Giorgia Pavani, Stefania Profeti, Claudia Tubertini
Le città collaborative ed eco-sostenibili
DOI: 10.1401/9788815410221/c2
Il quadro generale, quindi, dimostra la presenza di ampi margini di maggiore diffusione di politiche regionali volte ad incoraggiare, sostenere, ed eventualmente anche armonizzare i contenuti ed il procedimento di adozione dei patti di collaborazione [55]
. Certamente, tale intervento deve svolgersi nell’assoluto rispetto dell’autonomia normativa locale: un’autonomia che, ovviamente, non può considerarsi una riserva di regolamento, ma che va pur sempre preservata per non portare ad uno stravolgimento del modello dell’amministrazione condivisa, nato proprio dall’esercizio di questa autonomia. Si può forse immaginare un intervento più incisivo regionale nei contesti territoriali dove queste pratiche siano meno note e praticate, ed uno, invece, più di sostegno ed accompagnamento laddove vi sia già una prassi consolidata e diffusa; e tenendo comunque in considerazione che, come è stato acutamente rilevato, «se è solo la politica a ricercare le forme di collaborazione, si può creare una distorsione legata alla ricerca insana del consenso» [56]
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Il ruolo della legislazione regionale, tuttavia, come si è già anticipato non è rilevante solo in relazione alla promozione e/o alla disciplina dei patti di collaborazione: è tutta la legislazione regionale di settore che deve essere adeguata all’esistenza di questo «quarto modello» di amministrazione; che deve quindi tenerne conto nella disciplina delle funzioni amministrative locali, anzitutto, ma anche proprie, ed incoraggiarne l’utilizzo.
In molti casi, infatti, è proprio dalla legislazione regionale che possono nascere le condizioni abilitanti per l’applicazione del metodo dell’amministrazione condivisa, come dimostra, del resto, la più evoluta legislazione regionale in materia di rigenerazione urbana, risorse naturali appartenenti al patrimonio regionale, servizi sociali.
In questa stessa prospettiva, e guardando, da ultimo, al Codice del terzo settore, la legislazione regionale può senz’altro contribuire a quella lettura estensiva e sistematica dei modelli di collaborazione in esso disciplinati che, come si è visto, alcune amministrazioni locali hanno tentato tramite lo strumento regolamentare. È il caso, nuovamente, della Regione Toscana, la cui l. 65/2020 rappresenta un chiaro tentativo di iscrivere la riforma del terzo settore nel più ampio quadro giuridico-costituzionale dell’amministrazione condivisa, definita quale modello ordinario da applicarsi nei rapporti con gli enti del terzo settore per lo svolgimento di attività di interesse generale e che prende in considerazione al suo interno anche soggetti diversi da quelli a cui si applicano le disposizioni del Codice [57]
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7. Gli strumenti della legislazione statale

La ricognizione degli strumenti giuridici dell’amministrazione condivisa va completata con lo spazio ad essi riservato nella legislazione statale.
In primo luogo, va chiarito che anche in mancanza di una espressa qualificazione legislativa, possono considerarsi riconducibili all’amministrazione condivisa meccanismi di cooperazione previsti dalla legge che presentino quegli elementi che si sono sopra indicati come i tratti distintivi del modello, ovvero, l’iniziativa spontanea dei cittadini, singoli o associati, la realizzazione di fini di interesse generale, l’assenza di corrispettività tra attività prestata dal privato e attività di supporto dell’amministrazione, e, last but not least, il radicamento locale.
Per questo motivo, non è corretto individuare nel solo, pur rilevantissimo, Codice del terzo settore la fonte statale in materia di amministrazione condivisa, seppure è quest’ultima ad aver introdotto, secondo l’interpretazione fornitane dalla Corte costituzionale, la disciplina fondamentale di attuazione dell’art. 118, c. 4 Cost., individuando gli strumenti di riferimento da applicare in caso di collaborazione pubblico-privata nello svolgimento di attività di interesse generale, in tutti i casi in cui la convergenza di obiettivi e l’aggregazione di risorse pubbliche e private si collochi al di là del mero scambio utilitaristico. Seguendo questo criterio, la dottrina ha giustamente ricondotto al paradigma dell’amministrazione condivisa, tra l’altro, gli accordi di valorizzazione previsti dall’art. 112 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, laddove si prevede la possibilità, oltre che per i privati proprietari di beni culturali, anche per le persone giuridiche private senza fine di lucro di partecipare a quei soggetti giuridici (c.d. organismi di programmazione culturale) cui può essere affidata la pianificazione strategica di sviluppo culturale ed i programmi relativi ai beni culturali di appartenenza pubblica; lo stesso articolo (c. 9) consente alle pubbliche amministrazioni la stipulazione di accordi con le associazioni culturali o di volontariato, dotate di adeguati requisiti, che abbiano per statuto finalità di promozione e {p. 92}diffusione della conoscenza dei beni culturali, aventi ad oggetto servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali. La sinora scarsa applicazione di questa previsione, in parte dovuta anche alla sua non chiara formulazione [58]
, potrebbe giovarsi del favor manifestato dalla più recente legislazione statale, e vieppiù dalla Corte costituzionale, per l’amministrazione condivisa come il modello di organizzazione volto al soddisfacimento di interessi generali. Del resto, già nell’art. 6 del Codice sopra citato, all’ultimo comma, è specificato che
La Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale
è quindi sostenibile anche un’interpretazione evolutiva di queste disposizioni, alla luce del Codice del terzo settore, con riferimento al perimetro dei soggetti ammessi alla stipulazione [59]
.
Al modello dell’amministrazione condivisa di beni comuni è stato ricondotto anche un altro strumento previsto dalla normativa statale, ovvero la concessione in uso gratuito sulla base di apposita convenzione, che il d.lgs. 159 del 2011, all’art 48, consente in riferimento a beni confiscati alla mafia, a favore di un’ampia congerie di soggetti espressione della società civile [60]
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Nella rassegna dei modelli di collaborazione pubblico-privata per finalità di interesse generale, non si può certamente dimenticare il d.l. 14/2017, che ha dato una cornice normativa al sistema consensuale di governance della sicurezza pubblica, prevedendo una pluralità di strumenti pattizi, tra cui in particolare i Patti per l’attuazione della sicurezza urbana tra sindaci e prefetti. Tali patti non rappresentano solo una forma di coordinamento interistituzionale, ma anche un’occasione di collaborazione con i cittadini: la legge prevede infatti che nell’ambito dei patti siano coinvolte le reti di volontari attraverso la predisposizione di appositi accordi per servizi ed interventi di prossimità rivolti alla prevenzione e al contrasto dei fenomeni di criminalità, in modo particolare per la tutela e la salvaguardia dell’arredo urbano, delle aree verdi e dei parchi cittadini (art. 5, c. 2, lett. a); si incentiva, poi, la collaborazione con enti e associazioni operanti nel privato sociale, in coerenza con le finalità del Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale, lì dove i patti sono predisposti con lo scopo di promuovere l’inclusione, la protezione e la solidarietà sociale eliminando i fattori di marginalità (art. 5, c. 2, lett. c-bis); si stabilisce inoltre che nell’ambito dei patti, per l’incremento dei servizi di controllo del territorio e della sua valorizzazione, possono essere individuate collaborazioni con enti pubblici anche non economici e con soggetti privati nei limiti di specifici obiettivi e del sostegno strumentale, finanziario e logistico (art. 7, c. 1). Il modello collaborativo è stato accolto in molti dei patti sinora stipulati, che hanno in effetti assunto la forma di patti «per la sicurezza urbana, integrata e partecipata», secondo un’accezione ampia di sicurezza urbana che include anche il benessere della società civile e la tutela dell’ambiente urbano [61]
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Gli esempi ora citati mostrano come, una volta individuati i tratti caratteristici del modello dell’amministrazione condivisa, e partendo dal presupposto che essa costituisca un {p. 94}quarto modello di amministrazione, da non confondere né ibridare con formule di natura contrattuale [62]
, come avvertito dalla Corte costituzionale, o comunque ispirata ad una logica economica [63]
, essa possa essere recepita ed applicata anche nella legislazione statale, in tutti i settori in cui appaia funzionale al perseguimento di obiettivi di interesse generale, con gli adattamenti e le specificità di volta in volta necessari.

8. La rilevanza e le potenzialità espansive degli istituti del Codice del terzo settore

Vediamo, infine, le disposizioni del Codice del terzo settore [64]
, che anzitutto identifica entro un’unica definizio
{p. 95}ne (enti del terzo settore, per l’appunto) svariate forme di aggregazione sociale elencate e distinte in varie tipologie [65]
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Note
[55] Su questo tema rinvio a C. Tubertini, Sviluppare l’amministrazione condivisa attraverso i principi di sussidiarietà verticale e orizzontale: riflessioni e proposte, in «Istituzioni del Federalismo», n. 4/2019, pp. 987 ss.
[56] Giglioni, Consolidamento e sviluppo dell’amministrazione condivisa, cit., p. 211.
[57] Per un commento alla legge si v. F. Sanchini, Il ruolo della legge regionale nella definizione dei rapporti p.a. – enti del Terzo settore. La “primogenitura” della Regione Toscana con la l. 22 luglio 2020, n. 65, in «Osservatorio sulle fonti», n. 1/2021, pp. 201 ss.
[58] Sul punto si v. B. Accettura, Politiche di valorizzazione e funzione sociale dei beni culturali. Pratiche di cittadinanza attiva, in «Federalismi.it», n. 16/2019, pp. 13 ss.
[59] In questo senso C. Vitale, Rigenerare per valorizzare. La rigenerazione urbana “gentile” e la riduzione delle diseguaglianze, in «Aedon», n. 2/2021, e M. Croce, Il perimetro soggettivo dei partenariati e le tipologie di privati per la valorizzazione del patrimonio culturale (tra profit e non profit), in A. Moliterni (a cura di), Patrimonio culturale e soggetti privati, Napoli, Editoriale Scientifica, 2019, pp. 101 ss.
[60] F. Giglioni, La collaborazione per la legalità: il caso dei beni confiscati alla criminalità organizzata, in «Etica pubblica», n. 2/2021, pp. 59 ss. Sull’opportunità di estendere anche i patti di collaborazione alla gestione dei beni confiscati alla mafia, per renderli immediatamente fruibili alla comunità fin dal momento del sequestro, Arena, Da beni pubblici a beni comuni, cit., p. 665.
[61] Sul tema si v., ad es., V. Antonelli, La sicurezza delle città tra diritti ed amministrazione, Milano, Cedam, 2018, spec. pp. 341-359, e R. Ursi, La sicurezza pubblica, Bologna, Il Mulino, 2022, spec. pp. 212-217.
[62] In questo senso, con riferimento alla necessità che «i due mondi paralleli» della concorrenza e della collaborazione rimangano ben distinti, A. Santuari e C. Golino, Gli Enti del Terzo settore e la co-amministrazione: ruolo della giurisprudenza e proposte de jure condendo, in corso di pubblicazione in «Istituzioni del Federalismo», n. 3/2022.
[63] È questa logica, ad esempio, che distingue il modello della co-amministrazione dal baratto amministrativo, così come disciplinato dall’attuale art. 190 del d.lgs. 50/2016, che facoltizza gli enti locali a prevedere esenzioni o riduzioni di tributi corrispondenti al tipo di attività svolta dal privato o dall’associazione, o comunque utili alla comunità di riferimento in un’ottica di recupero del valore sociale della partecipazione. Anche le fattispecie previste dall’art. 189 del medesimo Codice di c.d. sussidiarietà manutentiva (affidamento in gestione della manutenzione di aree riservate al verde pubblico urbano e degli immobili di origine rurale a cittadini residenti costituiti in consorzio, o realizzazione di opere di pronta realizzabilità sempre da parte di gruppi di cittadini organizzati, senza oneri per l’ente) sono pur sempre concepite come veri e propri contratti. La qualificazione in termini contrattuali di queste ipotesi risulta confermata anche nel già citato schema di nuovo codice dei contratti pubblici, che all’art. 201 unifica le previsioni degli attuali artt. 189 e 190 sotto la nozione di «partenariato sociale». Sull’evoluzione di questi istituti si v., ex multis, P. De Nictolis, Il partenariato sociale, Roma, Dike, 2021.
[64] Per un commento generale, oltre alla bibliografia indicata nell’itinerario bibliografico, L. Bozzi, Il codice attuativo della riforma del Terzo settore. Profili ricostruttivi e spunti problematici, in «Osservatorio del diritto civile e commerciale», n. 1/2019, pp. 19-46; R. Costi, Le linee portanti dell’ordinamento del terzo settore, in «Analisi Giuridica dell’Economia», n. 1/2018, pp. 11-18; P. Sanna, Dalla legge di riforma al «Codice del Terzo Settore»: alcuni profili introduttivi, in «Responsabilità Civile e Previdenza», n. 6/2018, pp. 2083 ss.
[65] Ai sensi di questa norma sono enti del terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del terzo settore.