Giorgia Pavani, Stefania Profeti, Claudia Tubertini
Le città collaborative ed eco-sostenibili
DOI: 10.1401/9788815410221/c2
È la rilevanza dei settori di competenza legislativa regionale, che coprono sostanzialmente tutti gli ambiti d’intervento dei livelli di governo comunale e di area vasta, a far sì che le regioni abbiano esercitato, e tuttora possano esercitare, un forte condizionamento nel concreto assetto delle funzioni locali ed anche nella individuazione dei modelli di esercizio delle stesse. Per questo motivo, il coordinamento tra strumenti di amministrazione condivisa e previsioni della legislazione regionale (in primo luogo, per ciò che concerne gli obiettivi di tutela dell’ambiente, la legislazione urbanistica, particolarmente in tema di rigenerazione urbana [20]
e di difesa del suolo, ma anche quella sulla valorizzazione dei beni culturali, e di disciplina dei servizi pubblici locali) appare di fondamentale importanza per la piena realizzazione di un modello di città eco-solidale. Ma il ruolo della regione può concepirsi anche in funzione sussidiaria, come un intervento di supporto e di coordinamento, nell’ottica di condivisione di buone pratiche, di riconoscimento delle esperienze maturate e di adeguato sostegno finanziario; senza escludere, peraltro, anche l’utilità della definizione di alcuni tratti indefettibili del regime giuridico dell’amministrazione condivisa, non in prospettiva dirigistica e uniformante, bensì di certezza e di garanzia di applicabilità [21]
.
{p. 75}
Quanto al rapporto tra città collaborative e competenze dello Stato, la dottrina che ha inizialmente espresso obiezioni nei confronti di un intervento uniformante in tema di pratiche sussidiarie da parte del legislatore [22]
ha sostenuto che sia necessario mantenere la flessibilità e l’informalità delle relazioni implicate da tali pratiche, che ne hanno consentito una spiccata capacità di adattarsi alle trasformazioni del contesto circostante.
Ma il grado di diffusione raggiunto da questi strumenti e gli ostacoli e le incertezze di ordine giuridico che ne hanno sinora limitato la piena attuazione sono spesso derivate proprio dal mancato coordinamento con i contenuti della legislazione statale; lo dimostra l’importanza dell’avvenuta approvazione del Codice del terzo settore (d.lgs. 117/2017), che questa stessa dottrina ha interpretato come un passaggio fondamentale per ridefinire i rapporti tra pubbliche amministrazioni e cittadini in chiave di sussidiarietà orizzontale [23]
. Nel Codice si mettono a punto, infatti, come si vedrà, strumenti specifici mirati a regolare i rapporti tra enti pubblici e gli enti del terzo settore sulla base di una sussidiarietà che si accompagna esplicitamente al principio di collaborazione, applicabile per il perseguimento di «finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale» (art. 2), secondo un’accezione talmente ampia da rendere applicabile il modello a tutti i campi dell’azione amministrativa.
Lo stesso legislatore, del resto, ha inteso preservare uno spazio di autonomia agli enti locali, scegliendo per l’attuazione delle disposizioni del Codice uno strumento di soft law, le linee guida, che supportano le amministrazioni con indicazioni orientative di natura interpretativa e procedimentale [24]
, {p. 76}facendo peraltro espressamente salve le disposizioni statali e regionali che disciplinano l’approvazione degli strumenti di programmazione da parte degli enti territoriali.
La competenza del legislatore statale si rivela altrettanto cruciale per la realizzazione di una chiara actio finium regundorum tra modello della co-amministrazione e modello dell’attività di diritto privato della p.a. La vicenda che ha riguardato l’interpretazione delle norme del Codice appalti (d.lgs. 50/2016) è emblematica della necessità di un adeguato coordinamento tra evoluzione dei modelli di amministrazione condivisa e disciplina degli strumenti contrattuali di collaborazione pubblico-privata, retti dai principi del diritto europeo in tema di tutela della concorrenza. L’originaria lettura in termini residuali degli istituti del Codice del terzo settore rispetto alla disciplina del Codice appalti, sostenuta dal Consiglio di Stato [25]
ma sconfessata dalla Corte costituzionale nella già citata sentenza 131/2020 [26]
, ha reso infatti necessario un intervento correttivo del legislatore, che modificandone gli artt. 30, 49 e 140 ha dovuto chiarire che gli istituti dell’amministrazione condivisa sono, a pieno titolo, parte degli strumenti a disposizione delle pubbliche amministrazioni per concludere rapporti con il terzo settore, riconoscendone implicitamente la compatibilità con il quadro europeo in materia di rapporti tra p.a. e soggetti privati e la non subalternità rispetto agli strumenti già previsti dal {p. 77}Codice appalti [27]
. Si comprendono, quindi, le preoccupazioni che ruotano attorno al contenuto della riforma del Codice dei contratti pubblici di imminente approvazione, che, sia pur ribadendo l’estraneità dei modelli di collaborazione previsti dal Codice del terzo settore alle procedure di evidenza pubblica, sembra volerne delimitare il campo di applicazione al solo settore sociale in senso stretto [28]
e sottoporli al «principio del risultato» (art. 3), con possibili risvolti applicativi tutti da chiarire [29]
.
È evidente che se il legislatore interviene per la definizione di alcuni tratti indefettibili del regime giuridico dell’amministrazione condivisa, l’intervento deve ispirarsi a fini di certezza e di garanzia di applicabilità in ambiti nei quali, sino ad ora, le incertezze di ordine normativo hanno costituito un ostacolo, e non alimentare altri dubbi.{p. 78}
Nel ragionare sullo spazio per una normazione statale o regionale in materia di amministrazione condivisa, si deve naturalmente tener conto del vincolo generale dettato dall’art. 117, c. 1 Cost. al rispetto dell’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali. Questo limite, infatti, deve essere letto non solo in negativo (per esempio, come limite all’introduzione di deroghe alla disciplina europea in materia di tutela della concorrenza e di contratti pubblici), ma anche in positivo, come legittimazione e impegno ad una applicazione nazionale degli obblighi discendenti dal diritto internazionale e dell’Unione europea all’adozione di strumenti e politiche per la partecipazione, l’inclusione sociale, la protezione dell’ambiente, la lotta ai cambiamenti climatici [30]
.

4. Dalla partecipazione alla co-amministrazione nell’evoluzione dell’ordinamento locale

Partecipazione e collaborazione presentano senz’altro un nesso inscindibile, potendo considerarsi la seconda la naturale evoluzione della prima: entrambe si collocano all’interno di un metodo di governo fondato sulla costruzione condivisa della democrazia [31]
. Del resto, nell’ampio concetto di partecipazione vengono ricompresi aspetti del rapporto tra cittadini ed amministrazione di natura e rilievo assai variegati, che per obiettivi perseguiti, principi e valori coinvolti, possono essere, di volta in volta democratici, solidaristici, garantistici, efficientistici o presentare la combinazione di uno o più di {p. 79}essi [32]
. Ad una partecipazione di natura collaborativa, in cui il coinvolgimento dei cittadini, singoli o associati, è destinato comunque a confluire in una decisione degli organi dell’ente, nella prassi dell’amministrazione locale si sono affiancate forme di partecipazione anche di tipo decisorio, in cui ai cittadini viene demandata la scelta sostanziale che conclude il processo decisionale. Tale evoluzione è stata incoraggiata dal legislatore statale sin dalla previsione, contenuta nella l. 142 del 1990, per cui compito degli statuti locali è quello di valorizzare le libere forme associative e di promuovere organismi di partecipazione dei cittadini all’amministrazione locale, anche su base di quartiere o di frazione, disposizione che è rimasta immodificata nel TUEL (art. 8); così come quella che prevede l’obbligo per gli enti locali di favorire l’accesso alle strutture ed ai servizi agli enti, alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni al fine di rendere effettiva la partecipazione dei cittadini all’attività dell’amministrazione (art. 10, c. 3 TUEL). È senz’altro possibile affermare che proprio dallo sviluppo di queste disposizioni, e grazie all’opera creativa delle amministrazioni locali, ed in particolare dei comuni, si è dato vita a quelle pratiche partecipative che hanno poi incoraggiato i modelli di più intensa cooperazione tra cittadini ed amministrazione, secondo una linea evolutiva (dalla partecipazione al decidere alla partecipazione al fare) [33]
nella quale gli istituti partecipativi possono considerarsi premessa e presupposto degli istituti dell’amministrazione condivisa. Del resto, nei più evoluti statuti e regolamenti locali la collaborazione dialogante viene messa al servizio della collaborazione sussidiante [34]
, ovvero, delle decisioni e delle strategie concernenti la cura dei beni comuni; e questo stesso nesso è stato colto, come si vedrà, in parte della legislazione regionale, soprattutto nella direzione del sostegno finanziario
{p. 80}alle nuove forme di partecipazione e poi, quasi naturalmente, anche all’amministrazione condivisa. Per questo motivo, i variegati istituti della democrazia partecipativa [35]
– da quelli di mera consultazione, come gli organismi consultivi, i town meeting, le consultazioni on line a quelli di effettiva influenza, come il dibattito pubblico, o addirittura di assunzione della decisione, come il bilancio partecipativo – vengono a giusto titolo considerati parte di un’unica strategia nella quale l’attivazione della comunità può anche condurre a forme di co-amministrazione: lo dimostra anche la circostanza che l’amministrazione condivisa si sia sviluppata generalmente a valle di altre forme di sperimentazione del coinvolgimento della cittadinanza, via via realizzate e poi disciplinate a livello locale [36]
. Le pratiche partecipative, peraltro, sembrano non aver esaurito la loro gamma di possibili forme e strumenti e si presentano particolarmente adatte al coinvolgimento della cittadinanza nella risoluzione di problemi ambientali: si pensi all’esperienza delle assemblee cittadine sul clima, le cui raccomandazioni – come nel caso di quella di Bologna – devono essere esaminate entro termini perentori dal Consiglio comunale, con un dovere di motivazione rafforzata in caso di mancato accoglimento [37]
(v. cap. 3, § 3.3). Come per le pratiche collaborative, anche per quelle partecipative il processo di solidificazione normativa di prassi vigenti sui territori può quindi contribuire al processo di costruzione di un quadro giuridico per le città collaborative, che ne incoraggi lo sviluppo senza tuttavia privarle della capacità di sperimentazione che è stata, sinora, la loro forza.{p. 81}
Note
[20] Su cui si v. ad es. F. Giglioni, La rigenerazione dei beni urbani di fonte comunale in particolare confronto con la funzione di gestione del territorio, in F. Di Lascio e F. Giglioni (a cura di), La rigenerazione di beni e di spazi urbani. Contributo al diritto delle città, Bologna, Il Mulino, 2017, p. 227.
[21] Sull’opportunità di valorizzare e non ingabbiare la dinamicità e innovatività della realtà sociale, nella pluralità delle sue manifestazioni, che trovano espressione primariamente nella differenziazione territoriale, con riferimento al ruolo della legislazione regionale, A. Albanese, La collaborazione fra enti pubblici e Terzo settore nell’ambito dei servizi sociali: bilanci e prospettive, in corso di pubblicazione in «Istituzioni del Federalismo», n. 3/2022.
[22] Sui rischi connessi all’eccessivo irrigidimento che inevitabilmente una disciplina legislativa porterebbe con sé, già rilevato per le leggi in materia di sussidiarietà, F. Giglioni, Legislazione regionale in materia di sussidiarietà orizzontale: la legislazione regionale non può essere lesiva dell’autonomia regolamentare degli enti locali, in www.labsus.org, 6/12/2016.
[23] Così F. Giglioni, Consolidamento e sviluppo dell’amministrazione condivisa, in «Federalismi.it», n. 20/2022, p. 207.
[24] Si fa riferimento al decreto del ministero del Lavoro e delle politiche sociali n. 72 del 31 marzo 2022 (linee guida sul rapporto tra Pubbliche Amministrazioni ed enti del Terzo settore) che, come si vedrà, sono fondamentali per la ricostruzione dei tratti distintivi dei modelli di collaborazione.
[25] Ci si riferisce al parere n. 2052/2018, poi ribadito dalla sentenza della sez. III, 3 agosto 2020, secondo il quale il Codice degli appalti pubblici, d.lgs. 50/2016, troverebbe applicazione anche ne «l’affidamento dei servizi sociali, comunque sia disciplinato dal legislatore nazionale», soggetto alla «normativa pro-concorrenziale di origine europea, in quanto rappresenta (…) in termini euro-unitari, un “appalto”». Le norme del Codice del Terzo settore potrebbero essere applicate solo in caso di assoluta gratuità delle prestazioni e di una motivazione puntuale che documenti «la ricorrenza (…) degli specifici profili che sostengono, motivano e giustificano il ricorso a procedure che tagliano fuori ex ante gli operatori economici tesi a perseguire un profitto».
[26] Arena, L’amministrazione condivisa ed i suoi sviluppi nel rapporto con cittadini ed enti del Terzo Settore, cit., p. 1449.
[27] Si vedano le disposizioni modificate dal d.l. 76/2020, laddove si sancisce che gli istituti dell’«amministrazione condivisa» (artt. 55-57 Cts) sono soggetti alle disposizioni della legge sul procedimento amministrativo n. 241 del 1990 ed alla disciplina del codice civile per ciò che attiene alla fase di stipula degli accordi contrattuali ed all’esecuzione degli stessi (art. 30, c. 8 d.lgs. 50/2016). Non è ammissibile, quindi, una lettura che sostenga che il Codice del terzo settore si applichi «in via residuale» rispetto al Codice dei contratti pubblici, bensì i Codici si muovono su un piano di parità (cfr. art. 59, c. 1 e art. 140 d.lgs. 50/2016). Questa stessa interpretazione era stata anticipata dalla Regione Toscana (l.r. 65/2020), con una disposizione non impugnata da parte del Governo. L’Autorità nazionale anticorruzione ha poi chiarito che la scelta tra le diverse modalità disponibili di svolgimento del servizio spetta alle amministrazioni: laddove ricada su modalità di svolgimento del servizio quali la co-programmazione e co-progettazione, le convenzioni con le Organizzazioni di volontariato e le Associazioni di promozione sociale, o le forme di autorizzazione o accreditamento previste dalla legislazione regionale, non si applica il Codice appalti (ANAC, Linee guida sull’affidamento dei servizi sociali, 27/07/2022).
[28] Ci si riferisce allo schema di Codice dei contratti pubblici predisposto dal Consiglio di Stato in attuazione dell’art. 1 della l. 21 giugno 2022, n. 78, recante «Delega al Governo in materia di contratti pubblici» approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri il 16/12/2022, che nel nuovo articolo 6 pone in relazione i modelli di co-amministrazione con le «attività a spiccata valenza sociale», anziché fare riferimento alle attività di interesse generale.
[29] G. Marocchi e A. Santuari, Terzo settore e Pa: dal nuovo Codice degli appalti più dubbi che certezze, in «Welforum.it», 29/11/2022.
[30] Il riferimento essenziale e d’obbligo è l’accordo internazionale sul clima di Parigi promosso dalle Nazioni Unite adottato il 12 dicembre 2015 e ratificato dall’UE nel 2016, che costituisce il presupposto degli atti di programmazione internazionali, europei e nazionali adottati negli anni più recenti per far fronte ai cambiamenti climatici. Per ulteriori riferimenti si veda cap. 1. § 2.3.
[31] Sottolinea questo continuum tra partecipazione e sussidiarietà orizzontale A. Valastro, La democrazia partecipativa alla prova dei territori: tendenze e prospettive dei regolamenti locali, in «Osservatorio sulle fonti», n. 3/2016, p. 14.
[32] Vandelli, Il sistema delle autonomie locali, cit., p. 236.
[33] Riprendendo l’espressione di Valastro, La democrazia partecipativa alla prova dei territori, cit., p. 27.
[34] La distinzione è di D. Donati, Le città collaborative: forme, garanzie e limiti delle relazioni orizzontali, in «Istituzioni del Federalismo», n. 4/2019, p. 964.
[35] La cui difficoltà di catalogazione era già stata evidenziata da U. Allegretti, Democrazia partecipativa, in Enciclopedia del diritto, Annali IV, Milano, Giuffrè, 2011, pp. 295 ss.
[36] Sul punto si veda ad es. la rassegna dei regolamenti locali in tema di collaborazione civica adottati da alcune città in C. Cavallaro, L. Giachi e F. Proia, Amministrazioni alla prova dell’art. 118 c.4 della Costituzione: prassi per un’amministrazione condivisa, in «Federalismi.it», n. 20/2022, pp. 190 ss.
[37] Su questa esperienza, si v. M. De Donno, Emergenza climatica e democrazia partecipativa: a proposito delle assemblee cittadine per il clima, in «Giornale di diritto amministrativo», n. 6/2022, pp. 755 ss.