Mita Marra
Connessioni virtuose
DOI: 10.1401/9788815371126/c5
Drop-off: l’analisi considera il declino degli impatti occupazionali e i correlati risparmi di spesa entro due anni dalla
{p. 113}formazione. È logico attendersi che, negli anni successivi, l’attribuzione della creazione e del mantenimento delle posizioni lavorative all’intervento formativo si affievolisca come pure la riduzione del costo sociale dei NEET.
Tab. 5.3. Analisi di sensitività
Scenari SROI
Descrizione
Ipotesi
Rapporto SROI
Scenario
conservativo
(C)
Approccio conservativo (C) nella definizione delle stime, nella durata degli effetti di interesse e dei parametri tecnici
50% di placement e 82% di drop-off degli effetti occupazionali. Il rapporto di lavoro dura 1 anno dopo la formazione
1.7
Scenario
presentato
nel presente
capitolo (B)
Versione bilanciata (B)
80% di placement e 48% di drop-off. Il rapporto di lavoro dura 1 anno dopo la formazione
2.3
Scenario
inclusivo
(I)
Approccio inclusivo (ma comunque realistico e plausibile) nella definizione delle stime e della durata degli effetti di interesse e dei parametri tecnici
95% di placement e 63% di drop-off. Il rapporto di lavoro dura 1 anno dopo la formazione
2.7
 
 
 
 
La scelta metodologica di considerare gli impatti a posteriori considerando una durata limitata mitiga i problemi di attribuzione dell’analisi causale. Anche gli elevati tassi di drop-off rispondono all’esigenza di non sopravvalutare gli effetti di interesse. Per questo motivo, il diluirsi degli effetti occupazionali e dei risparmi di spesa pubblica investe l’80% dei discenti occupati e la metà dei beneficiari della formazione e dell’occupazione nell’arco dei due anni di frequenza del corso e del mantenimento del lavoro. Negli anni seguenti, entrambi gli effetti si esauriscono e non vengono contabilizzati nell’analisi SROI.
L’analisi di sensitività esamina due varianti di scenario: uno più conservativo con un tasso di placement del 50% e un drop-off dell’effetto occupazionale dell’82% (C) e uno scenario più inclusivo (I) in termini di occupazione diretta prodotta con il 95% di placement e il 63% di {p. 114}drop-off degli effetti di creazione di lavoro. Nei due scenari alternativi, si conferma la robustezza dell’approccio: l’impatto sociale della formazione non è esclusivamente dipendente dall’inserimento lavorativo e lo scenario più conservativo (C) produce un rapporto benefici/costi (pari a 1,7:1) ancora apprezzabile, mentre la versione inclusiva (I) presenta un rapporto benefici/costi significativamente più elevato (pari a 2,7:1), ma plausibile e anche raggiungibile (cfr. tab. 5.3).

3. Aggregazione degli effetti su scala regionale

Secondo i dati amministrativi disponibili [17]
, una parte significativa dei formati viene occupata nell’ambito della regione di provenienza. È ragionevole attendersi che oltre all’occupazione diretta, l’investimento in formazione generi anche un’occupazione indiretta e indotta sul territorio. Gli studi sugli effetti regionali legati alla creazione di occupazione qualificata concludono che per ogni occupato nel settore hi-tech si producono fino a cinque posti di lavoro nell’economia locale dei servizi, anche a minor valore aggiunto. L’occupazione hi-tech totale aumenta fino a raggiungere una quota stazionaria (del 17% nel caso in cui il moltiplicatore sia pari a 5) con un aumento ancora più sostenuto nelle regioni che partono da livelli inferiori di occupazione ad alta intensità di tecnologia [18]
. Il moltiplicatore regionale dell’occupazione hi-tech è funzione dell’offerta e della domanda di innovazione tecnologica. Il moltiplicatore si innesca con la crescita dell’occupazione indiretta e indotta ad alta tecnologia nei servizi locali ma cresce anche in relazione alla domanda da parte dei consumatori di beni {p. 115}e servizi hi-tech perché il loro prezzo relativo diminuisce in seguito all’innovazione – o perché la loro la domanda aumenta in relazione all’aumento del reddito reale nello stesso periodo.
Come già accennato, i moltiplicatori dell’occupazione tecnologica sono più elevati nelle regioni periferiche e meno produttive, ove è presente una significativa proporzione di immigrati e una relativa abbondanza di lavoratori meno qualificati, con un reddito pro capite inferiore alla media nazionale/europea. Le analisi di Goos, Konings e Vanderweyer confermano che i moltiplicatori dell’occupazione ad alta intensità di tecnologia sono più elevati nei paesi del Sud Europa e, in particolare, nelle regioni del Mezzogiorno [19]
incluse nel campione studiato dagli autori. Il processo di convergenza procede, tuttavia, a velocità differenti, in mancanza di politiche adeguate. Permangono profonde disparità regionali sul piano della produttività del lavoro, nonostante la maggiore disponibilità di competenze digitali sia un fattore di innovazione e di crescita produttiva.
La Commissione europea [20]
stima che il nesso tra le competenze digitali e la produttività del lavoro è tale per cui un incremento dell’1% delle competenze di base in ICT può aumentare la produttività del lavoro del 2,5% e addirittura del 3,7% nel caso in cui ad aumentare siano le competenze ICT più avanzate. In verità, come già anticipato precedentemente, la relazione tra il miglioramento delle competenze digitali e la produttività del lavoro è ambigua e complicata da quantificare. Numerosi fattori entrano in gioco a livello territoriale. Essi hanno a che fare con la mobilità dei lavoratori della conoscenza [21]
e con le capacità di assor{p. 116}bire forza lavoro qualificata da parte delle imprese [22]
. Nei contesti meno produttivi, l’interazione tra i fattori appena richiamati può anche sviluppare un impatto occupazionale inferiore alle attese [23]
.
La mobilità del lavoro, infatti, incide sulle capacità delle imprese di richiedere e impiegare competenze tecnologiche [24]
: i lavoratori altamente qualificati si spostano tra le imprese e diffondono la conoscenza, contribuendo a generare idee e innovazioni. Proprio come i luoghi si differenziano nella loro capacità di attrarre nuove imprese, così le organizzazioni produttive si differenziano nella loro capacità di ricercare e assumere lavoratori con competenze tecnologiche. Secondo la teoria delle ricadute della conoscenza – nota come Knowledge Spillover Theory – la mobilità del lavoro incide sull’innovazione delle aziende [25]
non solo attraverso il reclutamento dei lavoratori della conoscenza – con un effetto learning by-hiring – ma anche attraverso la perdita dei lavoratori – con un effetto learning-by-diaspora. Sia che assumano lavoratori hi-tech sia che li perdano, le imprese migliorano le proprie capacità di assorbire forza lavoro qualificata e i flussi di conoscenza crescono e si diffondono nel contesto produttivo purché – sostengono Audretsch et al. – il mercato del lavoro regionale sia dinamico e flessibile da garantire un effetto porta girevole [26]
. La metafora {p. 117}della porta girevole punta l’attenzione sulle dinamiche del mercato del lavoro: in un mercato del lavoro efficiente, se un dipendente lascia il proprio posto di lavoro, l’azienda sarà in grado di sostituirlo adeguatamente anche nel corso di fluttuazioni critiche dell’occupazione. Lo stesso vale per l’assunzione di nuovi dipendenti: le imprese hanno bisogno di avere accesso a una riserva di lavoratori sufficientemente ampia e qualitativamente elevata per reclutare personale qualificato. Quando le condizioni appena esposte non sono soddisfatte nel mercato del lavoro regionale, la mobilità dei lavoratori e la capacità d’innovazione delle imprese ne risentono negativamente.
Il ragionamento fin qui condotto suggerisce almeno due conclusioni circa gli impatti occupazionali attesi a livello regionale – vale a dire – l’efficacia e la scalabilità dell’investimento in formazione digitale. Il caso osservato dimostra che l’intervento formativo in un’area urbana periferica di una regione moderatamente innovatrice genera benefici sociali a vantaggio dei destinatari. Si tratta di un investimento in capitale umano che crea lavoro qualificato con salari più elevati rispetto agli altri segmenti del mercato del lavoro [27]
. Ulteriori investimenti tesi alla formazione di forza lavoro qualificata sono suscettibili di generare sviluppo regionale [28]
a patto che l’università sia in grado di godere di autonomia
{p. 118}e capacità organizzative adeguate a realizzare investimenti in capitale umano e collaborare con le imprese che operano sui mercati regionali e globali. Supporre che le università in qualsiasi contesto possano attirare e attivare talenti e favorire, in tal modo, la creazione di posti di lavoro hi-tech è un’aspettativa che, da una parte, sopravvaluta l’incisività delle istituzioni universitarie nei mercati del lavoro regionali e, dall’altra, sottovaluta l’eterogeneità delle stesse università e le molteplici funzioni da loro svolte [29]
. Come già precedentemente sottolineato, il concetto di imprenditorialità interna aiuta a caratterizzare le variabili capacità dei ricercatori e del personale universitario di sviluppare pratiche innovative con elevato impatto su cui è utile approfondire le ricerche valutative future.
Note
[17] Dati Coinor, Università di Napoli, 2021.
[18] E. Moretti, The New Geography of Jobs, Mariner Books, 2013; M. Goos, J. Konings e M. Vanderweyer, Local High-tech Job Multipliers in Europe, in «Industrial and Corporate Change», 27, 4, 2018, pp. 639-655; N. Lee e S. Clarke, Do Low-skilled Workers Gain from High-tech Employment Growth? High-technology Multipliers, Employment and Wages in Britain, in «Research Policy», 48, 9, 103803, 2019.
[19] Goos, Konings e Vanderweyer, Local High-tech Job Multipliers in Europe, cit.
[20] M.C. Morandini, A. Thum-Thysen e A. Vandeplas, Facing the Digital Transformation: Are Digital Skills Enough?, Economic Brief 054, Brussels, European Commission, 2020, https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economy-finance/eb054_en.pdf.
[21] N. Heuer, The Effect of Occupation-Specific Brain Drain on Human Capital, University of Tübingen Working Papers in Economics and Finance n. 7, University of Tübingen, 2011.
[22] Audretsch, Lehmann, Menter e Wirschin, Intrapreneurship and Absorptive Capacities, cit.
[23] B. Van Ark, The Productivity Challenge: Jobs and Incomes in the Dawning Era of Intelligent Robots, Intervention at the Annual Research Conference 2018, European Commission, https://ec.europa.eu/info/sites/info/files/economyfinance/van_ark.pdf. Cfr. anche Morandini, Thum-Thysen e Vandeplas, Facing the Digital Transformation, cit.
[24] E.E. Lehmann, M. Menter e K. Wirsching, Firm Performance and Regional Innovation Mechanisms: The Moderating Role of Absorptive Capacities, in «Frontiers of Entrepreneurship Research», 37, 11, 2017, pp. 243-248.
[25] P. Braunerhjelm, D. Ding e P. Thulin, The Knowledge Spillover Theory of Intrapreneurship, in «Small Business Economics», 51, 4, 2018, pp. 1-30.
[26] Ibidem; Audretsch, Lehmann, Menter e Wirschin, Intrapreneurship and Absorptive Capacities, cit.
[27] Cfr. anche OECD, Evaluation of the Academy for Smart Specialization. The Geography of Higher Education, Paris, 2020, https://www.oecd.org/cfe/smes/Evaluation_Academy_Smart_Specialisation.pdf?fbclid=IwAR0n5qfZhw_btf5ExQ4mN8XNPWhoLztDTIUHHv_pCaHDunSWuJ6M853lgFk; A. Rodríguez-Pose, The Revenge of the Places That Don’t Matter (and What to Do about It), in «Cambridge Journal of Regions, Economy and Society», 11, 2018, pp. 189-209; S. Iammarino, A. Rodriguez-Pose e M. Storper, Regional Inequality in Europe: Evidence, Theory and Policy Implications, in «Journal of Economic Geography», 19, 2019, pp. 273-298; S. Iammarino, A. Rodriguez-Pose e M. Storper, Regional Inequality in Europe: Evidence, Theory and Policy Implications, in «Journal of Economic Geography», 19, 2019, pp. 273-298.
[28] Ibidem; B. Clarysse, M. Wright, J. Bruneel e A. Mahajan, Creating Value in Ecosystems: Crossing the Chasm between Knowledge and Business Ecosystems, in «Research Policy», 43, 2014, pp. 1164-1176; C.W. Wessner e T.R. Howell, Regional Renaissance. How New York’s Capital Region Became a Nanotechnology Powerhouse, Springer, 2020.
[29] E. Uyarra, Conceptualizing the Regional Roles of Universities, Implications and Contradictions, in «European Planning Studies», 18, 8, 2010, pp. 1227-1246; P. Benneworth e L. Nieth, Universities and Regional Development in Peripheral Regions, Abingdon, Routledge, 2018.