Andrea M. Maccarini (a cura di)
L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c3
Se quindi la relazione emotivamente più significativa per i bambini intervistati è quella con i genitori, approfondirla e comprenderne il significato e le declinazioni diviene importante. Le possibili articolazioni interne alla relazione genitori-figli sono state indagate con due batterie di domande, una riferita alle interazioni con la figura materna e una per le interazioni con la figura paterna. Nelle tabelle 3.9 e 3.10 sono illustrate le risposte dei bambini, suddivise per relazione con la madre (tab. 3.9) e relazione con il padre (tab. 3.10). I dati ci restituiscono un’immagine di relazioni con le figure genitoriali complessivamente positive ma comunque con uno sbilanciamento verso il ruolo materno, maggiormente sentito dai bambini intervistati sia nei momenti di bisogno, sia di fragilità. La mamma è il riferimento affettivo per eccellenza. La figura paterna presenta maggiori tratti di autorevolezza e minore vicinanza emotiva ai figli. Cogliendo alcune suggestioni dalla letteratura, si possono quindi qualificare le relazioni madri-figli come affettive ed espressive e quelle padri-figli strumentali ed esecutive.
In particolare, si osserva una significativa distanza tra ruolo materno e paterno in merito all’interazione verbale (con la mamma si parla con maggiore facilità) e all’interessamento per le attività scolastiche. Entrambe le figure genitoriali vengono raffigurate come scarsamente severe e autoritarie.

4. Questa classe è...

In questo scenario generale di una scuola di barriera con molti vincoli ma anche risorse derivanti da un corpo docente motivato, l’osservazione partecipante si è focalizzata su una sola classe delle quattro partecipanti alla rilevazione con questionario. In questa classe si è evidenziata una disponibilità parziale delle due docenti: mentre una delle insegnanti ha manifestato da subito interesse e disponibilità per l’indagine, ne ha compreso appieno le finalità e l’utilità come strumento per arricchire metodi e stili di insegnamento, l’altra è stata «convinta» dalla collega a partecipare a tale fase e durante i mesi di presenza in classe della ricercatri{p. 104}ce si è sistematicamente sottratta alle osservazioni d’aula che la vedessero unica insegnante. Ne sono derivate solo alcune osservazioni in compresenza tra docenti. Questo atteggiamento va ricondotto (anche a detta della dirigente e di alcune insegnanti) al diffuso timore della valutazione che nell’insegnante in questione pare essere particolarmente sentito e ritenuto un’arbitraria ingerenza nell’esercizio del ruolo professionale. Per quanto fossero state date rassicurazioni alle insegnanti sul ruolo della ricercatrice in aula e sulle sue finalità conoscitive, la resistenza ad avere una persona estranea in classe è forte per la maggior parte degli insegnanti. Questa motivazione è alla base del rifiuto di altri docenti di altre sezioni a partecipare alla fase qualitativa del progetto. Una presenza esterna è vissuta dalla maggior parte delle insegnanti come un’ingerenza, un’intrusione, un elemento di disturbo nello svolgimento della propria attività professionale. E soprattutto è forte il timore di un giudizio sulle capacità di insegnante, sulla propria competenza, sui metodi e stili con cui si gestisce la classe.
L’osservazione ha conseguentemente riguardato una sola classe quinta dell’intera scuola. La selezione è avvenuta sulla base di tre criteri: risultati del questionario, disponibilità delle docenti, segnalazione/indicazione da parte della dirigente. L’individuazione della classe è quindi anche l’esito di un processo di autoselezione che non ci consente di considerare proprie dell’intera scuola le caratteristiche della classe osservata.
La classe è composta da 25 bambini, di cui cinque italiani, gli altri provenienti da paesi extra-UE (Marocco, Albania, Romania, Bulgaria, Costa d’Avorio, Nigeria). Tra i bambini ci sono due BES, uno in certificazione e altri con difficoltà di apprendimento dovute principalmente allo svantaggio culturale. Due bambini vivono in comunità con la famiglia a causa di situazioni economiche molto compromesse; due famiglie sono in carico ai Servizi sociali. Il gruppo classe è stabile dal primo anno della primaria, eccezion fatta per due ingressi e due uscite. La stabilità nella composizione della classe ha consentito nel corso degli anni una profonda conoscenza tra bambini e tra le famiglie. Il rappresentante {p. 105}di classe italiano svolge un ruolo determinante nel collegare insegnanti e genitori.
La classe così individuata presenta alcuni tratti caratteristici riferibili ad alcune dimensioni osservate:
– relazioni (dentro la classe, tra la scuola e la famiglia);
– socializzazione normativa;
– significato degli apprendimenti e metodo.
Il primo aspetto, quello delle relazioni, si articola lungo tre assi principali: rapporto dentro la classe tra pari, rapporto dentro la classe tra insegnanti e alunni, rapporto insegnanti-genitori.
Il primo asse riguarda le relazioni tra bambini. Esse sono l’esito sia di un processo autonomo dei bambini sia di un clima di classe creato dalle insegnanti, due aspetti che si rafforzano/condizionano a vicenda. C’è quindi una cultura dei bambini, autoprodotta, e una cultura dei bambini favorita dagli adulti. Le parole che possono riassumere la relazione tra pari sono le seguenti: aiuto reciproco (inteso sia come collaborazione spontanea, sia come senso del gruppo, sia come comprensione reciproca), forte orientamento alle regole e all’autodisciplina (con capacità applicative che spaziano dall’ambito didattico a quello ludico), creatività e fantasia (che prendono forma nella didattica, nel metodo di studio, nel confronto con i pari, nel rapporto con gli adulti). Queste caratteristiche dei bambini, come si diceva, sono in parte anche l’esito di una relazione con le insegnanti. Tale relazione si caratterizza per il riconoscimento dei reciproci ruoli, e prende forma attraverso la fiducia da parte dei bambini nelle insegnanti, e il riconoscimento della loro autorevolezza. Nel corso degli anni lo stile didattico ed educativo delle insegnanti ha dato forma anche alle relazioni tra bambini. Si potrebbe dire che il rapporto tra insegnanti e bambini costituisca la cornice entro la quale i bambini costruiscono la propria rappresentazione delle relazioni educative.
Il secondo elemento è quello della relazione scuola-famiglia che nella classe osservata assume i tratti dell’alleanza educativa (secondo la classificazione di Duru-Bellat e Van Zanten [1999]), ma con un forte accento sulla delega fiduciaria da parte dei genitori alle insegnanti competenti. {p. 106}Questo processo è peraltro tipico nei casi in cui la relazione è fortemente asimmetrica dal punto di vista socio-culturale. Come ribadito da Fischer [2003] e Perrenoud [1997; 1998; 1999] siamo in presenza di genitori impacciati di fronte alla scuola, alle sue richieste e ai suoi professionisti. Le famiglie riconoscono la competenza delle insegnanti, consegnano loro con fiducia i figli. Tuttavia, la vera alleanza educativa comporterebbe anche la condivisione dei messaggi educativi. In questo caso ciò non sempre avviene, come già è stato messo in evidenza: la delega fiduciaria spesso sconfina nella consegna degli oneri educativi ad altri fuori dalla famiglia; la rilevanza accordata alla scuola come strumento per mobilità sociale, per maggiore inclusione, per avere opportunità è scarsa. La scuola è prima di tutto un luogo: un luogo sicuro per i bambini, in cui si fanno cose da bambini e per i bambini; è un luogo in cui ci sono persone specializzate nell’insegnamento ai bambini. Questo basta per ottenere una delega totale. Delega che non è tanto costruita sull’immagine reale della scuola e di ciò che in concreto la scuola fa, ma a partire da una rappresentazione anche stereotipata di ciò che la scuola deve essere. La relazione scuola-famiglia viene inoltre influenzata dagli stili educativi genitoriali, che in questa fascia sociale tendono a essere per lo più di tipo disciplinare statutario – secondo la tipologia di Kellerhals e Montandon [1991; Kellerhals et al. 1992]. Ne deriva una relazione tra adulti e non adulti fortemente improntata al rispetto delle regole, aspetto che si approfondisce qui di seguito.
Il secondo aspetto (socializzazione normativa) si articola lungo tre linee: imposizione, acquisizione e violazione delle regole. Nella classe osservata è indubbio che l’aspetto normativo sia centrale: esistono regole per imparare, stare seduti, andare in bagno, parlare, andare in mensa, giocare in cortile, chiedere scusa, tenere in ordine la classe, avere cura dei propri libri e quaderni, interagire con i compagni e con le insegnanti, chiedere la parola, comporre la fila per uscire dall’aula. Le regole sono imposte unilateralmente dalle insegnanti che «sanno» che cosa va fatto e come, ma sono sempre regole spiegate, di cui si condivide con i {p. 107}bambini «la buona ragione» della regola, la sua utilità e le sue finalità. Questo aspetto normativo che discende dagli adulti ai bambini non è tuttavia oggetto di negoziazione. È rilevante secondo le insegnanti che la regola non sia imposta in quanto tale, bensì spiegata e discussa. Non si urla nei corridoi perché si potrebbero disturbare altre classi; non si corre per le scale perché ci si potrebbe fare male; si alza la mano per parlare perché solo con i turni di parola si ascolta l’opinione altrui e la si può discutere. I bambini quindi recepiscono la regola, ne comprendono il significato e con la reiterazione delle situazioni in cui la regola trova applicazione, la imparano, facendola propria. Imparano inoltre ad applicarla in altri contesti e con appropriatezza. È esemplare che nella classe molte regole non richiedano un vero e proprio intervento delle insegnanti, ma solo una sorta di memorandum, o operazioni di rinforzo. Si tratta infatti di un processo di socializzazione normativa iniziato con il primo anno della scuola primaria e di cui ora al termine del ciclo si raccolgono i frutti. I bambini infatti dimostrano di possedere ottime capacità di controllo, di autolimitazione e agiscono per lo più in modo responsabile. La violazione della regola comporta una sanzione che tuttavia non corrisponde a una punizione o privazione, bensì a una discussione comune sul significato della regola e la sua trasgressione. In tal modo i bambini sviluppano una capacità critica e autocritica notevole, come è evidenziato dall’esperienza del circle time che viene mensilmente ripetuta per valutare (e valutarsi) rispetto alle attività del mese [1]
. La capacità critica dei bambini evidenzia la loro capacità di distinguere tra ciò che doveva essere fatto e ciò che è stato fatto. Esiste dunque
{p. 108}una chiara percezione di ciò che è l’ideale e ciò che è il reale. La punizione quindi è sempre un’attività a sua volta educativa e rieducativa, il cui obiettivo è lo sviluppo di una maggiore consapevolezza. Di grande rilevanza educativa il metodo che incoraggia i bambini a essere autocritici e riflessivi e a dare un giudizio su se stessi e il proprio operato. Si è osservato spesso un maggiore rigore dei bambini verso se stessi che non verso i compagni, nei confronti dei quali si è spesso indulgenti. Nel momento in cui ci si deve esprimere sull’attività svolta da altri, i giudizi dei bambini tendono a essere per lo più incoraggianti, anche quando vengono mosse delle critiche; i toni sono educati e rassicuranti; non c’è spazio per l’accusa ma solo per osservazioni costruttive espresse con modi garbati. Si può quindi concludere che nella classe siano state acquisite una capacità critica (che riguarda la correttezza dell’operato dal punto di vista formale), una capacità relazionale (che riguarda la capacità di interazione con gli altri anche quando ci si trova in un confronto) e una capacità empatica (che riguarda la motivazione a migliorare che i bambini mettono in campo verso i compagni).
Note
[1] Il circle time è un’attività che consiste nella discussione aperta tra bambini con la mediazione delle insegnanti. Tutti gli alunni sono seduti per terra in cerchio, ogni bambino deve rendicontare agli altri in merito all’attività mensile assegnata (raccogliere i tappi di plastica, ordinare i quaderni delle ricerche, misurare la temperatura esterna sul davanzale, curare la raccolta differenziata, ecc.). I compagni esprimono, argomentando, una valutazione sull’attività degli altri e si giunge a una decisione condivisa (se l’attività sia stata svolta bene, male o se possa essere migliorata).