Mita Marra
Connessioni virtuose
DOI: 10.1401/9788815371126/c8
Le analisi più promettenti mostrano che i progetti di terza missione sviluppano interazioni produttive dirette e indirette, formali e informali, con attori e gruppi di interesse di diversa estrazione [40]
. Sin dalla fase della progettazione e attraverso la creazione della rete, i ricercatori e i docenti possono promuovere impatto sociale, coinvolgendo gli utenti e gli attori per diffondere i risultati strada facendo [41]
. Il coinvolgimento degli attori è essenziale per il successo di un progetto di terza missione che si propone di trasformare il modo in cui gli stessi attori svolgono il proprio lavoro. Due domande chiave possono guidare una verifica preliminare in tal senso, vale a dire, con chi e come si sviluppano le interazioni durante e in seguito al progetto di terza missione? In che modo il
{p. 171}progetto contribuisce a innovare le percezioni, le opinioni e i comportamenti degli attori coinvolti? Rispondere alle domande appena menzionate può facilitare la riflessività al fine di impostare un disegno valutativo appropriato a dar conto delle attività di terza missione dell’università nei contesti territoriali.

3. Lezioni apprese

Nel presente volume, l’interesse per l’impatto sociale dell’università è indagato attraverso il prisma dell’ecosistema dell’innovazione. L’analisi ricostruisce l’esperienza di collaborazione tra l’università e alcuni grandi gruppi tecnologici e industriali mondiali per portare alla luce le innovazioni che trasformano l’organizzazione della formazione continua, i rapporti con i discenti, le relazioni con le imprese a livello locale e globale. Nell’esame degli effetti delle iniziative di alta formazione digitale, il lavoro di ricerca esplora dimensioni economico-politiche, sociali e organizzative al fine di circostanziare il ruolo imprenditoriale e l’impegno sociale dell’università. I capitoli precedenti mettono a fuoco questioni e risvolti valutativi che offrono un contributo al dibattito sul ruolo dell’università e sulla valutazione dell’impatto sociale delle attività di terza missione. I punti che seguono ricapitolano le principali risultanze della ricerca ed evidenziano le questioni valutative emerse.

Imprenditorialità e (auto)valutazione dell’apprendimento

Le risultanze della ricerca sostengono una rappresentazione delle accademie universitarie come un ecosistema della conoscenza che coinvolge gruppi tecnologici e industriali multinazionali in forme di apprendimento inclusivo, multidisciplinare ed esperienziale. Con l’obiettivo di sviluppare conoscenze tecnico-digitali, il valore educativo della pedagogia delle academy risiede nella capacità di promuovere imprenditorialità: studenti e professionisti sono coinvolti {p. 172}in lavori di gruppo, nella sistematica revisione tra pari e nell’autovalutazione delle competenze acquisite. Il connubio tra competenze digitali, capacità organizzativo-gestionali e sensibilità per l’impatto sociale rende la formazione erogata dalle academy versatile e spendibile nel mercato del lavoro a diverse latitudini del mondo e, principalmente, nel contesto regionale.
L’educazione all’imprenditorialità è una disciplina dai contorni ancora poco nitidi, che stenta a trovare piena legittimazione nella comunità accademica. Come sostiene Caggiano [42]
, l’imprenditorialità tende a essere collocata esclusivamente nel contesto del capitale economico e non è un caso che la formazione imprenditoriale sia stata materia quasi esclusiva delle scuole di business. Ciò ha fatto sì che esse dettassero i modi attraverso i quali organizzare la conoscenza esplicita. Eppure, appare difficile non scorgere la valenza educativa di un percorso formativo che, nel caso indagato in questo volume, integra competenze digitali e trasversali ampiamente richieste dal mercato del lavoro. Il valore educativo della formazione imprenditoriale delle academy è riconosciuto e valorizzato, in primo luogo, dalle imprese multinazionali partner dell’università. Queste ultime integrano principi e metodi dell’educazione imprenditoriale con competenze digitali nella gestione dell’enorme diversità culturale esistente al loro interno e sollecitano l’università a investire il patrimonio di conoscenze costruito nei secoli per formare la cultura delle giovani generazioni di imprenditori futuri [43]
. L’università raccoglie la sfida delle Big Tech, e, negli edifici ricostruiti nelle aree industriali dismesse, asseconda la sperimentazione di una formazione continua che invita i discenti a esprimere la propria creatività e assumere rischi nella periferia di una regione periferica d’Europa. In {p. 173}tale contesto, l’emancipazione delle persone è il motore per rigenerare le aree abbandonate e la contaminazione dei saperi – tecno-scientifici e contestuali – è un potente meccanismo in grado di superare disuguaglianze sociali e spaziali a partire dal centro del Mediterraneo.
L’analisi esplora in che modo l’apprendimento esperienziale trova un fertile humus nella pedagogia delle sfide che le accademie adottano come modalità di costruzione e condivisione del sapere (cfr. cap. 2). L’apprendimento esperienziale emerge nell’interazione tra i discenti, nell’autovalutazione che essi sono chiamati responsabilmente a condividere per verificare i progressi compiuti singolarmente e in collaborazione rispetto agli obiettivi conoscitivi e alle aspirazioni di crescita ed emancipazione. L’autovalutazione rimanda al ruolo centrale che può e deve svolgere chi impara, non come esercizio di autoreferenzialità, di chiusura entro dei parametri di giudizio personali e avulsi dalla realtà. Autovalutarsi significa, piuttosto, maturare una percezione di competenza e un giudizio soggettivo che richiede il confronto con i mentori e gli istruttori non in veste di esaminatori ma di facilitatori di un processo di acquisizione di consapevolezza e responsabilità. In questo campo, una delle sfide più impegnative che l’università è chiamata ad affrontare consiste nello sforzo di assicurare livelli di qualità comuni a tutte le operazioni valutative per garantire plausibilità, affidabilità, trasparenza e condivisione. Si impone, quindi, una riflessione in seno al sistema universitario italiano al fine di superare sia i questionari di valutazione sia gli schemi tradizionali di verifica dell’apprendimento come esclusiva prerogativa del docente.

La crescita dell’ecosistema dell’innovazione e valutazioni «theory-based»

L’ecosistema non si crea dal nulla attraverso l’iniezione di ingenti finanziamenti pubblici. L’ecosistema è frutto di un investimento in conoscenza cui l’università può dare un forte impulso come agente per la trasformazione del {p. 174}contesto territoriale. La strategia di creazione del valore basato sulla conoscenza deve vincere l’isolamento e la frammentarietà dei sistemi produttivi locali, tessendo reti inclusive che favoriscono il coordinamento multidisciplinare e la cooperazione. Il caso esaminato mostra che il processo di formazione dell’ecosistema è graduale nelle relazioni di collaborazione che i singoli docenti avviano con le imprese nel lavoro di ricerca applicata. Con gli investimenti delle multinazionali, le interazioni con l’industria s’intensificano e possono ancora crescere con una politica di terza missione tesa a rafforzare ed espandere le collaborazioni tra università e imprese locali e globali.
Come in altri ecosistemi della conoscenza, nel polo tecnologico di San Giovanni, le aziende partner dell’università gravitano intorno al campus universitario, ove l’attore principale gestisce la logistica, l’organizzazione e gli scambi basati sulla conoscenza. La prossimità fisica, culturale e virtuale degli attori partner assicura la condivisione di una pedagogia che trae vantaggio dalla tradizione centenaria dell’istituzione universitaria e dalle reti delle multinazionali alleate che promuovono una formazione rispondente alle esigenze del mercato del lavoro globale.
L’ecosistema cresce grazie alla collaborazione tra i partner, nella ricerca di un allineamento funzionale alla creazione di valore basato sulla conoscenza, non immediatamente sfruttabile sul piano commerciale. L’analisi del caso evidenzia l’importanza di distinguere le scelte assunte al fine di risolvere i problemi estemporanei che emergono nelle interazioni con i partner rispetto al disegno e all’attuazione di una politica a favore della co-innovazione. Quest’ultima coinvolge le dimensioni economico-politiche che concernono le posizioni, i ruoli, le aspettative e i rischi che investono le iniziative di collaborazione.
L’università conferisce legittimità accademica alla co-creazione di sapere tecnico-scientifico ed esperienziale ed esercita la propria influenza culturale grazie alla capacità organizzativa e imprenditoriale nell’erogazione di servizi formativi efficaci nel mondo del lavoro. La lunga tradizione di didattica e di ricerca sono i vantaggi competitivi di un’i{p. 175}stituzione generalista, differenziata al proprio interno, che innova i percorsi di formazione continua al fine di incontrare le richieste del mercato del lavoro, pur non operando su quel versante. Ciò nondimeno, l’attenzione rivolta all’inserimento lavorativo non tarda a produrre le ricompense tangibili in termini di visibilità, reputazione, ritorni economici e benefici sociali. Per questo motivo, il futuro dell’ecosistema dipende dalla capacità di mantenere e aumentare l’efficacia e l’efficienza dell’organizzazione e di delineare ruoli e funzioni non ancora adeguatamente messi a fuoco – come, ad esempio, la ricerca di potenziali nuovi partner, l’interazione con i nuovi affiliati, la definizione delle priorità nell’allocazione delle risorse e la distribuzione delle stesse affinché la cooperazione duri nel tempo, nonostante le dinamiche competitive interne. La scalabilità dell’investimento in conoscenza – vale a dire, l’opportunità di ampliare le collaborazioni con le grandi imprese per formare un numero più elevato dei potenziali destinatari – non può, infatti, prescindere dalla verifica dell’efficienza dei processi amministrativi interni e dall’analisi dell’efficacia della formazione nel mercato del lavoro, ove rintracciare gli effetti di rete.
Le analisi valutative future sono chiamate ad esaminare:
  • gli incentivi, i costi, i rischi e i vincoli alle collaborazioni tra imprese e università, nella formazione o nella ricerca applicata;
  • i percorsi e i contesti di inserimento lavorativo dei discenti a livello territoriale;
  • le dinamiche del mercato del lavoro regionale;
  • il coordinamento degli agenti economici e tecno-scientifici attraverso le associazioni di categoria e le agenzie di governo regionale.
Sul piano valutativo, ciò significa ricostruire le interazioni produttive di scala micro-meso. L’idea dei percorsi dell’impatto sociale mostra molteplici punti di contatto con i disegni valutativi basati sulla teoria [44]
. Le motivazioni e i modi di
{p. 176}operare dei docenti e dei ricercatori nel campo delle scienze naturali e ingegneristiche ma anche delle scienze umane e sociali sottendono percorsi di impatto sociale compatibili con diverse catene di causazione, da verificare in relazione ai contesti e agli effetti osservati. La tradizione nord-americana della Program Evaluation può contribuire a circostanziare l’idea di impatto sociale mettendo a fuoco le dimensioni tecno-scientifiche, socioeconomiche e politico-organizzative delle collaborazioni – come ad esempio, la produttività, la mobilità e l’imprenditorialità del personale, la qualità della didattica, l’efficienza organizzativa e i ritorni degli investimenti in R&S. Decomporre le diverse anime dell’impatto sociale e ricomporle attraverso la verifica delle teorie del cambiamento che sostengono specifici percorsi di trasformazione sociale può essere una strategia valutativa da sperimentare anche nei sistemi istituzionali di verifica della ricerca e della terza missione dell’università a livello nazionale.
Note
[40] de Jong, Barker, Cox, Sveinsdottir e Van den Besselaar, Understanding Societal Impact through Productive Interactions, cit.
[41] Aiello, Donovan, Duque, Fabrizio, Flecha, Holm, Molina, Oliver e Reale, Effective Strategies that Enhance the Social Impact, cit.
[42] Cfr. V. Caggiano, Educazione imprenditoriale. Aspetti psicologici dell’imprenditore, Roma, Anicia, 2012.
[43] A. Thomas, V. Cillo, V. Caggiano e D. Vrontis, Drivers of Social Capital in Enhancing Team Knowledge Sharing and Team Performance: Moderator Role of Manager’s Cultural Intelligence, in «International Journal of Managerial and Financial Accounting», 12, 3-4, 2021.
[44] Cfr. G. Ton e S. Vellema (a cura di), Theory-Based Evaluation of Inclusive Business Programmes, in «IDS Bulletin», 53, 1, 2022. Gli autori discutono delle esperienze di professionisti e accademici nella ricerca di modalità praticabili e creative per condurre valutazioni di impatto di programmi aziendali inclusivi nel campo dell’alimentazione e dell’agricoltura. I programmi aziendali inclusivi mirano a modificare le attuali pratiche commerciali delle PMI in modo che queste includano i piccoli proprietari come produttori o si rivolgano ai consumatori meno abbienti.