Connessioni virtuose
DOI: 10.1401/9788815371126/c5
Capitolo quinto Impatto sociale ed effetti regionali
1. L’efficacia e la scalabilità dell’investimento
Quando si studiano gli effetti della
terza missione dell’università, è importante essere consapevoli delle eterogeneità
esistenti all’interno dell’organizzazione scientifico-culturale
[1]
. Come già accennato nel capitolo 2, i docenti e i ricercatori operano,
sovente, come «imprenditori» e sfruttano nuove idee e opportunità che possono creare
significato e valore nel lavoro accademico e, a lungo termine, nelle future carriere e
capacità organizzative. Come i loro omologhi nelle imprese, gli imprenditori
universitari sono capaci di produrre nuove attività e organizzazioni all’interno e
all’esterno del contesto accademico
[2]
. Nel campo delle scienze naturali e della tecnologia, la creazione di uno
spin-off, una start-up o un brevetto è, sovente, il risultato principale di un’attività
imprenditoriale, mentre in campo umanistico e nelle scienze sociali, sono le dimensioni
sociali dell’imprenditorialità a essere curate nelle azioni di terza missione
[3]
. Queste ultime possono essere attività informali nella consulenza, nelle
arti creative, nella progettualità sociale, nei servizi resi ai cittadini
¶{p. 104}e nel dialogo con le comunità territoriali
[4]
. Piuttosto che di imprenditorialità – nel senso della creazione di nuove
imprese – sarebbe appropriato parlare di imprenditività, vale a dire, della capacità di
realizzare qualsiasi attività innovativa che comporti rischi e ricompense per il singolo
docente o ricercatore e per l’istituzione nel suo complesso, al di là dei tradizionali
ruoli accademici di didattica e ricerca. Le ricompense possono generarsi direttamente o
indirettamente rispetto alle attività realizzate e produrre un aumento della
reputazione, del prestigio, dell’influenza o dei benefici sociali
[5]
.
La diversità che caratterizza la
cultura accademica ha, quindi, importanti conseguenze sul piano della valutazione
dell’efficacia della terza missione e dei processi di innovazione che si sperimentano
all’interno di un’istituzione universitaria. Non solo non si possono standardizzare le
dimensioni di interesse, ma non si possono neanche generalizzare gli effetti di una
sperimentazione.
L’innovazione che si è prodotta
nell’ambito del polo tecnologico di San Giovanni è, in tal senso, unica e irripetibile
[6]
. Le complementarità generatesi attraverso le collaborazioni per la
formazione concernono l’ecosistema digitale di San ¶{p. 105}Giovanni e
non si possono generalizzare all’intera popolazione dei docenti e dei ricercatori
universitari (cfr. cap. 3) né si possono generalizzare i processi decisionali orientati
ai risultati alla governance universitaria nel suo complesso (cfr. cap. 4).
Nel caso in esame, valutare
l’efficacia dell’attività di terza missione significa verificare i costi e i benefici
associati alla formazione digitale in relazione ai destinatari «trattati» (cfr. più oltre)
[7]
. Un tema rilevante per la valutazione della terza missione consiste anche
nel comprendere se e come funziona la formazione digitale in relazione a gruppi più ampi
di potenziali destinatari. Poiché le collaborazioni tra l’università e i partner
internazionali aumentano la scala dell’offerta formativa in un tempo relativamente
breve, è rilevante valutare l’effetto scaling-up – per usare
un’espressione inglese – e verificare in che modo l’investimento formativo possa
ampliarsi per raggiungere una proporzione più estesa della popolazione di discenti e se,
nelle mutate circostanze, l’intervento rimane efficace
[8]
. Le questioni valutative concernono, quindi, non solo l’efficacia, ma anche
la scalabilità
[9]
del programma di formazione. La valutazione investe le modalità in cui la
formazione digitale cresce attraverso le collaborazioni tra l’università e le imprese
per far nascere nuove generazioni di lavoratori della conoscenza e imprenditori (anche
universitari) capaci di creare innovazione e sviluppo. Secondo la definizione della
Yale Research Initiative on Innovation and Scale
[10]
, per verificare la scalabilità di un intervento, occorre esaminare:
- le dimensioni economico-politiche degli effetti che si sono generati; ¶{p. 106}
- le evidenze raccolte e i relativi effetti di aggregazione;
- gli effetti di rete;
- gli effetti di sviluppo su scala aggregata.
Considerando i punti appena
evidenziati, l’analisi che segue verifica l’efficacia e la scalabilità dell’investimento
in formazione digitale. A tal fine, le dinamiche ecosistemiche esaminate nel capitolo 3
– vale a dire, complementarità, allineamento e competizione tra i partner – danno corpo
alle dimensioni economico-politiche della formazione digitale, mentre l’esame dei costi
e dei benefici ad essa associati prova a quantificare l’impatto sociale. Con l’aumento
della scala dell’offerta formativa, i costi possono crescere per cui occorre
comprenderne l’incidenza rispetto all’efficacia della formazione
[11]
. Inoltre, le risultanze degli studi di economia e geografia regionale
permettono di delineare gli effetti di rete di livello aggregato. Il ragionamento
contenuto nell’ultimo paragrafo discute criticamente i potenziali impatti di sviluppo
regionale, riflettendo sulla capacità del contesto produttivo territoriale di assorbire
forza lavoro qualificata ad intraprendere processi di innovazione aziendale.
2. I costi e i benefici della formazione digitale
A fronte dei fondi (all’incirca 30
milioni di euro) investiti dai partner e dall’università nel periodo 2016-2020 (cfr.
cap. 1), un po’ più della metà sono i costi di gestione, di funzionamento della
struttura, delle licenze per l’utilizzo dei software e del personale docente e
ricercatore coinvolto nella formazione digitale delle academy. I dati amministrativi
segnalano che i costi per discente e per academy, sia in termini di capitale investito
che in termini di spesa corrente, diminuiscono nel periodo considerato.
Diversa¶{p. 107}mente aumentano i corsi offerti, la loro
diversificazione, il numero di «utenti serviti» e i discenti formati che trovano
un’occupazione al termine del percorso di studio. Sia i dati amministrativi che le
informazioni desunte dalle interviste convergono sul fatto che grazie all’aumento degli
iscritti, il costo medio per discente diminuisce dagli oltre 25 mila euro nell’a.a.
2016-17 a meno di 12 mila euro nell’anno accademico 2019-20 (– 47%). Le nuove accademie
nate nello stesso intervallo di tempo intercettano una più ampia platea di destinatari
della formazione digitale e, per questo motivo, anche il costo medio per academy
diminuisce (–77,5%) – nonostante i costi dell’Apple Developer Academy siano di gran
lunga più cospicui in termini assoluti a causa della specificità dell’investimento.
Nella gestione delle accademie, l’andamento decrescente dei costi rivela l’emergere di
economie di scala e di scopo, con rendimenti crescenti in relazione alla dimensione e
alla diversificazione dell’investimento formativo
[12]
.
Il risultato appena riportato
conferma la scalabilità della formazione digitale in relazione al funzionamento delle
partnership. La figura 5.1 evidenzia i guadagni di efficienza interna che si sono
generati in meno di cinque anni attraverso le collaborazioni per la formazione digitale.
Si tratta, però, di stime suscettibili di mutare anche in maniera significativa in
considerazione del fatto che, come già accennato nel capitolo 1, le risorse, le capacità
e le competenze messe a disposizione dall’università e dai partner sono input poco
standardizzabili, che possono produrre importanti economie di rete, non facilmente
quantificabili in base ai valori di mercato. Se non inglobato negli accordi di
cooperazione scientifica, quanto varrebbe, ad esempio, il compenso orario di un manager
delle società Apple o Cisco per una lezione presso le academy?
Relativamente ai benefici, l’effetto
occupazionale è l’impatto sociale più significativo prodotto dall’ecosistema della
¶{p. 108}formazione digitale. Secondo le interviste e i dati
amministrativi disponibili sull’inserimento lavorativo dei formati, il beneficio sociale
diretto della formazione consiste nella creazione di almeno 1.400 nuovi posti di lavoro
tra il 2017 e il 2020
[13]
. La survey dei partecipanti dell’Apple Developer Academy delle coorti 2016,
2017, 2018 e 2019, evidenzia che il 66% dei rispondenti è occupato in imprese
localizzate nella regione o nel Sud Italia; il 21% è occupato in imprese nazionali e il
13% è occupato in imprese internazionali. I posti di lavoro creati sono prevalentemente
posizioni qualificate di sviluppatori, analisti di dati e business
developer che producono un reddito annuo mediamente più elevato rispetto
ad altri settori del mercato del lavoro a minore valore aggiunto.
Note
[1] M. Abreu e V. Grinevich, The Nature of Academic Entrepreneurship in the U.K.: Widening the Focus on Entrepreneurial Activities, in «Research Policy», 42, 2, 2013, pp. 408-422; D.B. Audretsch, E.E. Lehmann, M. Menter e K. Wirsching, Intrapreneurship and Absorptive Capacities: The Dynamic Effect of Labor Mobility, in «Technovation», 99, 102129, 2021.
[2] B. Youssef, A. Boubaker, B. Dedaj e M. Carabregu-Vokshi, Digitalization of the Economy and Entrepreneurship Intention, in «Technological Forecasting and Social Change», vol. 164(C), 120043, 2021.
[3] D. Bienkowska, M. Klofsten e E. Rasmussen, PhD Students in the Entrepreneurial University‐perceived Support for Academic Entrepreneurship, in «European Journal of Education», 51, 1, 2016, pp. 56-72.
[4] La ricerca nelle discipline umanistiche è in genere divulgata tramite libri e conferenze mentre la ricerca nelle scienze sociali è rivolta frequentemente al settore pubblico e al terzo settore. Pertanto, le attività esterne assumono principalmente la forma di consulenza e convenzioni in conto terzi.
[5] Abreu e Grinevich, The Nature of Academic Entrepreneurship in the UK, cit.; l’ormai vasta letteratura sull’imprenditorialità accademica studia i fattori che favoriscono la commercializzazione di un numero ristretto di attività che sono relativamente visibili e quantificabili, il cui impatto economico può essere stimato con relativa facilità diversamente da quanto accade per le attività più informali che non trovano immediata espressione in valori di mercato.
[6] All’interno della stessa posizione dal punto di vista statistico, gli effetti causali variano anche in relazione alla variazione casuale delle condizioni nel tempo; cfr. M. Rosenzweig e C. Udry, Evidence Validity in a Stochastic World, NBER Working Paper, 2016; S. Chassang, G. Padró i Miquel e E. Snowberg, Selective Trials: A Principal-Agent Approach to Randomized Controlled Experiments, in «American Economic Review», 102, 4, 2011.
[7] Diversamente dai disegni contro-fattuali che provano a misurare il cambiamento con e senza l’intervento da valutare, per comprendere gli effetti della terza missione, occorre esplorare gli specifici percorsi degli impatti, osservando l’interazione tra interventi e contesti; cfr. cap. 8.
[8] A. Milat, K. Lee e K. Conte, Intervention Scalability Assessment Tool: A Decision Support Tool for Health Policy Makers and Implementers, in «Health Research Policy Systems», 18, 1, 2020.
[9] Ibidem.
[10] Cfr. Challenges and Implications of Scale, Yale-Research on Innovation & Scale (Y-RISE), https://yrise.yale.edu/.
[11] A. Banerjee, R. Banerji, J. Berry, E. Duflo, H. Kannan, S. Mukerji, M. Shotland e M. Walton, From Proof of Concept to Scalable Policies: Challenges and Solutions, with an Application, in «Journal of Economic Perspectives», 31, 4, 2017, pp. 73-102, http://economics.mit.edu/files/12359.
[12] P. Milgrom e J. Roberts, The Economics of Modern Manufacturing: Technology, Strategy, and Organization, in «American Economic Review», 80, 1990, pp. 511-528.
[13] Dati Coinor, Università di Napoli, 2021 e informazioni basate su interviste semi-strutturate.