Andrea M. Maccarini (a cura di)
L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c5
La conflittualità tra scuola e famiglia deriva sia dalla diversa interpretazione e socializzazione alle regole (come poc’anzi evidenziato), sia dallo scarso valore riconosciuto dalle famiglie alla scuola e ai suoi contenuti didattici ed educativi, sia infine dalla contestazione diretta di alcuni metodi e richieste che la scuola avanza nei confronti dei bambini e delle famiglie (ne sono un esempio le richieste di disponibilità da parte della scuola alle famiglie per la consegna delle pagelle o per la discussione di aspetti comportamentali dei bambini che sono sintomo di malessere e arrecano turbamento all’intero gruppo classe, richieste del tutto ignorate da alcune famiglie e da cui si evince un senso di irresponsabilità nel ruolo genitoriale). Per quanto riguarda invece la distanza scuola-famiglia, essa assume la forma nel completo disinteresse da parte dei genitori nei confronti della quotidianità scolastica dei figli (che spesso si presentano in aula senza i libri, né i quaderni, né i compiti eseguiti come da richiesta delle insegnanti), ma anche più in generale verso la vita nella scuola (che spazia dalla mancanza di partecipazione a eventi come recite e feste a occasioni di presentazione di progetti e attività della scuola di cui bambini e famiglie saranno beneficiari). La scuola è per queste famiglie qualcosa che deve essere fatto, che sostituisce la famiglia per un significativo numero di ore, ma il significato educativo più profondo dell’essere a scuola è completamente trascurato. Lo stesso stile educativo delle famiglie oscilla tra il modello maternalista (iperprotettivo e accudente) e il modello disciplinare statutario [teorizzati
{p. 183}da Kellerhals e Montandon 1991] che si traduce in regole ferree e del tutto acritiche, imposte soprattutto dai padri, ma inerenti ad attività e condotte che esulano del tutto dal contesto scolastico e che mostrano di avere ricadute educative negative sui bambini in merito ad apprendimenti e relazioni con i pari, come si vedrà oltre.
Seguendo la classificazione di Duru-Bellat e Van Zanten [1999], i genitori degli alunni di entrambe le classi prediligono la modalità di interazione con la scuola fondata sul conflitto, con accenni di delega che tuttavia non si configura mai come fiduciaria quanto piuttosto come sostituzione del compito educativo (dalla famiglia alla scuola) senza che tra le due agenzie vi sia collaborazione e reciproco rafforzamento dei messaggi educativi.
L’ultimo aspetto che accomuna le docenti di entrambe le classi riguarda il metodo didattico: entrambe le coppie di docenti prediligono un approccio nozionistico, realizzato mediante lezioni frontali, con una forte componente esecutiva e ripetitiva da parte dei bambini. Seguendo anche qui (analogamente a quanto esposto nei precedenti capitoli 3 e 4) il contributo di Besozzi [2010], possiamo dire che le insegnanti delle due classi prediligano un approccio didattico fondato sulla trasmissione di saperi codificati, attraverso modalità tradizionali di insegnamento (lezione dell’insegnante, lavori di gruppo in aula, studio individuale) e di apprendimento (lineari, sequenziali, basate sulla cultura scritta e un’oralità diffusa). La scelta di tale approccio è in larga parte determinata dalle risorse culturali delle famiglie e dal rapporto che esse intrattengono con la scuola. Siamo infatti in presenza di bambini che ricevono stimoli modesti fuori dalla scuola, il cui accesso al sapere codificato è limitato, le cui esperienze sono condizionate dai vincoli (molti) e dalle risorse (esigue) delle loro famiglie. Inoltre in ragione della mancanza di alleanza educativa, la didattica tradizionale costituisce un ulteriore vettore della socializzazione normativa rispetto alla quale le famiglie si mostrano deficitarie. Vi sono di tanto in tanto esperienze messe in campo dalle docenti che possono essere ricondotte alla didattica innovativa, ma che si scontrano anche con la {p. 184}limitatezza delle risorse tecnologiche disponibili all’interno della scuola. Il che rende difficoltoso dare continuità a tali pratiche e conseguentemente non consente di apprezzarne gli eventuali effetti sugli apprendimenti, proprio in quanto episodici e non coordinati. Nello scenario di famiglie poco attrezzate, poco presenti e con un basso livello di riconoscimento sociale alla scuola, la strategia delle docenti risulta essere non soltanto motivata ma necessaria.
Per passare ora agli elementi distintivi di ogni singola classe, il primo che è emerso dalle osservazioni riguarda la relazione tra docenti della stessa classe. Nella classe Camelia 1 il rapporto tra le docenti è equilibrato e coordinato ma è anche condizionato dalla differenza di età ed esperienza tra le docenti. L’insegnante senior ha una lunga esperienza di insegnamento e in particolare è da molti anni all’interno della scuola: questo le conferisce autorevolezza agli occhi della collega junior che ne ripropone lo stile, sebbene rivisitato. La docente senior riesce a garantire in modo spontaneo la disciplina della classe, non concede margini ai bambini per sfuggire alle regole, li sollecita negli apprendimenti, ne sottolinea le lacune ma ne loda anche le qualità; la maestra junior predilige un approccio autoritario, probabilmente perché non ha la stessa sicurezza e percezione di autoefficacia della collega. Ne deriva comunque un’immagine molto coesa della coppia docente che come tale è percepita anche dai bambini.
Nella classe Camelia 2, il rapporto tra le insegnanti è maggiormente simmetrico, sia per la prossimità anagrafica tra le insegnanti sia per l’esperienza nel ruolo. Le docenti adottano uno stile molto simile nell’interazione con i bambini, sono entrambe autoritarie ma con un forte tratto democratico e hanno relazioni molto affettive con i bambini, quasi materne a tratti. Sono incoraggianti ma al contempo esigenti; sanno imporre disciplina e pretendere il rispetto, ma anche motivare i bambini agli apprendimenti.
Per quanto riguarda gli stili didattici adottati essi sono differenti tra le due classi. La classe Camelia 1 predilige uno stile didattico misto, in cui sono presenti sia aspetti di didattica frontale tradizionale, sia alcuni aspetti innovativi. {p. 185}Le insegnanti utilizzano entrambe questo approccio nelle relative discipline. Le ragioni di questo mixed method vanno ricercate sia negli obiettivi didattici che le insegnanti si prefiggono di raggiungere (e che un metodo misto consente di realizzare con maggiore facilità), sia nelle caratteristiche degli alunni che presentano livelli bassi nella capacità di attenzione e concentrazione e richiedono di conseguenza interventi didattici variegati che siano di supporto. Viceversa, nella classe Camelia 2 viene prediletto uno stile didattico tradizionale, fondato sulla lezione frontale, alcune esperienze di lavoro a coppia o in piccoli gruppi, con interventi ripetuti di rinforzo delle nozioni e dei concetti affinché essi vengano stabilmente acquisiti. In questa classe, infatti, le capacità di mantenimento dell’attenzione sono mediamente basse, al netto di alcuni bambini che mostrano invece capacità decisamente superiori rispetto al gruppo classe. Non mancano in ragione di ciò da parte delle insegnanti anche interventi didattici diversificati: mentre si lavora rinforzando ciò che è già stato spiegato con alcuni i cui apprendimenti sono più lenti e fragili, con altri si mettono in campo attività didattiche e stimoli adeguati ai livelli di apprendimento raggiunti e volti a stimolare in modo ottimale le capacità degli alunni che si collocano a livelli più avanzati.

4. Le competenze degli alunni

Le due classi presentano una composizione molto simile per numerosità totale, ma si distinguono per la presenza di alunni di origine straniera: nella Camelia 1 i bambini italiani sono pari al 20% del totale; nella Camelia 2 i bambini italiani sono il 50% del totale. La composizione delle classi, per etnia, per la presenza di eventuali disturbi dell’apprendimento, per le caratteristiche delle famiglie e il loro livello di partecipazione attiva alla vita scolastica dei figli, è un elemento rilevante ai fini della comprensione delle dinamiche interne al gruppo classe e allo sviluppo delle competenze. È inoltre un elemento da tenere in considerazione rispetto agli stili didattici adottati dalle insegnanti e alla possibilità da parte delle {p. 186}insegnanti stesse di esprimere alcune competenze in modo particolare. Le due classi, Camelia 1 e Camelia 2, mostrano alcuni tratti comuni e altri invece divergenti. Fanno parte degli aspetti comuni la socievolezza, la perseveranza e responsabilità, e la creatività, che si manifestano in modi similari.
La socievolezza si è rivelata ottimale in entrambe le classi: i bambini sono aperti, estroversi e curiosi. Manifestano questi tratti caratteriali sia nell’interazione tra pari, pur con alcune preferenze all’interno del gruppo classe per alcuni compagni o compagne, sia nell’interazione con gli adulti. Le numerose progettualità a cui le classi aderiscono sollecitano infatti frequentemente l’interazione dei bambini con adulti diversi dalle insegnanti ma a cui è riconosciuto un ruolo di formatori ed educatori: anche quando questa interazione è episodica (e ciò accade con molte attività laboratoriali ed esperienziali dalla durata limitata nel tempo), i bambini dimostrano un’ottima capacità di interazione, sono attivi, curiosi in modo adeguato e pertinente rispetto all’attività svolta, rispettosi del ruolo dell’adulto. Nelle interazioni con il gruppo dei pari, la zona di comfort ottimale per i bambini della classe è definita dalla classe stessa dove le interazioni sono consolidate e continuamente sperimentate; più rarefatte e conseguentemente prudenti le interazioni con bambini di altre classi appartenenti alla stessa scuola con cui comunque si condividono di buon grado esperienze come la ricreazione in cortile o la pausa della mensa.
In entrambe le classi la perseveranza e la responsabilità, intese come capacità di restare sul compito assegnato, di avere contezza delle conseguenze delle proprie azioni, soprattutto in riferimento alle attività didattiche, si presentano come fragili e discontinue. Pur con una notevole eterogeneità tra bambini, è stato comunque osservato che la capacità di concentrazione e di mantenimento dell’attenzione sono mediamente basse e diventano via via più problematiche con il passare delle ore della giornata. Quindi a un’iniziale difficoltà di mantenimento dell’attenzione si associa anche una fatica più generale che compromette tali capacità a fine giornata. La limitata perseveranza in vista del raggiungimento di un obiettivo di apprendimento è infatti uno degli aspetti {p. 187}su cui le insegnanti insistono anche con metodi alternativi e stratagemmi. Le ragioni che spiegano la bassa soglia di attenzione dei bambini sono in parte riconducibili a fattori educativi nel senso più ampio del termine, in parte anche a fattori di tipo psicologico. Rientrano tra i fattori educativi le richieste da parte delle famiglie in merito alla performatività dei propri figli, che sono modeste e inoltre depotenziate da un humus culturale povero e sostanzialmente privo di stimoli ed esperienze arricchenti per i bambini. Anche la mancanza di regole sull’uso dei dispositivi elettronici in ambito domestico, come strumenti di intrattenimento e di impiego del tempo libero, e il generale lassismo genitoriale nei confronti dei bambini e delle regole a loro tutela (andare a dormire a un’ora adeguata per poter poi frequentare la scuola con profitto; consentire un’alimentazione sbilanciata a casa e concedere quotidianamente per la merenda o lo spuntino della mattina merendine confezionate di bassa qualità, ecc.) non giovano all’incremento delle soglie di attenzione dei bambini. Per quanto riguarda invece i fattori psicologici, è in diverse occasioni emersa una dinamica fondata sul «restare nella propria zona di comfort». I bambini hanno mostrato in reiterati momenti della vita di classe di non amare i cambiamenti, di essere titubanti di fronte alle novità, in qualche modo di temere ciò che non conoscono e non hanno ancora sperimentato proprio in quanto il loro livello di controllo in tali frangenti è basso. Una spiegazione nuova, un’esperienza nuova, un metodo nuovo costituiscono un fattore di stress più che un’occasione rispetto alla quale i bambini si sentano motivati a migliorare e ad acquisire nuove conoscenze e competenze, se non a ciò indirizzati e accompagnati dalle insegnanti.
E infine la creatività: in entrambe le classi i livelli di tale competenza si sono manifestati come bassi e ciò a causa principalmente di alcuni fattori. In primo luogo i bambini sono molto focalizzati sull’esecutività dei compiti loro assegnati (e questo, come già è stato messo in evidenza, costituisce il metodo didattico maggiormente praticato dalle insegnanti, in quanto correlato ai migliori risultati e alla migliore efficacia, stanti le condizioni di contesto non
{p. 188}favorenti l’introduzione di altri metodi); inoltre l’esiguità di stimoli ed esperienze in sedi extrascolastiche (principalmente per la povertà sociale, culturale e relazionale delle famiglie cui appartengono); ma anche il forte effetto esercitato dal gruppo dei pari, che costituisce una risorsa a cui appoggiarsi e nella quale identificarsi, ma che sollecita prevalentemente comportamenti imitativi piuttosto che creativi; e infine il timore di sbagliare, mostrando in tal modo quanto non appartenga a questi bambini l’idea di creatività come libera espressione fantasiosa, come personale riflessione e reinterpretazione della realtà cui non è in alcun modo correlato un giudizio di validità. La limitatezza di risorse creative può inoltre costituire un limite negli apprendimenti proprio in quanto li priva di quelle possibilità di connessioni, relazioni e rielaborazioni personali che contribuiscono alla creazione di un metodo di studio efficace.