Mita Marra
Connessioni virtuose
DOI: 10.1401/9788815371126/c7

Capitolo settimo Esigenze e politiche di innovazione

1. L’ibridazione dell’innovazione

L’idea tradizionale dell’innovazione nelle aziende è legata al lancio di un nuovo prodotto o alla trasformazione del prodotto esistente. A tal fine si effettuano investimenti in R&S, si acquisiscono brevetti e conoscenze, mantenendo segreti i passaggi cruciali delle trasformazioni destinate ad accrescere la redditività o la posizione di mercato dell’impresa. Diversamente, l’idea della free innovation – secondo Eric von Hippel del Massachusetts Institute of Technology – è un progetto in cui gli innovatori condividono il disegno dell’innovazione e la realizzazione del prodotto affinché chiunque possa utilizzare sia l’uno che l’altra [1]
. Le proprietà che definiscono questo modello sono duplici: i partecipanti non sono rivali nell’elaborazione del disegno innovativo e non intendono commercializzare individualmente o collettivamente i prodotti o i servizi realizzati per acquisire i diritti di innovazione o di proprietà intellettuale. Gli sviluppatori approntano soluzioni digitali autonomamente, attraverso repliche e miglioramenti graduali condivisi sulle piattaforme che permettono la diffusione e la revisione esperta tra pari e tra utenti, a partire dall’esperienza d’uso.
L’innovazione aperta è la logica sposata nell’ambito dei percorsi di formazione delle academy del polo tecnologico di San Giovanni. Nel vivaio dei giovani talenti in formazione si sperimentano le condizioni più favorevoli per realizzare processi di innovazione libera non immediatamente finalizzata alla commercializzazione, anche se sfruttabile sul piano commerciale. Il progetto Sound-square realizzato dagli {p. 148}studenti della 5G Academy, ad esempio, permette a un chitarrista e a un contrabbassista di suonare insieme a distanza di centinaia di chilometri con una resa ad alta fedeltà. Il progetto Rewine sviluppa sensori e droni per ridurre il consumo di acqua in agricoltura. Nei casi appena descritti, l’innovazione scaturisce dall’applicazione dell’intelligenza artificiale nel lavoro di squadra al fine di integrare le soluzioni digitali nei processi di produzione. Oltre ad essere un processo aperto, l’innovazione, negli esempi riportati, è finalizzata all’utilizzo. Come sottolinea von Hippel, un innovatore utilizzatore è un individuo o un’azienda che creano un’innovazione integrata nella produzione – come un chirurgo sviluppa un nuovo dispositivo medico per fruirne direttamente nel proprio lavoro.
Le interviste condotte con le imprese del territorio suggeriscono che le aziende di più grandi dimensioni, tecnologicamente avanzate e internazionalizzate, presentano innovazione di prodotto ma anche molteplici aspetti di innovazione di utilizzo. Basta farsi accompagnare dall’imprenditore nello stabilimento ove ferve la produzione, per toccare con mano l’automazione, la smaterializzazione dei processi manifatturieri e la crescente qualificazione della forza lavoro impiegata nelle lavorazioni a più elevata intensità tecnologica per la produzione dei trasformatori dei gruppi elettrogeni, delle componenti avio, degli impianti energetici, ma anche degli imballaggi per la mozzarella di bufala e delle farine più pregiate. Nelle imprese visitate – e questo è un importante risultato dello studio – l’innovazione è indubbiamente nel prodotto, ma le trasformazioni produttive osservate inglobano tecnologie digitali utilizzate nel processo di produzione [2]
. L’azienda investe in attività di R&S al fine di migliorare i beni e i servizi resi ma, nello stesso tempo, innova l’organizzazione delle risorse umane e strumentali, le condizioni di lavoro e l’esperienza di fruizione dei suoi prodotti attraverso l’impiego del digitale.
L’innovazione scaturisce da una scelta intenzionale che convoglia le risorse dedicate all’accrescimento della {p. 149}redditività e del vantaggio competitivo, ma deriva anche e soprattutto da un processo, talvolta tacito, che adatta tecniche e saperi organizzativi ai bisogni dell’azienda al fine di rispondere ai committenti in maniera puntuale e flessibile. È un’innovazione che persegue strategie pluriennali di crescita, ma che risolve anche i problemi specifici, estemporanei. Il caso dell’azienda di famiglia di terza generazione che produce gruppi elettrogeni è emblematico: al fine di soddisfare le esigenze dei committenti internazionali, l’innovazione tecnologica è incorporata nel prodotto e nel processo di produzione, con l’utilizzo, cioè, della tecnologia digitale al fine di migliorare l’organizzazione interna, i flussi informativi e la fruizione del prodotto realizzato. Ciascun gruppo elettrogeno è un unicum che l’azienda realizza dalla progettazione alla consegna, curando non solo le caratteristiche tecniche dei generatori, ma anche la loro trasportabilità, utilizzabilità e sostenibilità dal punto di vista ambientale. Nella sperimentazione delle colonnine di ricarica delle batterie elettriche, il problema puntuale di natura digitale da risolvere consisteva nell’approntare sistemi di pagamento sicuri – un problema di user e producer innovation, che l’imprenditore intervistato provava a risolvere ricercando soluzioni disponibili sul mercato da integrare nella produzione.
L’osservazione dei casi aziendali suggerisce l’emergere di un fenomeno di ibridazione dell’innovazione; un fenomeno che non è né scontato né standardizzabile. Il caso dell’impresa quarta produttrice al mondo di velivoli non destinati all’aviazione commerciale è un esempio di sapiente lavoro di ricerca sui materiali e sull’aerodinamica già a partire dagli anni Venti del secolo scorso. La cura per il design degli aerei affronta e risolve le esigenze di funzionalità degli apparecchi, richiesti dalla Nasa per le sperimentazioni dei voli a propulsione elettrica, ma anche dalle compagnie aeree che effettuano trasporto regionale o da amatori e scuole di volo d’oltreoceano. La digitalizzazione dei sistemi di pilotaggio realizzata dall’azienda fa leva sui saperi esperti, radicati nella produzione di software di simulazione disponibili sul mercato ma i pacchetti digitali acquisiti esternamente {p. 150}integrano le soluzioni approntate internamente. L’impresa di produzione casearia utilizza la sensoristica digitale, acquisita sul mercato, al fine di monitorare tempestivamente la qualità del latte e lo stato di salute degli allevamenti. Interessante è anche il caso dell’impresa di produzione delle farine – una dinamica realtà produttiva con una crescente presenza internazionale e una sede legale poco distante dal polo tecnologico di San Giovanni a Teduccio. La crescita dell’impresa non solo è legata alla cura delle farine scelte, ma soprattutto all’organizzazione della distribuzione con la penetrazione dei mercati nord-americani attraverso l’uso dei social network come Facebook e YouTube per veicolare l’immagine del prodotto nel mondo. Anche nelle imprese aerospaziali, le innovazioni delle componenti e dei materiali che devono soddisfare standard elevatissimi di qualità sono sì frutto della re-ingegnerizzazione segreta della produzione e della riorganizzazione dei processi interni, ma sono anche importate dall’esterno grazie alla diffusione delle applicazioni digitali disponibili su ampia scala per il disegno e i test delle componenti e dei materiali, il controllo dei risultati e la gestione delle vendite.
I casi riportati rivelano l’incessante ricerca di tecnologia digitale da incorporare nella produzione. Le aziende creano conoscenza al loro interno e attingono conoscenze dall’esterno [3]
. L’acquisizione delle conoscenze e delle competenze esterne richiede adattamento e personalizzazione delle soluzioni importate, attraverso investimenti in R&S finalizzati ad aumentare il valore aggiunto dell’innovazione digitale.

2. Il dilemma delle collaborazioni

Le collaborazioni scientifiche sono cruciali nell’acquisizione di conoscenze esterne (come emerso nel cap. 6), ma anche problematiche da sviluppare. Le imprese ricercano {p. 151}la collaborazione con l’università per attività di R&S con l’attesa di ottenere diritti di proprietà intellettuale o un valore del prodotto superiore ai costi degli investimenti effettuati [4]
. Le collaborazioni scientifiche diventano appetibili nella misura in cui l’università diventa un partner disponibile e capace, con cui ridurre i costi di disegno e di realizzazione degli investimenti. E tuttavia la gestione delle relazioni di co-creazione, la condivisione delle conoscenze e la copertura dei costi non sono processi né lineari né prevedibili: un’impresa potrebbe dover adottare una pluralità di pratiche collaborative con vari attori esterni [5]
al fine di adeguare e modernizzare la base di conoscenze interne attraverso investimenti in R&S, l’assunzione di personale qualificato, la formazione e l’integrazione delle conoscenze interne con quelle esterne. Ciò può condurre all’aumento dei costi di transazione e al rischio di disvelare preziosi segreti aziendali [6]
. Sostenere i costi e i rischi delle collaborazioni esterne può dare origine ad un vero e proprio dilemma nelle scelte di innovazione. Acquisire conoscenze dai collaboratori esterni è solo una parte della sfida; l’altra
{p. 152}parte concerne i costi per la gestione e lo sfruttamento dei flussi interni ed esterni della conoscenza a prescindere dai diritti di proprietà intellettuale [7]
.
Note
[1] E. Von Hippel, Free Innovation, Cambridge, Mass., MIT Press, 2017.
[2] Ibidem.
[3] M.G. Colombo, D. Cumming, A. Mohammadi, C. Rossi Lamastra e A. Wadhwa, Open Business Models and Venture Capital Finance, in «Industrial and Corporate Change», 25, 2016, pp. 353-370.
[4] Abreu e Grinevich citano una serie di studi sul coinvolgimento dei ricercatori e, in particolare, degli ingegneri nelle attività di consulenza, ricerca a contratto, ricerca congiunta e formazione. Le attività informali come la ricerca a contratto o il lavoro di consulenza sono il primo passo per avviare una strategia di creazione o espansione delle strutture accademiche, come i laboratori o i gruppi di ricerca. Queste attività costituiscono la base per accordi contrattuali formalizzati, nell’ambito di un processo di natura imprenditoriale. Infatti, è ampiamente riconosciuto, anche dai ricercatori che si occupano di licenze, brevetti e spin-off, che le attività non strettamente commerciali sono rilevanti malgrado esse siano frequentemente non visibili e misurabili come le prime. Le attività imprenditoriali degli universitari sono complesse e possono intensificarsi nel tempo. Cfr. M. Abreu e V. Grinevich, The Nature of Academic Entrepreneurship in the U.K.: Widening the Focus on Entrepreneurial Activities, in «Research Policy», 42, 2, 2013, pp. 408-422.
[5] D.B. Audretsch e M. Belitski, The Limits to Collaboration across Four of the Most Innovative UK Industries, in «British Journal of Management», 31, 2020, pp. 830-855.
[6] R. Veugelers e C. Schneider, Which IP Strategies do Young Highly Innovative Firms Choose?, in «Small Business Economics», 50, 2018, pp. 113-129.
[7] J. West e M. Bogers, Leveraging External Sources of Innovation: A Review of Research on Open Innovation, in «Journal of Product Innovation Management», 31, 2014, pp. 814-831.