Andrea M. Maccarini (a cura di)
L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c3
Il secondo aspetto (socializzazione normativa) si articola lungo tre linee: imposizione, acquisizione e violazione delle regole. Nella classe osservata è indubbio che l’aspetto normativo sia centrale: esistono regole per imparare, stare seduti, andare in bagno, parlare, andare in mensa, giocare in cortile, chiedere scusa, tenere in ordine la classe, avere cura dei propri libri e quaderni, interagire con i compagni e con le insegnanti, chiedere la parola, comporre la fila per uscire dall’aula. Le regole sono imposte unilateralmente dalle insegnanti che «sanno» che cosa va fatto e come, ma sono sempre regole spiegate, di cui si condivide con i {p. 107}bambini «la buona ragione» della regola, la sua utilità e le sue finalità. Questo aspetto normativo che discende dagli adulti ai bambini non è tuttavia oggetto di negoziazione. È rilevante secondo le insegnanti che la regola non sia imposta in quanto tale, bensì spiegata e discussa. Non si urla nei corridoi perché si potrebbero disturbare altre classi; non si corre per le scale perché ci si potrebbe fare male; si alza la mano per parlare perché solo con i turni di parola si ascolta l’opinione altrui e la si può discutere. I bambini quindi recepiscono la regola, ne comprendono il significato e con la reiterazione delle situazioni in cui la regola trova applicazione, la imparano, facendola propria. Imparano inoltre ad applicarla in altri contesti e con appropriatezza. È esemplare che nella classe molte regole non richiedano un vero e proprio intervento delle insegnanti, ma solo una sorta di memorandum, o operazioni di rinforzo. Si tratta infatti di un processo di socializzazione normativa iniziato con il primo anno della scuola primaria e di cui ora al termine del ciclo si raccolgono i frutti. I bambini infatti dimostrano di possedere ottime capacità di controllo, di autolimitazione e agiscono per lo più in modo responsabile. La violazione della regola comporta una sanzione che tuttavia non corrisponde a una punizione o privazione, bensì a una discussione comune sul significato della regola e la sua trasgressione. In tal modo i bambini sviluppano una capacità critica e autocritica notevole, come è evidenziato dall’esperienza del circle time che viene mensilmente ripetuta per valutare (e valutarsi) rispetto alle attività del mese [1]
. La capacità critica dei bambini evidenzia la loro capacità di distinguere tra ciò che doveva essere fatto e ciò che è stato fatto. Esiste dunque
{p. 108}una chiara percezione di ciò che è l’ideale e ciò che è il reale. La punizione quindi è sempre un’attività a sua volta educativa e rieducativa, il cui obiettivo è lo sviluppo di una maggiore consapevolezza. Di grande rilevanza educativa il metodo che incoraggia i bambini a essere autocritici e riflessivi e a dare un giudizio su se stessi e il proprio operato. Si è osservato spesso un maggiore rigore dei bambini verso se stessi che non verso i compagni, nei confronti dei quali si è spesso indulgenti. Nel momento in cui ci si deve esprimere sull’attività svolta da altri, i giudizi dei bambini tendono a essere per lo più incoraggianti, anche quando vengono mosse delle critiche; i toni sono educati e rassicuranti; non c’è spazio per l’accusa ma solo per osservazioni costruttive espresse con modi garbati. Si può quindi concludere che nella classe siano state acquisite una capacità critica (che riguarda la correttezza dell’operato dal punto di vista formale), una capacità relazionale (che riguarda la capacità di interazione con gli altri anche quando ci si trova in un confronto) e una capacità empatica (che riguarda la motivazione a migliorare che i bambini mettono in campo verso i compagni).
Infine, l’ultimo aspetto riguarda gli apprendimenti e si articola lungo due linee: il valore degli apprendimenti e lo stile didattico per favorirli. Premettiamo che la classe presenta molte difficoltà sul versante degli apprendimenti curricolari, a causa di condizioni di svantaggio pregresso e per la scarsità di risorse culturali delle famiglie. La scuola costituisce l’unica occasione veramente formativa per i bambini. Lo svolgimento del programma curricolare è associato, da parte delle insegnanti, a un messaggio educativo: nella loro prospettiva l’apprendimento, per quanto misurabile attraverso voti e giudizi, è primariamente un processo individuale, in cui deve essere valorizzata la cumulatività delle conoscenze, i dispositivi cognitivi per acquisirle, il metodo e il progresso verso la padronanza di nozioni, informazioni, dati, abilità, competenze. Per questo gli insegnamenti sono differenziati, per gruppi di bambini e talora per singolo bambino, cercando di individuare il metodo più efficace, ma anche innescando processi di responsabilizzazione e di cooperazione tra pari. Ne deriva un gruppo classe estremamente coeso e coopera{p. 109}tivo. L’insuccesso non è motivo di discredito tra i pari ma di sostegno reciproco, la competizione è modesta.
La didattica, che fa da sponda a questa visione, viene svolta da entrambe le insegnanti in modo tradizionale: lezioni frontali, lavori a gruppi, uso della lavagna tradizionale, uso dei libri di testo. Viene però rivolta particolare attenzione ai modi in cui gli apprendimenti possono realizzarsi ed essere favoriti. Riprendendo la classificazione di Besozzi [2010], gli apprendimenti vengono veicolati sì attraverso un approccio tradizionale, ma favoriti attraverso nuovi processi della mente (di esplorazione, di memorizzazione, di associazione) e attraverso saperi «circolanti», in cui informazioni e conoscenze sono diffuse in molti ambiti e situazioni. Se ne ricava una visione degli apprendimenti centrata sulle capabilities più che sui funzionamenti: ossia, non è al centro la performance in quanto tale, piuttosto è cruciale il darsi obiettivi e raggiungerli; migliorare lungo una linea immaginaria che è la carriera scolastica; reagire agli insuccessi con maggiore impegno e determinazione.
La finalità primaria della relazione educativa in questa classe è costituita dalla cooperazione tra bambini e dall’orientamento all’inclusione. I bambini, che sentono in modo forte la propria appartenenza a una micro-comunità (la loro classe), mostrano livelli di responsabilità superiori alla media dell’età: questo è l’esito di un percorso educativo di cinque anni, in cui la stabilità del gruppo e delle insegnanti hanno contribuito a costruire le identità dei bambini e le loro capacità di agency. I bambini della classe, pur presentando quindi livelli di responsabilità e autonomia notevoli, restano pienamente bambini, non vi è traccia di elementi di adultizzazione.

5. Le competenze degli alunni

Dopo aver tracciato il profilo generale della scuola, degli alunni e del clima di classe, è ora il momento di passare a osservare le competenze socio-emotive dei bambini in azione. Le competenze osservate sono state le seguenti: {p. 110}cooperazione, resistenza allo stress, perseveranza e responsabilità, creatività, socievolezza. Ogni competenza ha avuto modo di manifestarsi singolarmente ma più frequentemente sono state osservate associazioni tra competenze, con esiti di rinforzo reciproco. In particolare questo è avvenuto tra:
– creatività e cooperazione;
– resistenza allo stress e cooperazione;
– perseveranza/responsabilità e cooperazione;
– socievolezza e cooperazione.
Si evince che quindi la competenza cooperazione costituisca la cifra distintiva di questo gruppo classe. Una competenza favorita in modo esplicito dalle insegnanti che prevedono momenti di lavoro a gruppi, sollecitano il confronto e l’aiuto tra pari, premiano gli esiti positivi di attività svolte in gruppo. Questo approccio educativo trova applicazione sia nelle attività didattiche, sia nei momenti extradidattici (mensa, ricreazione, gioco). La cooperazione non annulla la competizione tra pari ma prevale sempre la dimensione dell’aiuto, l’individuo cede il passo al gruppo.
Il clima di classe ha condotto i bambini a sviluppare anche autonomamente la spinta alla collaborazione, che si declina in due diversi modi: collaborazione come lavoro di gruppo finalizzato esplicitamente a un risultato (in risposta quindi a un mandato dell’insegnante rispetto al quale i bambini propongono il lavoro a gruppi, o anche solo con un compagno, e con una capacità di adattamento in qualsiasi gruppo e con qualsiasi compagno); ma anche collaborazione come sostegno e aiuto nei momenti di difficoltà, spesso in modo spontaneo, senza che questa disponibilità sia richiesta o incoraggiata dalle insegnanti. Ha svolto un ruolo fondamentale in questo processo di consolidamento della cooperazione come metodo di lavoro, di studio e di relazione lo stile educativo delle insegnanti che si colloca sul tipo «democratico» [Lewin, Lippitt e White 1939], pur con una forte presenza dell’autorevolezza delle figure docenti. La cooperazione ha raggiunto il consolidamento, osservabile nelle dinamiche di apprendimento e di relazione in aula, attraverso tre fasi, cronologicamente e analiticamente distinte: «sperimentazione della collaborazione» (su indicazione delle {p. 111}docenti che stimolano i bambini ad adottarla), poi divenuta «prassi della collaborazione» (ossia routine adottata dagli stessi bambini senza direttive da parte delle insegnanti, ma in ottemperanza a un’indicazione comunque precedente; quindi in questa fase i bambini accettano di buon grado e realizzano spontaneamente la modalità cooperativa, ma prevalentemente perché intuiscono che questo sia atteso da loro); e infine «preferenza per la cooperazione», quando sono i bambini stessi, con la propria agency, a scegliere la cooperazione come metodo più efficace, più soddisfacente, più efficiente. Questo ultimo passaggio richiede una notevole capacità di riflessione e di metacognizione (altra competenza annoverata tra le compound skills nel modello delle Big Five), nonché la capacità di scegliere tra alternative possibili e valutarne l’impatto.
In questo senso la cooperazione si salda alla perseveranza e responsabilità, le migliora, le rende maggiormente efficaci. I bambini ottengono risultati migliori lavorando insieme, e riescono a farlo in gruppi diversi, il che alimenta la loro autostima e il senso di autoefficacia (altra compound skill). La perseveranza trova un elemento di rinforzo nel gruppo, che impedisce di «mollare». Il gruppo è una risorsa, sia perché ci si appoggia ad esso, pur dando ciascuno il proprio contributo; sia perché è una relazione alla pari in cui vige democraticamente una condizione di assoluta parità e dove si valorizzano le competenze e qualità di ciascuno. I bambini in gruppo lavorano meglio, raggiungono risultati migliori, portano a termine le consegne. Il gruppo richiede responsabilità perché nel gruppo ognuno ha un ruolo: è per questo che i bambini non solo accettano la divisione degli incarichi mensili, ma anche la valutazione altrui e possono esprimere la propria (ne è ancora un esempio la pratica del circle time che prevede un momento di confronto tra pari sullo svolgimento dei compiti assegnati). La responsabilità si manifesta poi oltre l’ambiente didattico in senso stretto. I bambini sanno autolimitarsi anche nel gioco e negli altri momenti ludici, sono pochi e circoscritti gli interventi delle insegnanti; essi comprendono nella maggior parte dei casi il rapporto causale che lega gli eventi (se tiro troppo forte il {p. 112}pallone posso fare male a un compagno; se salgo sulla sedia posso cadere; se non ripasso la spiegazione di geometria non passerò il compito in classe).
Questi aspetti evidenziano però un effetto collaterale, ossia la mancanza o scarsità di autonomia. I bambini infatti si appoggiano talora eccessivamente al gruppo; questo deprime la loro individualità, la capacità di iniziativa autonoma. Il gruppo diventa la loro identità che spesso si sovrappone e annulla quella individuale. Specialmente per bambini con condizioni di fragilità e svantaggio particolarmente marcate il gruppo è la risorsa indispensabile per il métier d’élève. Anche senza che siano stati osservati leader naturali nei gruppi, è indubbio che alcuni bambini si collochino in una posizione di seconda fila, trainati da compagni più determinati e intraprendenti.
Le osservazioni hanno inoltre consegnato un altro elemento interessante: la competenza capacità a cooperare risulta essere particolarmente utile nelle occasioni di stress. È infatti in queste situazioni che la cooperazione diventa palesemente una risorsa. Le situazioni di stress osservate in aula riguardano principalmente tre ambiti: stress da prestazione, stress da carico emotivo extrascolastico, stress da conflitto con i pari. Nel primo caso i bambini sperimentano una situazione ansiogena di fronte a compiti in classe e verifiche, sia perché temono il giudizio delle insegnanti (espresso non tanto nel voto ma nella valutazione positiva o negativa dell’insegnante, cui deriva l’apprezzamento o la critica verso il proprio lavoro e il metodo di studio adottato), sia dei genitori (che pur non essendo particolarmente esigenti e presenti nella vita scolastica dei figli hanno comunque aspettative). La cooperazione con i pari, in termini di aiuto reciproco nello studio (talora anche previsto in aula in modo esplicito con affiancamenti) e confronto nel metodo riduce lo stress dei bambini e li pone in condizioni ottimali per affrontare test, interrogazioni e verifiche. Le situazioni di stress da carico emotivo sono riconducibili al profilo delle famiglie: fratrie affollate e sovraccarico di cura sugli adulti (le madri in particolare), con processi di delega ai figli maggiori rispetto ai minori (e nella classe osservata non sono rari i casi in cui
{p. 113}i bambini siano gravati da compiti di cura e responsabilità familiari); ma anche fragilità economica da cui esitano gravi conseguenze per i nuclei (perdita della casa, intervento dei Servizi, trasferimento in comunità alloggio) e anche per i bambini che mostrano in alcuni casi anche segni di regresso sia cognitivo, sia relazionale rispetto all’età e rispetto alla situazione antecedente all’evento spiazzante della biografia familiare. I bambini condividono il loro vissuto esperienziale con i pari e con le insegnanti, in quanto considerano la classe l’unico luogo rassicurante e non soggetto a mutamenti improvvisi. Infine, le situazioni di stress da conflitto tra pari: esse sono state rare all’interno della classe, proprio in ragione dell’elevata coesione del gruppo. Ma quando esse si sono verificate (in un’occasione durante l’attività sportiva tra squadre contrapposte; in un secondo caso in un’interazione in classe tra compagni, durante un laboratorio che simulava il confronto tra pari su un tema specifico), la propensione alla cooperazione ha neutralizzato o fortemente ridotto lo stress individuale.
Note
[1] Il circle time è un’attività che consiste nella discussione aperta tra bambini con la mediazione delle insegnanti. Tutti gli alunni sono seduti per terra in cerchio, ogni bambino deve rendicontare agli altri in merito all’attività mensile assegnata (raccogliere i tappi di plastica, ordinare i quaderni delle ricerche, misurare la temperatura esterna sul davanzale, curare la raccolta differenziata, ecc.). I compagni esprimono, argomentando, una valutazione sull’attività degli altri e si giunge a una decisione condivisa (se l’attività sia stata svolta bene, male o se possa essere migliorata).