Giorgia Pavani, Stefania Profeti, Claudia Tubertini
Le città collaborative ed eco-sostenibili
DOI: 10.1401/9788815410221/c2
Vediamo, infine, le disposizioni del Codice del terzo settore [64]
, che anzitutto identifica entro un’unica definizio
{p. 95}ne (enti del terzo settore, per l’appunto) svariate forme di aggregazione sociale elencate e distinte in varie tipologie [65]
.
Come rilevato dalla Corte costituzionale, gli enti del terzo settore, in quanto rappresentativi della c.d. «società solidale»,
spesso costituiscono sul territorio una rete capillare di vicinanza e solidarietà, sensibile in tempo reale alle esigenze che provengono dal tessuto sociale, e sono quindi in grado di mettere a disposizione dell’ente pubblico sia preziosi dati informativi (altrimenti conseguibili in tempi più lunghi e con costi organizzativi a proprio carico), sia un’importante capacità organizzativa e di intervento: ciò che produce spesso effetti positivi, sia in termini di risparmio di risorse che di aumento della qualità dei servizi e delle prestazioni erogate a favore della «società del bisogno».
Per questo motivo, il Codice (art. 55) prescrive il loro necessario coinvolgimento nell’esercizio delle «funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi» nei settori di «interesse generale» indicati, in forma assai ampia, dall’articolo 5 attraverso forme di co-programmazione, co-progettazione e accreditamento. La co-programmazione si pone come momento iniziale, di partecipazione istruttoria, in quanto finalizzata «all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili». La co-progettazione muove verso l’operatività, essendo mirata alla «definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti {p. 96}di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti», alla luce degli strumenti di programmazione appena menzionati. A seguire (art. 56) si prevede che organizzazioni di volontariato e associazioni di promozione sociale iscritte nel Registro unico nazionale del terzo settore possano sottoscrivere convenzioni per lo svolgimento di attività o servizi sociali di interesse generale «se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato», prevedendo esclusivamente il rimborso «delle spese effettivamente sostenute e documentate».
La scelta delle organizzazioni di volontariato e delle associazioni di promozione sociale con cui stipulare la convenzione è, inoltre, effettuata mediante procedure comparative riservate a quelle tra di esse che, oltre ai requisiti di moralità professionale, dimostrino «adeguata attitudine, da valutarsi in riferimento alla struttura, all’attività concretamente svolta, alle finalità perseguite, al numero degli aderenti, alle risorse a disposizione e alla capacità tecnica e professionale». Inoltre, le convenzioni devono garantire l’esistenza delle condizioni necessarie a svolgere con continuità le attività oggetto della convenzione, nonché «il rispetto dei diritti e della dignità degli utenti, e, ove previsti dalla normativa nazionale o regionale, degli standard organizzativi e strutturali di legge» [66]
. Ancora una volta, quindi, il legislatore statale punta su uno strumento consensuale (con tutta probabilità riconducibile al modello dell’accordo tra privati e p.a. ex art. 11 l. 241/1990) [67]
da utilizzarsi per attivare una collaborazione con quegli stessi soggetti chiamati a partecipare, a monte, al processo decisionale di selezione dei bisogni da soddisfare ed alla progettazione degli interventi da compiere; e lo fa richiamando un insieme di ambiti così vasto ed articolato da rendere applicabile il modello ad una gamma potenziale di attività di estrema ampiezza.{p. 97}
Il quadro è ora completato dalle Linee guida ministeriali sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del terzo settore [68]
, che prefigurano le procedure necessarie a dare sviluppo coerente alla co-programmazione e alla co-progettazione. Esse chiariscono che la co-progettazione può essere avviata sia su iniziativa delle pubbliche amministrazioni – tramite la pubblicazione di avvisi indicanti le finalità, i requisiti di partecipazione, la durata della collaborazione e i criteri di valutazione delle proposte, nonché l’insieme delle risorse che le amministrazioni mettono a disposizione per realizzare il progetto – sia su iniziativa degli enti del terzo settore, come per i patti di collaborazione. Sulla base di questi elementi si svolge poi una selezione che resta finalizzata, in ogni caso, a costituire un rapporto di collaborazione. Anche quando sono i privati a presentare un progetto, le pubbliche amministrazioni sono tenute a pubblicare un avviso pubblico in cui è data la possibilità ad altri enti del terzo settore di presentare progetti alternativi che saranno oggetto di valutazione comparativa. Successivamente si apre la fase di co-progettazione in senso proprio, tramite l’attivazione di tavolo di co-progettazione con i soli enti del terzo settore utilmente valutati in sede di selezione o con tutti gli enti che soddisfino i requisiti minimi per partecipare.
La validità di queste procedure è stata autorevolmente confermata dall’ANAC in sede di elaborazione delle Linee guida recanti indicazioni in materia di affidamento dei servizi sociali, ponendo così fine, come già ricordato, ai dubbi derivanti da alcune pronunce del Consiglio di Stato sul presunto rapporto di subalternità del Codice del terzo settore rispetto a quello dei contratti pubblici [69]
. Le linee guida costituiscono un utile apporto, tra l’altro, per l’individuazione degli ambiti applicativi del terzo istituto previsto dal codice, l’accreditamento, qualificato come una particolare declinazione della co-progettazione che {p. 98}si caratterizza per l’«individuazione degli enti di terzo settore con cui attivare il partenariato e, successivamente, la gestione della fase operativa».
Le conseguenze sistemiche del Codice del terzo settore sono confermate anche dall’introduzione del principio di collaborazione nell’art. 1 della l. 241/1990 sul procedimento amministrativo, avvenuta con il d.l. 76/2020 a conclusione di una serie di interventi tutti tesi a separare i rapporti tra privati e pubbliche amministrazioni a finalità patrimoniale da quelli alternativi, fondati sulla collaborazione civica.
Si sono creati, in sostanza, i presupposti per una applicazione estensiva delle norme del Codice del terzo settore, in primo luogo proprio da parte delle amministrazioni locali, considerando che gli ambiti elencati dal codice corrispondono quasi sempre a finalità generali riconducibili agli interessi pubblici che sono chiamati a perseguire. Certo, non mancano – come per tutte le riforme di ampio respiro, destinate ad essere completate da una serie di atti attuativi – dubbi e problemi interpretativi, per la soluzione dei quali sarà, nuovamente, essenziale la produzione normativa locale, regionale e la prassi applicativa. Quella coerenza che si è più volte indicata come tassello essenziale di qualsiasi normazione che intervenga sui modelli di relazione pubblico-privata deve essere praticata, in particolare, laddove si tratti di provvedimenti di portata generale. Sotto questo profilo, molto opportuno è che l’ultimo decreto di riordino dei servizi pubblici locali (d.lgs. 23 dicembre 2022, n. 201) richiami il principio di sussidiarietà orizzontale sia tra i principi generali del servizio pubblico locale (art. 3), sia come criterio per la perimetrazione dei confini del servizio pubblico (art. 10) e che rinvii (sia pur genericamente) ai «rapporti di partenariato» regolati dal Codice del terzo settore per consentirli (art. 18) «per la realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento funzionalmente riconducibili al servizio pubblico locale di rilevanza economica»; tale norma sembra infatti essere concepita per aprire ad un’applicazione del modello dell’amministrazione condivisa in settori a rilevanza economica, sia pure per «specifici progetti di servizio o intervento», collocando questa forma di gestione tra le possibili alternative. L’opzione, tuttavia, è sottoposta ad una puntuale {p. 99}motivazione da parte dell’ente locale circa «la sussistenza delle circostanze che, nel caso concreto, determinano la natura effettivamente collaborativa del rapporto», escludendo in ogni caso che ciò sia possibile
nelle ipotesi in cui le risorse pubbliche da mettere a disposizione degli enti del terzo settore risultino, complessivamente considerate, superiori al rimborso dei costi, variabili, fissi e durevoli previsti ai fini dell’esecuzione del rapporto di partenariato [70]
.
Gli enti locali devono, inoltre, garantire anche in caso di scelta dei modelli collaborativi i principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento. Infine, si specifica che la motivazione deve evidenziare anche «gli effettivi benefici che tale soluzione comporta per il raggiungimento di obiettivi di universalità, solidarietà ed equilibrio di bilancio»: un onere motivazionale assai articolato, quindi, che si aggiunge ai molti altri previsti dallo stesso decreto legislativo quanto alla scelta delle diverse forme di gestione.

9. Uno sguardo al futuro dell’amministrazione condivisa, pensando al PNRR

La rassegna dei principali strumenti giuridici a disposizione delle città collaborative ed eco-sostenibili mostra la varietà di forme che può assumere la «politica per le (e delle) città», ovvero l’insieme delle azioni poste in essere per risolvere i problemi specifici delle città, o per meglio dire la «questione urbana»: questione dalla cui soluzione dipende in realtà il benessere delle nazioni nel loro complesso, considerato che è proprio nelle aree urbane che si concentra la maggior parte delle attività economiche, delle risorse culturali ed umane, della ricchezza (v. cap. 1, § 1).
{p. 100}
Note
[64] Per un commento generale, oltre alla bibliografia indicata nell’itinerario bibliografico, L. Bozzi, Il codice attuativo della riforma del Terzo settore. Profili ricostruttivi e spunti problematici, in «Osservatorio del diritto civile e commerciale», n. 1/2019, pp. 19-46; R. Costi, Le linee portanti dell’ordinamento del terzo settore, in «Analisi Giuridica dell’Economia», n. 1/2018, pp. 11-18; P. Sanna, Dalla legge di riforma al «Codice del Terzo Settore»: alcuni profili introduttivi, in «Responsabilità Civile e Previdenza», n. 6/2018, pp. 2083 ss.
[65] Ai sensi di questa norma sono enti del terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, ed iscritti nel registro unico nazionale del terzo settore.
[66] Donati, Le città collaborative, cit., p. 968.
[67] In questo senso, sia pure in via dubitativa, Cerulli Irelli, L’amministrazione condivisa nel sistema del diritto amministrativo, cit., p. 27; a favore della qualificazione come accordi di diritto pubblico anche Giglioni, Forme e strumenti, cit., p. 98.
[68] Decreto del ministero del Lavoro e delle politiche sociali n. 72/2022.
[69] Su questa vicenda F. Giglioni, Principi e ricadute sistemiche di diritto pubblico nella recente riforma del terzo settore, in «Munus», n. 2/2019, pp. 517 ss.
[70] In questa ultima precisazione si coglie con evidenza il riferimento ai criteri di rimborso delle spese sostenute dagli ETS, indicati dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia quale discrimen tra le attività di rilevanza economica e non: sul tema si v. Albanese, La collaborazione fra enti pubblici e Terzo settore nell’ambito dei servizi sociali, cit.