Giorgia Pavani, Stefania Profeti, Claudia Tubertini
Le città collaborative ed eco-sostenibili
DOI: 10.1401/9788815410221/c2
Partecipazione e collaborazione presentano senz’altro un nesso inscindibile, potendo considerarsi la seconda la naturale evoluzione della prima: entrambe si collocano all’interno di un metodo di governo fondato sulla costruzione condivisa della democrazia [31]
. Del resto, nell’ampio concetto di partecipazione vengono ricompresi aspetti del rapporto tra cittadini ed amministrazione di natura e rilievo assai variegati, che per obiettivi perseguiti, principi e valori coinvolti, possono essere, di volta in volta democratici, solidaristici, garantistici, efficientistici o presentare la combinazione di uno o più di {p. 79}essi [32]
. Ad una partecipazione di natura collaborativa, in cui il coinvolgimento dei cittadini, singoli o associati, è destinato comunque a confluire in una decisione degli organi dell’ente, nella prassi dell’amministrazione locale si sono affiancate forme di partecipazione anche di tipo decisorio, in cui ai cittadini viene demandata la scelta sostanziale che conclude il processo decisionale. Tale evoluzione è stata incoraggiata dal legislatore statale sin dalla previsione, contenuta nella l. 142 del 1990, per cui compito degli statuti locali è quello di valorizzare le libere forme associative e di promuovere organismi di partecipazione dei cittadini all’amministrazione locale, anche su base di quartiere o di frazione, disposizione che è rimasta immodificata nel TUEL (art. 8); così come quella che prevede l’obbligo per gli enti locali di favorire l’accesso alle strutture ed ai servizi agli enti, alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni al fine di rendere effettiva la partecipazione dei cittadini all’attività dell’amministrazione (art. 10, c. 3 TUEL). È senz’altro possibile affermare che proprio dallo sviluppo di queste disposizioni, e grazie all’opera creativa delle amministrazioni locali, ed in particolare dei comuni, si è dato vita a quelle pratiche partecipative che hanno poi incoraggiato i modelli di più intensa cooperazione tra cittadini ed amministrazione, secondo una linea evolutiva (dalla partecipazione al decidere alla partecipazione al fare) [33]
nella quale gli istituti partecipativi possono considerarsi premessa e presupposto degli istituti dell’amministrazione condivisa. Del resto, nei più evoluti statuti e regolamenti locali la collaborazione dialogante viene messa al servizio della collaborazione sussidiante [34]
, ovvero, delle decisioni e delle strategie concernenti la cura dei beni comuni; e questo stesso nesso è stato colto, come si vedrà, in parte della legislazione regionale, soprattutto nella direzione del sostegno finanziario
{p. 80}alle nuove forme di partecipazione e poi, quasi naturalmente, anche all’amministrazione condivisa. Per questo motivo, i variegati istituti della democrazia partecipativa [35]
– da quelli di mera consultazione, come gli organismi consultivi, i town meeting, le consultazioni on line a quelli di effettiva influenza, come il dibattito pubblico, o addirittura di assunzione della decisione, come il bilancio partecipativo – vengono a giusto titolo considerati parte di un’unica strategia nella quale l’attivazione della comunità può anche condurre a forme di co-amministrazione: lo dimostra anche la circostanza che l’amministrazione condivisa si sia sviluppata generalmente a valle di altre forme di sperimentazione del coinvolgimento della cittadinanza, via via realizzate e poi disciplinate a livello locale [36]
. Le pratiche partecipative, peraltro, sembrano non aver esaurito la loro gamma di possibili forme e strumenti e si presentano particolarmente adatte al coinvolgimento della cittadinanza nella risoluzione di problemi ambientali: si pensi all’esperienza delle assemblee cittadine sul clima, le cui raccomandazioni – come nel caso di quella di Bologna – devono essere esaminate entro termini perentori dal Consiglio comunale, con un dovere di motivazione rafforzata in caso di mancato accoglimento [37]
(v. cap. 3, § 3.3). Come per le pratiche collaborative, anche per quelle partecipative il processo di solidificazione normativa di prassi vigenti sui territori può quindi contribuire al processo di costruzione di un quadro giuridico per le città collaborative, che ne incoraggi lo sviluppo senza tuttavia privarle della capacità di sperimentazione che è stata, sinora, la loro forza.{p. 81}

5. Gli strumenti di autonomia locale: i regolamenti ed i patti

Giunti a questo punto della trattazione, è inevitabile soffermarsi sugli strumenti principe da cui è derivata l’affermazione del modello della co-amministrazione, riconducibili all’autonomia normativa riconosciuta agli enti locali dagli art. 114 e 117, c. 6 della Costituzione, considerata in grado di estendersi a tutti i profili concernenti l’organizzazione e lo svolgimento, in senso ampio, sia delle funzioni loro attribuite dalla legge, sia delle complessive attività di cui essi assumano liberamente la titolarità e la responsabilità nei confronti dei propri amministrati. In tal senso, l’esercizio della potestà regolamentare è stato ritenuto lo strumento principale attraverso il quale i comuni potevano farsi interpreti diretti della Costituzione senza la necessità del filtro della legislazione, quali portavoce degli interessi della propria comunità [38]
. È questa, del resto, la lettura che è stata data ai regolamenti comunali per la cura, la gestione condivisa e la rigenerazione dei beni comuni urbani, apparsi per la prima volta nel panorama normativo nel 2014, ad opera del già citato Regolamento del comune di Bologna [39]
, a cui ha fatto seguito l’adozione di analoghe disposizioni da parte di quasi trecento amministrazioni locali, nella maggior parte comunali [40]
(v. cap. 3, § 3.1). Per la divulgazione di questo modello, fondamentale è stato il supporto di Labsus, che ha favorito la costruzione di reti tra le città, il confronto sui problemi applicativi, e supportato anche l’utilizzo di pratiche partecipative per l’elaborazione dei regolamenti locali.
Oltre a trarre legittimazione dalla riserva regolamentare assegnata dall’articolo 117, c. 6 della Costituzione agli enti locali, tali regolamenti sono considerati una diretta attuazione del principio di sussidiarietà orizzontale, giacché rispondono {p. 82}al fine di offrire un’idonea veste giuridica alle manifestazioni sociali funzionali al perseguimento di interessi generali, così da ricavare uno spazio di conciliazione tra la legalità (che orienta l’azione amministrativa) e l’autonomia privata [41]
, valorizzando per l’appunto ciò che costituisce l’essenza della sussidiarietà orizzontale, ovvero il ruolo attivo, sussidiario, del cittadino nel perseguimento dell’interesse generale [42]
.
Lo strumento con il quale le amministrazioni locali intercettano le potenzialità dei cittadini, singoli e associati, per farle dapprima emergere e quindi convergere nella realizzazione di interventi di cura dei beni comuni che migliorino la vita dell’intera collettività, è il patto di collaborazione, che rappresenta il cardine stesso su cui si strutturano i regolamenti sui beni comuni, sancendo in termini giuridici l’alleanza tra i cittadini e l’amministrazione declinata nelle forme della collaborazione civica [43]
.
I patti rappresentano, infatti, un atto negoziale con cui determinati soggetti privati (inquadrati come proponenti) e le amministrazioni interessate individuano congiuntamente i beni meritevoli di un intervento di cura, di gestione condivisa e di rigenerazione, concordando l’attuazione da parte dei primi di specifiche azioni, tese a garantire una miglior fruizione di tali beni, nonché l’impiego da parte delle seconde di apposite forme di sostegno che, in varia misura, possano agevolare le attività dei cittadini e assicurare il conseguimento degli obiettivi prefissati.
L’iniziativa, a seconda dei casi, può spettare ai cittadini stessi oppure scaturire da una sollecitazione dell’amministrazione; al contempo, gli interventi pattuiti possono essere più o meno complessi, con la conseguente adozione di schemi pattizi basati su standard predefiniti ovvero che lascino più margini a una negoziazione creativa.{p. 83}
Alcune caratteristiche del regolamento di Bologna (in particolare, la flessibilità nell’applicazione degli strumenti disciplinati, l’individuazione di possibili destinatari ulteriori rispetto a singoli cittadini ed ai gruppi informali, nonché la predisposizione di forme tangibili di sostegno all’azione dei soggetti proponenti) sono senz’altro alla base del successo del modello, replicato da un numero sempre crescente di comuni, che a volte ne hanno riprodotto pedissequamente il contenuto testuale, altre volte hanno apportato modifiche che, nella maggior parte dei casi, non ne intaccano la portata sostanziale. Le variazioni più ricorrenti attengono all’esatto inquadramento dei patti di collaborazione (se come atti di diritto privato, o, più correttamente [44]
, accordi di diritto pubblico o senza alcuna specificazione), alla procedura da seguire per raggiungere l’accordo tra le parti (con una competenza esclusiva in capo agli uffici tecnici di settore oppure con un margine di decisione rimesso agli organi politici), all’ampia gamma degli interventi da realizzarsi (dove alla cura, occasionale o continuata, e alla rigenerazione può associarsi la gestione condivisa), alla tipologia del sostegno che l’amministrazione può garantire (con la previsione o meno di un sostegno diretto in danaro, o forme di assicurazione per i volontari coinvolti, e così via).
Diverse sono altresì le caratteristiche di contesto dei comuni interessati, giacché l’adozione dei regolamenti per i beni comuni ha finito per riguardare non solo capoluoghi di città metropolitane o di provincia, ma anche (ed anzi, è il caso numericamente più rilevante) comuni di medie e di piccole dimensioni, con densità abitative e conformazione {p. 84}territoriale assai differenziata. Un elemento in comune è però presente: la spiccata attitudine dei patti, nella prassi sinora nota, a collaborare agli obiettivi di sostenibilità ambientale e miglioramento climatico, superando il mero recupero e riqualificazione dell’esistente verso una vera e propria rigenerazione urbana [45]
. Del resto, la tutela dell’ambiente non può che prendere inizio dalle città, minimizzando gli impatti dei rifiuti e dei trasporti, favorendo la rigenerazione del patrimonio urbano esistente e la cura del verde pubblico [46]
.
È bene sottolineare che nonostante i patti di collaborazione siano generalmente atti attuativi dei regolamenti comunali per l’amministrazione condivisa, la loro adozione può anche prescinderne: nella prassi, infatti, sono stati stipulati anche patti di collaborazione in assenza di un quadro regolamentare predefinito, circostanza che, peraltro, ha in alcuni casi spinto il legislatore regionale ad intervenire in funzione di copertura normativa. È altrettanto importante segnalare che non sempre l’adozione dello strumentario normativo per la stipulazione dei patti di collaborazione ha permesso, di per sé, un loro efficace sviluppo. Per questo motivo, si sta diffondendo la consapevolezza della necessità che le istituzioni locali adeguino anche la propria organizzazione a questo nuovo modello di amministrazione, così come è avvenuto, in passato, per l’amministrazione di prestazione: con misure di trasparenza e di comunicazione, la predisposizione di appositi uffici, strutture di monitoraggio e valutazione degli
{p. 85}effetti [47]
, sino all’individuazione di nuove figure interne – come il responsabile unico del procedimento o il facilitatore – specificamente deputate a presidiare il procedimento di elaborazione e stipulazione dei patti [48]
.
Note
[31] Sottolinea questo continuum tra partecipazione e sussidiarietà orizzontale A. Valastro, La democrazia partecipativa alla prova dei territori: tendenze e prospettive dei regolamenti locali, in «Osservatorio sulle fonti», n. 3/2016, p. 14.
[32] Vandelli, Il sistema delle autonomie locali, cit., p. 236.
[33] Riprendendo l’espressione di Valastro, La democrazia partecipativa alla prova dei territori, cit., p. 27.
[34] La distinzione è di D. Donati, Le città collaborative: forme, garanzie e limiti delle relazioni orizzontali, in «Istituzioni del Federalismo», n. 4/2019, p. 964.
[35] La cui difficoltà di catalogazione era già stata evidenziata da U. Allegretti, Democrazia partecipativa, in Enciclopedia del diritto, Annali IV, Milano, Giuffrè, 2011, pp. 295 ss.
[36] Sul punto si veda ad es. la rassegna dei regolamenti locali in tema di collaborazione civica adottati da alcune città in C. Cavallaro, L. Giachi e F. Proia, Amministrazioni alla prova dell’art. 118 c.4 della Costituzione: prassi per un’amministrazione condivisa, in «Federalismi.it», n. 20/2022, pp. 190 ss.
[37] Su questa esperienza, si v. M. De Donno, Emergenza climatica e democrazia partecipativa: a proposito delle assemblee cittadine per il clima, in «Giornale di diritto amministrativo», n. 6/2022, pp. 755 ss.
[38] Così F. Giglioni, I regolamenti comunali per la gestione dei beni comuni urbani come laboratorio per un nuovo diritto delle città, in «Munus», n. 2/2016, p. 285.
[39] Deliberazione del consiglio comunale n. 172 del 2014.
[40] Un report accurato della diffusione di tali regolamenti è rinvenibile sul portale di Labsus, alla voce https://www.labsus.org/i-regolamenti-per-lamministrazione-condivisa-dei-beni-comuni/.
[41] Così Giglioni, I regolamenti comunali, cit., p. 287.
[42] Così D. Donati, Il paradigma sussidiario. Interpretazione, estensioni, garanzia, Bologna, Il Mulino, 2013, p. 48.
[43] Cfr. G. Arena, Democrazia partecipativa e amministrazione condivisa, in Valastro (a cura di), Le regole locali della democrazia partecipativa, cit., pp. 235-237.
[44] Si condivide l’opinione di chi ritiene che l’oggetto di questi patti – aventi ad oggetto l’uso a fini pubblici di beni e risorse che riguardano una comunità – li renda più simili agli accordi ex art. 11 l. 241/1990: norma che, peraltro, richiama i principi delle obbligazioni e dei contratti in quando compatibili. La questione è stata molto dibattuta in sede dottrinale: per una accurata ricostruzione delle diverse posizioni, Giglioni, Forme e strumenti dell’amministrazione condivisa, cit., p. 88 ss. Sull’assimilazione dei patti di collaborazione agli accordi tra privati e pubblica amministrazione concorda anche G. Arena, Da beni pubblici a beni comuni, in «Rivista trimestrale di diritto pubblico», n. 3/2022, p. 649.
[45] Sul tema si v., ex multis, G. Piperata, Rigenerare i beni e gli spazi delle città: attori, regole, azioni, in E. Fontanari e G. Piperata (a cura di), Agenda RE-CYCLE. Proposte per reinventare le città, Bologna, Il Mulino, 2017, pp. 28 ss.; M.V. Ferroni, Le forme di collaborazione per la rigenerazione di beni e spazi urbani, in «Nomos», n. 3/2017, pp. 3 ss.; F. Giglioni, La sostenibilità ambientale come vincolo giuridico per la rigenerazione urbana, in «Rivista quadrimestrale di diritto dell’ambiente», n. 1/2020, pp. 16 ss.
[46] Cfr. A. Sola, I privati nella gestione delle emergenze ambientali: i patti di collaborazione, in «AmbienteDiritto», n. 1/2019, p. 15, che riporta anche una serie di esempi significativi di patti di collaborazione a tutela dell’ambiente.
[47] M. Bombardelli, L’organizzazione dell’amministrazione condivisa, in Arena e Bombardelli (a cura di), L’amministrazione condivisa, cit., pp. 128 ss.
[48] Si v. il Regolamento per l’amministrazione condivisa del Comune di Roma, approvato dalla Giunta nel mese di novembre 2022 ed in corso di approvazione da parte dell’Assemblea capitolina, secondo il quale il R.U.P. gestisce il rapporto di collaborazione fra i cittadini attivi coinvolti nell’attuazione delle azioni previste dal patto e l’amministrazione per l’intera durata del patto. È invece figura facoltativa quella del facilitatore (o promotore civico), che garantisca una adeguata conoscenza del nuovo regolamento e delle sue potenzialità applicative.