Ludovico Albert, Daniele Marini (a cura di)
La valutazione dell'esperienza duale nell'istruzione e formazione professionale
DOI: 10.1401/9788815371225/c2
Nei corsi del duale l’allievo non si è reso conto che quelli che per lui spesso erano semplicemente «prof» erano in realtà professionisti provenienti da organizzazioni (e in taluni casi anche da imprese) differenti, una vera e propria presa in carico multiprofessionale che gli hanno permesso un percorso «complesso», fatto di una pluralità di opportunità ricomposte sulle sue specifiche esigenze. In questo caso non c’è stato l’inciampo che ha reso difficile il programma Youth Guarantee per cui il firmatario del patto di servizio che prevedeva una sequenza di azioni (dall’orientamento specialistico o di secondo livello, alla formazione mirata all’inserimento lavorativo, al reinserimento di giovani 15-18enni in percorsi formativi, all’accompagnamento al lavoro, fino all’apprendistato o al tirocinio) avrebbe dovuto sapere in modo autonomo individuare di volta in volta il nuovo professionista a cui affidarsi, districandosi tra le molte offerte e tenendo conto dei tempi diversi di finanziamento e attuazione di ciascuna di esse. Un percorso a ostacoli che presupponeva perseveranza e autonomia di comportamento che sono per definizione due competenze socioemotive poco presenti nei soggetti più difficili e a bassa scolarità che si affacciano al lavoro.
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E non è peraltro un caso se, proprio là dove si è più consolidato il duale nel rapporto con le imprese, anche le competenze socioemotive sono divenute più centrali nella programmazione delle istituzioni formative. Un cambiamento molto rilevante che la ricerca di Daniele Marini analizza in profondità ma che ha trovato terreno fertile in un sistema consolidato, robusto in tutte le sue parti, capace di gestire nello stesso tempo e talvolta nella stessa classe allievi in impresa e allievi in classi «normali», allievi tout court e allievi lavoratori perché titolari di contratto di apprendistato: è questo il compito fondamentale del centro di formazione. Il salto in avanti è stato possibile in quanto si è innestato su questo sistema storico, rodato in molte delle sue parti, dotato di rapporti già consolidati con le imprese e il territorio, con quasi tutti gli enti di formazione che già operavano anche come APL, ma soprattutto perché erano presenti strutture dotate di professionisti della formazione, di aule, di laboratori qualificati, e di molta esperienza, con una tradizione riconosciuta relativa a un’offerta legata a tutta la filiera formativa, unica condizione che permette alle aziende di scegliere in un menu ampio di possibilità. Non dobbiamo dimenticare che il duale non è per tutti ma, soprattutto quando parliamo di ragazzi minori o molto giovani, sappiamo che è necessario potere offrire in complementarietà ambedue le possibilità, il corso tradizionale e l’alternanza vera e propria con l’apporto formativo diretto da parte delle imprese. Non sempre si possono costituire classi intere composte da alunni assunti in impresa, la multiprofessionalità propria delle istituzioni formative permette nei suoi corsi la gestione contemporanea di curvature ed esigenze diverse. La presenza consolidata e capillare dell’intera filiera verticale è la prima condizione perché si possa garantire anche un’offerta più elastica, più specifica, personalizzata, immediata nella risposta alle esigenze dei ragazzi e delle imprese come quella consentita dal duale. Anche per questo nelle regioni in cui il sistema è consolidato, la modalità «impresa simulata» non ha praticamente avuto diritto di cittadinanza e la modalità impresa formativa e/o impresa vera e propria è stata largamente maggioritaria.{p. 97}
«Duale» e IeFP non sono entità diverse, il «duale» è possibile in quanto esiste la IeFP organizzata in tutte le parti della sua filiera, ne è uno sviluppo, un complemento naturale. Anche l’auspicata apertura del «duale» ai disoccupati adulti presuppone infatti strutture, laboratori attrezzati e professionalità, l’attenzione al fatto che questa tipologia di offerta è una parte (molto rilevante e innovativa) di un sistema complesso che va consolidato in tutte le sue parti.
Nella maggior parte delle regioni del Centro-Sud resta invece negata ai ragazzi l’opportunità di formarsi in questi percorsi caratterizzati dal «fare», dalla laborialità, dalla finalizzazione al lavoro, dalla personalizzazione, ma anche, e forse soprattutto, dalla vocazionalità propria di una presa in carico molto legata alla forte distintività che caratterizza i grandi enti nazionali di formazione. Un requisito quest’ultimo non irrilevante per controbilanciare, soprattutto con gli allievi più difficili, la perdita di significato degli apprendimenti che è una delle ragioni principali che rendono problematici e di insuccesso i percorsi scolastici dei ragazzi. Mentre nel Nord è molto presente l’offerta delle istituzioni formative accreditate (i CFP), nel Centro-Sud queste sono presenti in modo sporadico e insufficiente, ed è di gran lunga maggioritaria l’offerta degli istituti professionali, in particolare nella forma della sussidiarietà integrativa. Una situazione che, soprattutto in queste regioni, ha contribuito a determinare la sostanziale assenza di regolamentazione regionale. In molte regioni del Sud il sistema, nella sua parte delle istituzioni formative (CFP), quelle più specializzate e con risultati migliori, anche per la loro identità storica di tipo vocazionale, per lo più legata al mondo cattolico (salesiani, Acli, giuseppini del Murialdo ecc.), nel corso degli ultimi anni si è poco per volta destrutturato, nonostante rappresenti la parte più sana del sistema di formazione professionale, non coinvolta negli scandali che hanno riempito le cronache degli ultimi anni per i corsi «fantasma» finanziati in quegli stessi territori. In alcune regioni il (sotto)sistema delle istituzioni formative (CFP) è ora del tutto azzerato, in altre alcuni degli operatori tradizionalmente più specializzati hanno avuto vita sempre più difficile tanto da giungere al fallimento e alla chiusura {p. 98}dei loro centri. Si è prodotta una situazione di «deserto» che occorrerebbe fronteggiare con azioni forti: riprendere gli investimenti, attingere alle professionalità nei sistemi che le hanno maturate, infrastrutturare (sedi e laboratori qualificati) per avere le condizioni di base su cui poter fare leva per sviluppare nuove attività.
Non sempre in passato si è trattato di scelte esplicite, di politiche dichiarate in atti formali; le difficoltà non hanno peraltro a che fare con la scarsità delle risorse, che sono nettamente (e di molto) superiori proprio nelle regioni del Sud. In molti casi è stata più rilevante l’inefficienza della programmazione, la debolezza delle strutture regionali, quando non direttamente la scelta di indirizzare le risorse su soggetti non necessariamente particolarmente qualificati o su altri segmenti del sistema di formazione professionale. Effettivamente, mentre nelle regioni del Nord la parte maggioritaria delle risorse pubbliche regionali ed europee per la formazione professionale si concentra sulla IeFP, sui giovani da inserire nel lavoro, sullo snodo della transizione al lavoro, nelle regioni meridionali sono prevalenti i corsi non ordinamentali di specializzazione professionale rivolti a una platea di disoccupati più adulta (necessari ma non sufficienti per una completa infrastrutturazione formativa del territorio).
La differenziazione tra Nord e Centro-Sud nell’offerta di IeFP, e più in generale di politiche del lavoro, dipende da un complesso di responsabilità, di inadempienze attribuibili tanto alle regioni quanto allo Stato: le peculiari condizioni di operatività conseguenti alle scelte che nel tempo ciascuna regione ha adottato, l’esercizio (o non-esercizio, in alcuni casi) della competenza esclusiva in materia assegnata dalla Costituzione, nonché il rispetto o meno dei livelli essenziali delle prestazioni fissati quale condizione di omogeneità a livello nazionale (cui corrisponde, dal lato dello Stato, un pressoché inesistente accertamento della loro applicazione).
La Costituzione attribuisce infatti allo Stato la competenza di dettare anche per il sistema di Istruzione e Formazione Professionale principi, regole e condizioni di unitarietà, in primis i LEP (Livelli essenziali delle prestazioni). Le ina{p. 99}dempienze di alcune regioni, lasciate negli anni crescere dall’assenza di controllo/accompagnamento statale sono le principali cause del molto elevato grado di incoerenza tra i sistemi territoriali e i principi di unitarietà stabiliti a livello nazionale. Le differenze sono evidenti soprattutto rispetto al numero e alla tipologia di allievi iscritti, alle risorse impiegate, alle regole utilizzate e ai risultati conseguiti (numero di giovani qualificati o inseriti nel lavoro). Una disuguaglianza di opportunità resa possibile anche dalla sostanziale assenza delle politiche statali. Un ruolo centrale è stato assunto per la regolamentazione, dalla Conferenza Stato-Regioni. Tra le regioni si è sviluppata concorrenza sui criteri di riparto delle risorse statali che poco per volta hanno premiato le regioni più efficienti, valutando soprattutto i qualificati vs gli iscritti o le coorti della popolazione in età formativa. Una scelta nata per rendere più efficiente il sistema che però, reiterandosi e ingigantendosi nel tempo, senza significativi correttivi, fa «piovere sul bagnato» e comunque non è controbilanciata con aiuti o azioni di sostegno per chi decidesse di ripartire e di strutturare un nuovo sistema. L’Inapp ha meritoriamente prodotto ogni anno interessanti report sul tema ma, a fronte delle evidenti disuguaglianze di opportunità per i giovani e per il sistema produttivo, nessuno a livello centrale si è strutturato per segnalare caveat o per esercitare poteri sostitutivi nelle regioni inadempienti. L’impressione è che non si voglia vedere l’evidenza, sia perché è sempre molto delicato essere invasivi in una competenza esclusiva di altri, sia perché sono necessarie competenze e conoscenze, sia infine perché i ministeri sono spaventati dai possibili costi di un intervento centrale, sostitutivo in una regione inadempiente. Anche tenendo conto di quanto previsto dal PNRR, in assenza di una chiara assunzione di responsabilità per il rispetto dei LEP da parte del governo centrale, il timore è che il divario tra le regioni sia destinato a crescere, nonostante l’ingente quantità di risorse.
Un divario che non è soltanto legato alla quantità dei giovani che percorrono i diversi canali dell’istruzione superiore quanto soprattutto alla qualità delle filiere educative proposte, alla loro varietà, al loro legame con il lavoro, alle {p. 100}caratteristiche dei laboratori, delle professionalità e delle strutture educative a disposizione. Un divario rispetto al quale la qualità della programmazione regionale, la sua capacità di regolamentare, valutare, sostenere, accompagnare, correggere, indirizzare, avviare iniziative di discriminazione positiva nelle situazioni più difficili, costruire ponti con i sistemi dell’istruzione e del lavoro ecc. è centrale, ma soprattutto è altrettanto indispensabile la presenza di un’autorità nazionale che si faccia garante della qualità dei sistemi formativi, sia rielaborando e rendendo sempre più efficaci i LEP, sia soprattutto valutando quanto avviene nelle diverse realtà regionali perché dotata della volontà e dei poteri necessari di intervento quando le situazioni sfuggono al minimo considerato indispensabile. Da questo punto di vista la recente «sperimentazione duale» è stata un esempio importante perché è stata gestita, nel rispetto dei ruoli istituzionali e delle competenze delle regioni, con una cabina di regia istituita in Conferenza Stato-Regioni che ha definito standard di esecuzione, condizionalità, verifica e seguito passo passo l’attuazione con un importante sistema di accompagnamento da parte di Anpal Servizi degli atti di programmazione e di gestione territoriali.
Già nel 2019 Forma (Associazione nazionale degli enti di formazione professionale) e Cenfop (Coordinamento enti nazionali per la formazione e l’orientamento professionale) descrivevano la condizione dell’offerta di IeFP a livello nazionale. Gli evidenti punti di forza documentati rispetto all’istruzione professionale, confermati dalle percentuali di successo formativo e di inserimento lavorativo dei giovani, derivano dalla natura inclusiva dei percorsi di IeFP, dalla loro maggiore flessibilità e capacità di raccordo con la dimensione del lavoro, nonché dalla tendenza alla verticalizzazione, anche se per ora limitata ai percorsi quadriennali. Accanto a questi innegabili aspetti, se ne devono però richiamare altri,
che sono ancora di forte criticità. Il primo di questi è la «disomogeneità». Almeno tre sono gli aspetti di questa disomogeneità. La disomogeneità, innanzitutto, geografica dei percorsi formativi che dà vita a un quadro che, come afferma il Censis (2018) è
{p. 101}troppo differenziato a livello regionale, incapace di offrire pari opportunità a tutti. La seconda è temporale: una disomogeneità che crea destabilizzazione anche nei soggetti operanti per il mancato allineamento temporale nell’inizio dei percorsi formativi rispetto a quello scolastico in molte regioni italiane. La terza permane nei meccanismi di finanziamento: pur essendo intervenuti negli ultimi anni importanti cambiamenti che hanno contribuito a rilanciare un’offerta almeno ricorrente, le erogazioni rimangono instabili e non accenna a risolversi il problema dell’assenza di una visione unitaria dei costi della IeFP, che sconta la difficoltà a definire costi standard validi sul territorio nazionale [...] [5]
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Note
[5] Un sistema di IeFP tra punti di forza e di criticità, 14 maggio 2019.