La diffusa convinzione che sia proprio l’ambito locale la sede di elezione dell’amministrazione condivisa, considerata la vicinanza di questo sistema di governo agli interessi ed ai bisogni più immediati della popolazione, non implica certo una competenza esclusiva, né tantomeno escludente, del comune. Ciò appare evidente considerando l’amministrazione condivisa non un ambito materiale, ma un metodo, un modello di organizzazione applicabile al raggiungimento di obiettivi di interesse generale della più varia natura. Non solo, quindi, è possibile l’estensione del modello anche alla realizzazione di obiettivi facenti capo ad amministrazioni diverse da quelle comunali (come, del resto, l’esperienza sta già dimostrando); ma, soprattutto, non è da escludersi un intervento di regioni e Stato sulla stessa applicazione di tale modello in ambito comunale, in funzione sussidiaria e di leale collaborazione rispetto ai comuni.
È quasi scontato dire quanto la relazione tra la regione ed il proprio sistema locale sia cruciale per il successo di ogni attività che i comuni pongano in essere in funzione della promozione del benessere e dello sviluppo delle proprie collettività: e ciò nonostante gli angusti limiti entro i quali è costretta a svolgersi {p. 74}la potestà legislativa regionale in materia di ordinamento ed organizzazione amministrativa locale, frutto di un impianto costituzionale che assegna allo Stato – almeno per le regioni a statuto ordinario – la competenza in materia [19]
.
È la rilevanza dei settori di competenza legislativa regionale, che coprono sostanzialmente tutti gli ambiti d’intervento dei livelli di governo comunale e di area vasta, a far sì che le regioni abbiano esercitato, e tuttora possano esercitare, un forte condizionamento nel concreto assetto delle funzioni locali ed anche nella individuazione dei modelli di esercizio delle stesse. Per questo motivo, il coordinamento tra strumenti di amministrazione condivisa e previsioni della legislazione regionale (in primo luogo, per ciò che concerne gli obiettivi di tutela dell’ambiente, la legislazione urbanistica, particolarmente in tema di rigenerazione urbana [20]
e di difesa del suolo, ma anche quella sulla valorizzazione dei beni culturali, e di disciplina dei servizi pubblici locali) appare di fondamentale importanza per la piena realizzazione di un modello di città eco-solidale. Ma il ruolo della regione può concepirsi anche in funzione sussidiaria, come un intervento di supporto e di coordinamento, nell’ottica di condivisione di buone pratiche, di riconoscimento delle esperienze maturate e di adeguato sostegno finanziario; senza escludere, peraltro, anche l’utilità della definizione di alcuni tratti indefettibili del regime giuridico dell’amministrazione condivisa, non in prospettiva dirigistica e uniformante, bensì di certezza e di garanzia di applicabilità [21]
.
{p. 75}
Note
[12] In questa prospettiva, per es., C. Micciché, Beni comuni: risorse per lo sviluppo sostenibile, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018, p. 67.
[13] In questo senso anche Giglioni, Forme e strumenti dell’amministrazione condivisa, cit., p. 85.
[14] In questo senso D. De Pretis, Principi costituzionali e amministrazione condivisa, in Arena e Bombardelli (a cura di), L’amministrazione condivisa, cit., p. 39.
[15] Così A. Arcuri, La dimensione territoriale dell’amministrazione condivisa: i casi del Comune di Bologna e della Regione Toscana, in corso di pubblicazione in «Istituzioni del Federalismo», n. 3/2022. Sulle implicazioni costituzionali della sentenza cfr. G. Arena, L’amministrazione condivisa ed i suoi sviluppi nel rapporto con cittadini ed enti del Terzo Settore, in «Giurisprudenza costituzionale», n. 3/2020, pp. 1449 ss.; F. Giglioni, L’amministrazione condivisa è parte integrante della Costituzione italiana, in www.labsus.org, 16 luglio 2020; L. Gori, Gli effetti giuridici “a lungo raggio” della sentenza n. 131 del 2020 della Corte Costituzionale, in «Impresa sociale», n. 3/2020, pp. 89 ss.; E. Rossi, Il fondamento del Terzo settore è nella Costituzione. Prime osservazioni sulla sentenza n. 131 del 2020 della Corte costituzionale, in «Forum di Quaderni Costituzionali», n. 3/2020.
[16] L. Salvemini, Dal cambiamento climatico alla modifica della Costituzione: i passi per la tutela del futuro (non solo nostro), in «Federalismi.it», n. 20/2021, pp. 75 ss.
[17] G. Santini, Costituzione e ambiente: la riforma degli artt. 9 e 41 Cost., in «Forum di Quaderni Costituzionali», n. 2/2021.
[18] L. Vandelli (aggiornamento a cura di Claudia Tubertini), Il sistema delle autonomie locali, Bologna, Il Mulino, 2021, p. 242.
[19] Mi si permetta il rinvio a C. Tubertini, L’organizzazione dei poteri locali nei sistemi regionali, in E. Carloni e F. Cortese (a cura di), Diritto delle autonomie territoriali, Milano, Cedam-Wolters Kluwer, 2020, pp. 285 ss.
[20] Su cui si v. ad es. F. Giglioni, La rigenerazione dei beni urbani di fonte comunale in particolare confronto con la funzione di gestione del territorio, in F. Di Lascio e F. Giglioni (a cura di), La rigenerazione di beni e di spazi urbani. Contributo al diritto delle città, Bologna, Il Mulino, 2017, p. 227.
[21] Sull’opportunità di valorizzare e non ingabbiare la dinamicità e innovatività della realtà sociale, nella pluralità delle sue manifestazioni, che trovano espressione primariamente nella differenziazione territoriale, con riferimento al ruolo della legislazione regionale, A. Albanese, La collaborazione fra enti pubblici e Terzo settore nell’ambito dei servizi sociali: bilanci e prospettive, in corso di pubblicazione in «Istituzioni del Federalismo», n. 3/2022.