Andrea M. Maccarini (a cura di)
L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/p1

Prefazione
di Francesco Profumo

Da tempo si sottolinea che nella società contemporanea la scuola dovrebbe assumere una funzione sempre più formativa, non perdendo, ma de-enfatizzando quella informativa. È noto infatti che le informazioni su qualunque questione o materia sono facilmente reperibili da fonti molteplici, ed è comunque impossibile includere nella scuola ogni ulteriore tema o argomento che sarebbe di per sé interessante conoscere, mentre è estremamente importante saper cercare, selezionare, interpretare criticamente e utilizzare in modo correttamente finalizzato le informazioni necessarie.
Tuttavia, quello delle informazioni è ambito tradizionalmente frequentato dalla scuola e intorno a esso si è sviluppato un robusto apparato di trasmissione e valutazione delle conoscenze – fatto di lezioni, stili didattici, verifiche, voti e giudizi – mentre invece la funzione formativa rimane oggi il più delle volte valorizzata in teoria, ma gestita con una certa genericità e vaghezza. Il primo aspetto costituisce pur sempre il nocciolo duro di ciò che la scuola è e fa, mentre il secondo è una realtà dal profilo incerto. Che cosa significa davvero, oggi, parlare di funzione formativa della scuola? Anzitutto, vuol forse dire che esiste una specifica forma che le persone dovrebbero assumere? E come è possibile concepirla? La nostra società ne ha un’idea condivisa? Quali sono, poi, le caratteristiche personali di cui parliamo e che starebbero al cuore, come obiettivo, di questa operazione formativa? Al di là della capacità critica, di cui si parla spesso e di cui è ben nota la rilevanza, si apre un panorama vasto e articolato, in cui sarebbe utile mettere ordine. Sul piano pratico, poi, la maggior parte delle e degli insegnanti ha ben presenti il «carattere» e le qualità personali di alunni e alunne, ma in che modo queste dimensioni entrano nel processo educativo della scuola? Sappiamo quali effetti hanno nel percorso scolastico {p. 8}degli alunni, nella loro riuscita e nei risultati raggiunti, nel breve e nel lungo periodo? Si può e si deve tenere conto di esse nel processo di scolarizzazione o ciò equivarrebbe a produrre discriminazioni? Sono soltanto variabili esogene, caratteristiche che gli alunni si portano dietro dal proprio background personale e familiare? Oppure si tratta di qualità educabili, dunque si può e si deve intervenire su di esse nella scuola? E se sì in che modo?
La questione si ripropone oggi con particolare evidenza e in una prospettiva di ampio respiro, quando, nella scuola che attraversa la pandemia e le limitazioni connesse, molti commentatori si domandano quale impatto tutto ciò possa avere sulla preparazione scolastica dei giovani, ma anche sul loro umore, sulla loro capacità di rimanere vitali, di pensare e progettare il futuro.
Il volume che presento affronta questo nodo problematico complesso, trattandolo in una prospettiva particolare. In primo luogo, impiega il concetto di competenze sociali ed emozionali, o anche «caratteriali» (social and emotional skills, character skills). Su di esse esiste ormai una vasta letteratura, teorica e di ricerca, a livello internazionale, che incrocia soprattutto interessi psicologici ed economici – come nel caso di James Heckman, che di questo tema è uno dei maggiori esperti. Nel libro vari modelli vengono discussi ed elaborati, tentando un bilancio e una selezione critica.
Inoltre, e soprattutto, il libro focalizza l’attenzione su come i processi sociali-educativi entro la scuola possono influire su tali competenze. L’indagine empirica che alimenta le conclusioni degli autori si è svolta nelle scuole di Torino, ma i risultati propongono riflessioni rilevanti al di là dei casi specifici. I punti cruciali si potrebbero sintetizzare, dal mio punto di vista, in tre ordini di considerazioni.
Emerge anzitutto come l’ambiente, il clima scolastico e di classe e gli stili educativi degli insegnanti siano d’importanza fondamentale per lo sviluppo di competenze caratteriali negli alunni. Nel testo, differenti tipi di ambiente e stile educativo appaiono correlati a esiti diversi sulle competenze sociali ed emotive degli alunni. Questo sottolinea ancora una volta quanto sia importante che le scuole italiane abbiano {p. 9}un proprio tratto distintivo, una propria progettualità autonoma. E rilancia in questo senso il ruolo della leadership, cioè della dirigenza scolastica, in collaborazione forte con insegnanti e genitori.
Inoltre, è interessante notare come gli alunni stessi siano caratterizzati, individualmente, da un proprio profilo di competenze caratteriali e come ciò abbia un riscontro nel loro stile di apprendimento. Questo aspetto è estremamente importante, perché chiarisce che l’attenzione a queste competenze offre uno strumento potenzialmente utile per la personalizzazione dei processi educativi. Capire che alunni diversi in base al genere, alla personalità, alle esperienze, a vari tratti del loro ambiente familiare e sociale, sviluppano competenze sociali ed emozionali differenti e apprendono anche in modo diverso implica guadagnare la possibilità d’impostare l’insegnamento e le relazioni educative in modo tale da renderle massimamente efficaci per tutti e per ciascuno.
Infine, lo studio sviluppato in questo volume tiene insieme due dimensioni spesso divergenti quando si parla di «carattere»: quella della performance e quella legata a valori. In altre parole, sono esaminate competenze che implicano, da un lato, la capacità di agire efficacemente in vari contesti sociali e, dall’altro, che riguardano la motivazione ad agire in modo solidale e positivo – per esempio nel rispetto degli altri, nella capacità di collaborare, e sotto vari altri aspetti – come «buoni cittadini».
Lascio al lettore apprezzare come la complessità di questi problemi sia articolata nei vari capitoli del libro, illuminando un tema il cui approfondimento teorico e pratico promette di essere uno dei cardini della scuola del futuro.
Francesco Profumo