Connessioni virtuose
DOI: 10.1401/9788815371126/p1
Prefazione
Esistono due specie di libri sui problemi sociali e economici. Vi sono libri che vengono scritti perché l’autore prima ancora di sedersi a tavolino, s’è imbattuto in una risposta o in una tesi generale che costituisce – ne è convinto – un’intuizione illuminante. Esistono poi i libri in cui l’autore s’è impegnato perché aveva una domanda senza risposta: una domanda su cui voleva lavorare con l’intensità che soltanto lo scrivere un libro permette di realizzare. […] quando la mente si concentra su una risposta, si persuaderà facilmente che questa risposta si applica non ad una ma a un gran numero di domande, quando invece si concentra su una domanda, la mente non troverà probabilmente riposo finché non avrà scoperto non una, ma una varietà di risposte.
Il presente volume prende le mosse da una
domanda che appassiona da sempre economisti e scienziati sociali e che ha a che fare con la
relazione tra conoscenza e sviluppo. È noto che la crescita dei territori non dipende
soltanto dalle risorse naturali o dalla formazione del capitale, ma dalla presenza di attori
pubblici e privati che assumono decisioni e comportamenti innovativi e producono valore e
progresso economico e sociale. Formulata in maniera più ampia, la domanda che sottende il
presente volume è: in che modo gli attori padroneggiano i problemi del contesto, innovando
modi di pensare e di fare e apprendendo da quali esperienze, pressioni o rischi, la loro
azione diventa vigorosa ed efficace?
Per rispondere all’interrogativo appena
esposto esamino come è nato e cresciuto un ecosistema dell’innovazione – un luogo in cui gli
attori cooperano per creare e utilizzare la conoscenza scientifica e tecnologica nel lavoro
e nella produzione.
Lo studio ha origine con la candidatura
nel 2019 e nel 2020, presso la Commissione europea, del polo universitario
¶{p. 8}di San Giovanni dell’Università di Napoli «Federico II» come buona
pratica di investimento dei fondi comunitari ed esempio di didattica innovativa. In qualità
di membro del gruppo di lavoro incaricato dall’allora rettore Gaetano Manfredi, prendo parte
alla ricognizione dei risultati dell’esperienza di rigenerazione urbana e di formazione
digitale. La novità in cui mi sono imbattuta ha esercitato un fascino e un interesse cui
difficilmente potevo resistere come studiosa di valutazione delle politiche pubbliche.
Comincio ad approfondire in che modo la formazione digitale e la ricerca tecno-scientifica
pervadono la produzione industriale per rintracciare le «connessioni virtuose» tra il polo e
le attività produttive del contesto regionale
[1]
e globale.
Al cuore del lavoro di ricerca è, dunque,
il tema dell’utilizzazione della conoscenza; un tema che ho esaminato nei miei precedenti
lavori e che mi ha aperto una pluralità di piste di approfondimento teorico-empirico e
politico-economico di natura multidisciplinare. In questo volume esamino l’influenza della
conoscenza sull’azione per lo sviluppo, osservando come l’università promuove innovazione.
Ricerco i fili rarefatti e, sovente, invisibili attraverso cui la conoscenza
tecno-scientifica si contamina con il sapere contestuale dei luoghi della produzione per
sostenere politiche attive del lavoro, dell’imprenditorialità e della digitalizzazione.
Nell’indagare le relazioni tra formazione e rigenerazione sociale, diffusione della
conoscenza e sperimentazione tecnologica industriale, provo a «valutare» le sfaccettature
dei processi di innovazione – pedagogico-didattica, tecno-scientifica, socioeconomica e
politico-organizzativa – con diversi strumenti di ricerca.
Lo strumento principe è stato
l’intervista con cui ho interagito con i (colleghi) docenti e i ricercatori universitari e
gli imprenditori del territorio. Diversamente dal questio¶{p. 9}nario,
l’intervista è un metodo di indagine flessibile, capace di scavare in profondità le
motivazioni e le percezioni soggettive, soprattutto nelle circostanze in cui l’oggetto dello
studio è multidimensionale, mutevole e, talvolta, sfuggente. È un metodo di raccolta delle
informazioni impegnativo per la cura che richiede l’analisi dei dati: occorre interrogare a
fondo le trascrizioni e, talvolta, anche consultare a più riprese gli interlocutori al fine
di corroborare le conclusioni provvisoriamente avanzate. Ciascuna intervista è preziosissima
e non standardizzabile e il lavoro di interpretazione intenso e coinvolgente.
Con i ricercatori e i docenti
universitari le interviste ricostruiscono l’esperienza dell’ecosistema dell’innovazione per
comprendere come cambia l’università nell’interazione con le imprese locali e globali.
Cogliere gli effetti attesi e inattesi delle collaborazioni con l’industria ha significato
approfondire in che modo un’amministrazione pubblica e un’istituzione di cultura
intraprendono una politica per l’innovazione tecnologica, producono valore per il territorio
e contribuiscono al cambiamento sociale. Non è un processo lineare: la sfida risiede
nell’individuare gli snodi del percorso compiuto dagli attori, provando a comporre un
mosaico definito, ma non definitivo.
Con gli imprenditori del territorio, le
interviste fanno luce su una galassia di organizzazioni produttive in cui scrutare
dimensioni inedite, come ad esempio: l’orgoglio di essere imprenditori del Sud, la sfida di
continuare l’impresa familiare nel mondo globalizzato, le difficoltà della transizione
generazionale, la scelta dei fornitori per rispondere alle esigenze dei committenti, la
scommessa di investire in innovazioni organizzative malgrado la mentalità poco incline al
cambiamento, la determinazione di forgiare soluzioni su misura per i committenti in
condizioni di elevata incertezza dei mercati.
Nelle grandi imprese l’innovazione è
sedimentata nei processi produttivi e ricercata intenzionalmente per arricchire la
versatilità, la qualità e anche l’estetica del prodotto. Nelle piccole e medie imprese
l’innovazione è, talvolta, inconsapevole, indotta dal mercato o dalla tipologia delle
¶{p. 10}commesse. Proprio le piccole e medie imprese esprimono un bisogno di
sostegno competente e individualizzato al fine di riqualificare e digitalizzare le loro
produzioni.
L’esito più importante della ricerca
conferma una crescente interdipendenza tra l’università e le imprese del territorio, che
esige lo sforzo di approfondire la collaborazione e il dialogo. Le prime forme di
collaborazione nascono grazie al lavoro di lunga lena dei responsabili dei laboratori
impegnati nella ricerca e nella formazione delle giovani leve. Con l’avvento delle
Big Tech, l’ecosistema dell’innovazione cambia passo e accelera
l’apprendimento esperienziale del sapere digitale. Non è un intervento calato dall’alto, ma
un processo endogeno. La cooperazione tra l’università e le imprese s’intensifica in virtù
degli esiti favorevoli degli investimenti in conoscenza. E i risultati – niente affatto
scontati in una regione in crescita, ma pur sempre a sud dell’Italia e dell’Europa –
richiedono una riflessione sul futuro.
Le prospettive sono promettenti. La
capacità di visione e di organizzazione dell’università fa il paio con il capitale umano – i
giovani talenti che con determinazione scelgono di investire nella formazione per seguire la
legittima aspirazione di realizzarsi professionalmente nel proprio luogo natio o ovunque
essi vorranno cimentarsi, forti del solido e versatile capitale cognitivo acquisito. Gli
investimenti (esteri) che l’università ha saputo attrarre richiamano nuovi insediamenti
produttivi. È una potenzialità da curare attraverso l’incessante verifica dei risultati
delle collaborazioni, i servizi pubblici adeguati e la riqualificazione del contesto urbano.
Al fine di accelerare la transizione digitale, il dialogo tra i grandi e i piccoli
imprenditori con i ricercatori affermati e alle prime armi è l’unica strada per infondere
conoscenza scientifica e competenza tecnologica negli ambienti di lavoro, ove il sapere
tacito aiuta a risolvere i problemi della produzione. La conoscenza scientifica (in greco
antico epistème) prende forma nelle tecniche
(téchne) e nelle pratiche situate delle organizzazioni produttive
(mêtis) per disegnare strategie d’innovazione sostenibili nel
tempo. E questo volume si addentra nei meandri dell’accademia e dell’industria per
confrontarsi con chi si mette alla prova quotidianamente,
¶{p. 11}testimoniando etica del lavoro, fiducia nella scienza e
responsabilità sociale.
Ringrazio Gaetano Manfredi e Edoardo
Cosenza che hanno sostenuto il lavoro di ricerca sull’esperienza universitaria e Andrea
Prota per aver finanziato lo studio. Ringrazio Roberto Celentano, con cui ho percorso parte
del cammino della ricerca e dell’analisi delle informazioni. Ringrazio Vincenzo Alfano che,
aggregandosi in una fase più avanzata dello studio, ha offerto un preziosissimo contributo
analitico.
Sono particolarmente grata a Leopoldo
Angrisani e al Centro Servizi Metrologici e Tecnologici Avanzati (Cesma) e, in particolare,
a Giovanni Colecchia e Giuseppe Sabatino per aver offerto le informazioni e il supporto
finanziario per la pubblicazione dello studio. Ringrazio inoltre i responsabili e i
direttori delle academy e dei laboratori Domenico Asprone, Alessio Botta, Antonio Moccia,
Antonio Pescapé, Maria Quarto, Simon Pietro Romano, Antonino Squillace, Marco Trifuoggi e
Giorgio Ventre, in particolar modo. Sono anche molto grata al gruppo di lavoro con cui ho
collaborato per la presentazione nel 2019 e nel 2020 dell’iniziativa dal titolo
Digital Academies for Inclusive Learning al concorso per il premio
Regiostars della Commissione europea, in cui il progetto è risultato finalista: in ordine
alfabetico, rivolgo il mio ringraziamento a Rosalba Angrisani, Francesco Buccaro, Paolo De
Nigris, Enrico Formato, Annalisa Granatino, Giovanni Monaco, Pietro Nunziante, Fabio Relino,
Mara Rossi e Stefania Zinno.
Particolarmente importante per
l’approfondimento del tema della terza missione è stato il mio coinvolgimento nel gruppo di
lavoro di ateneo per la selezione dei casi da sottoporre alla Valutazione della Qualità
della Ricerca e della Terza Missione dell’Anvur (2015-2019). Per questo motivo sono grata al
rettore Matteo Lorito e al delegato Antonio Pescapé, insieme ai colleghi Martino Di Serio,
Marialuisa Frosina, Mariagloria Lapegna, Cristina Mele e Massimo Santoro. A tal proposito,
ringrazio anche Raffaele Trapasso dell’OCSE e Francesco Nicola Dotti di Science Europe con
cui abbiamo esaminato importanti aspetti della terza missione nella sessione co-coordinata
nell’ambito della Conferenza
¶{p. 12}annuale Espanet Italia 2021. Uno
speciale ringraziamento va ai colleghi del Dipartimento di Scienze Sociali e, in
particolare, a Stefano Consiglio e a Dora Gambardella che hanno sostenuto i miei sforzi. In
ultimo, ma non per importanza, rivolgo il mio più sentito ringraziamento agli imprenditori
che hanno dedicato il loro tempo a descrivere le innovazioni che hanno immaginato e
realizzato nelle proprie aziende: il loro esempio è fonte di ispirazione per tutti coloro
che con perseveranza perseguono un obiettivo di imprenditorialità e di cambiamento sociale.
Note
[1] Il progetto di ricerca dal titolo L’impatto sociale dell’innovazione digitale è inserito nell’ambito della linea di ricerca PROSIT – Progettare in sostenibilità; qualificazione e digitalizzazione in edilizia e finanziato dal Dipartimento di Strutture per l’Architettura e l’Ingegneria in collaborazione con il Dipartimento di Scienze Sociali dell’Università di Napoli «Federico II».