Mita Marra
Connessioni virtuose
DOI: 10.1401/9788815371126/c7
Le collaborazioni scientifiche sono cruciali nell’acquisizione di conoscenze esterne (come emerso nel cap. 6), ma anche problematiche da sviluppare. Le imprese ricercano {p. 151}la collaborazione con l’università per attività di R&S con l’attesa di ottenere diritti di proprietà intellettuale o un valore del prodotto superiore ai costi degli investimenti effettuati [4]
. Le collaborazioni scientifiche diventano appetibili nella misura in cui l’università diventa un partner disponibile e capace, con cui ridurre i costi di disegno e di realizzazione degli investimenti. E tuttavia la gestione delle relazioni di co-creazione, la condivisione delle conoscenze e la copertura dei costi non sono processi né lineari né prevedibili: un’impresa potrebbe dover adottare una pluralità di pratiche collaborative con vari attori esterni [5]
al fine di adeguare e modernizzare la base di conoscenze interne attraverso investimenti in R&S, l’assunzione di personale qualificato, la formazione e l’integrazione delle conoscenze interne con quelle esterne. Ciò può condurre all’aumento dei costi di transazione e al rischio di disvelare preziosi segreti aziendali [6]
. Sostenere i costi e i rischi delle collaborazioni esterne può dare origine ad un vero e proprio dilemma nelle scelte di innovazione. Acquisire conoscenze dai collaboratori esterni è solo una parte della sfida; l’altra
{p. 152}parte concerne i costi per la gestione e lo sfruttamento dei flussi interni ed esterni della conoscenza a prescindere dai diritti di proprietà intellettuale [7]
.
Le interviste suggeriscono che per sviluppare un laboratorio congiunto tra un’impresa e l’università, ad esempio, oltre al costo finanziario delle attrezzature e delle risorse umane, la barriera da superare è la capacità per l’azienda di avere accesso a un mondo percepito come distante, per cui occorre un’entratura nelle reti di conoscenze che, sono, sovente, elitarie o troppo frammentate. È un retaggio culturale che segnala un deficit di coordinamento, responsabile di un livello di integrazione ancora inadeguato a caratterizzare il sistema produttivo locale come un ecosistema imprenditoriale votato all’innovazione (cfr. cap. 6). In tali circostanze, il costo di sviluppare collaborazioni scientifiche è elevato in quanto il lavoro di costruzione delle reti da parte delle associazioni di categoria, delle agenzie regionali e dell’università non ha adeguatamente messo in relazione imprenditori, manager, ricercatori e decisori.
Per le imprese digitali già consolidate, l’opportunità di sviluppare forme di collaborazione esterna per la ricerca applicata è legata ai vantaggi della co-creazione e della co-realizzazione di nuove applicazioni tecnologiche anche di open innovation. Le collaborazioni scientifiche e, in particolare, le attività di networking permettono alle imprese tecnologiche di acquisire margini di autonomia nella progettazione dei servizi digitali, rispetto ai compiti di gestione dei sistemi di software ideati nei dipartimenti di R&S più avanzati delle società madri. Le imprese digitali affermate hanno bisogno di un continuo confronto con l’università negli eventi organizzati dalle academy. L’obiettivo è di acquisire informazioni e costruire accordi con potenziali partner, committenti e concorrenti e, nello stesso tempo, ricercare e assumere personale qualificato o sviluppare capitale umano insieme all’università in maniera e in misura corrispondente {p. 153}alle esigenze produttive interne. I costi possono variare dal supporto finanziario degli eventi di networking, allo scouting dei giovani talenti, dalla formazione dei propri dipendenti alla co-creazione di nuovi percorsi formativi sia per i giovani che per i professionisti (ad es. Accenture, Tim o FS) fino al co-finanziamento di laboratori congiunti per progetti di R&S (ad es. Cisco DTLab). Come per le imprese manifatturiere più avanzate, anche per le imprese digitali, i costi della collaborazione con l’università possono diminuire con l’esperienza reiterata di esiti favorevoli [8]
, ma occorre tempo e un orizzonte temporale esteso per raccogliere i frutti dell’investimento [9]
.
Diversamente, per le piccole e le microaziende del contesto di prossimità del polo tecnologico di San Giovanni (9 aziende su 26), la domanda di collaborazione con l’università scaturisce dalla constatazione che la complessità degli investimenti in R&S richiede competenze e risorse difficilmente accessibili nel mercato regionale. La ricerca di collaborazioni esterne matura nella convinzione che solo attraverso investimenti in R&S interni ed esterni all’impresa sia possibile aumentare la qualità del prodotto e la redditività dell’azienda. Un esempio in tal senso è un’impresa che realizza isolanti termo-acustici tramite la trasformazione di materiale fibroso in lana di roccia o in lana di vetro sagomate e inserite in tubi di ferro come prodotti per l’edilizia. L’azienda ricerca nuovi materiali nel campo della nanotecnologia applicata all’automotive e crea una divisione di R&S per la sperimentazione sui materiali, ma anche per l’analisi dei mercati e dei prodotti. In tal caso, l’innovazione induce a ricombinare i prodotti esistenti per ottenerne di nuovi o per utilizzare i prodotti esistenti per scopi differenti: la lana di vetro {p. 154}viene adoperata, ad esempio, non per coibentare le pareti ma per isolare i canali dei condizionatori d’aria; oppure un componente nanotecnologico a base di aero-gel viene adoperato come materiale isolante in grado di ridurre gli spessori all’interno degli strumenti montati sulle autovetture.
Un altro esempio interessante concerne un’azienda meccanica che progetta e realizza toilette mobili in alluminio di alta qualità e a ridotto consumo di acqua. Le toilette sono costruite con una particolare cura per le saldature e con sistemi di raccolta dei reflui che richiedono interventi di manutenzione dilatati nel tempo. Le attività di R&S vengono realizzate all’interno dell’azienda grazie alla presenza di qualificate competenze meccaniche, chimiche, elettroniche e idrauliche ma i proprietari sono alla ricerca di collaborazioni scientifiche per testare e sviluppare sistemi chimici di purificazione più performanti [10]
attraverso l’uso del digitale.
In entrambi i casi concisamente descritti, le imprese hanno già sviluppato capacità interne di R&S finalizzate all’innovazione di prodotto e perseguono soluzioni migliorative attraverso l’acquisizione di conoscenze e competenze tecnologiche nella potenziale interazione con l’università.
Diversamente dalle imprese finora delineate, per le aziende di minore dimensione l’intenzione di attingere a conoscenze e competenze esterne si esprime in termini di domanda di assistenza più strutturata rispetto ai percorsi di formazione digitale, assimilabili a quelli realizzati all’interno delle academy. La digitalizzazione della ventina di aziende che ha esplicitamente dichiarato di avere bisogno di formazione digitale richiede forme di accompagnamento e tutoraggio dall’esterno anche per formare gradualmente capacità imprenditoriali interne. Si tratta di micro e piccole imprese per lo più del settore manifatturiero le cui attività sono le più diverse: produzione di infissi, lavorazione di materie plastiche, stampa ed editoria, meccanica, lavorazione del vetro. Sono piccole realtà produttive legate a un modello di produzione tradizionale e analogico. Il digitale per le aziende in questione è limitato alla gestione del sito {p. 155}e in alcuni casi alla pagina web sui social network. Il fabbisogno di formazione digitale riflette una carenza interna di tecnologie e competenze digitali, di cui non sempre sono consapevoli. Le aziende in questione non hanno ancora raggiunto un grado di maturità tecnologica adeguato a sostenere una collaborazione con l’università. In tali situazioni, potrebbero essere utili figure esterne preparate – una sorta di manager digitali – disponibili ad assistere l’impresa nella formulazione di una strategia di innovazione di medio-lungo periodo. Un modello di fabbrica digitale potrebbe suggerire la sequenza dei passi da compiere e i potenziali partner tecnologici che potrebbero accompagnare il processo di trasformazione.
Le risultanze cui l’analisi è giunta confermano, quindi, le conclusioni largamente condivise dalla letteratura sull’imprenditorialità. Gli studi sulle capacità imprenditoriali interne sottolineano l’importanza per un’azienda di impegnarsi in attività innovative nell’ambito dei propri confini organizzativi [11]
:
l’apprendimento […] ha dimensioni interne e esterne. Gli aspetti esterni hanno a che fare con il modo in cui […] l’organizzazione impara a riconoscere e seguire le opportunità nell’ambiente. Gli aspetti interni sono legati al modo in cui l’organizzazione imprenditoriale struttura e gestisce i propri processi di apprendimento, non solo per «vedere» le opportunità, ma anche per «co-creare» le opportunità.
Sviluppare imprenditorialità interna permette di creare e rafforzare know-how, esplorando ed elaborando le informazioni acquisite all’esterno. Nelle fasi successive, l’integrazione tra conoscenze interne ed esterne avviene attraverso la cura delle risorse umane e la formazione della manodopera qualificata e attraverso gli investimenti e le collaborazioni di R&S. Sulla base dell’indagine qualitativa sull’innovazione del campione di imprese selezionate, la tabella 7.1 eviden{p. 156}zia i meccanismi di apprendimento che si attivano con le collaborazioni, i costi, i benefici e le condizioni abilitanti del contesto. Le collaborazioni con l’università – come già sottolineato nel capitolo 6 – possono indurre apprendimento e innovazione a patto che l’azienda sia in grado di sostenere i costi necessari ad assorbire le conoscenze esterne e ad adattarle alle proprie esigenze produttive. I benefici attesi sono legati alla presenza di condizioni di contesto che facilitano la mobilità dei lavoratori, l’avanzamento
{p. 157}tecnologico interno, la produttività dei sistemi territoriali, il radicamento delle relazioni di fiducia, il coordinamento delle collaborazioni. Man mano che le imprese sviluppano capacità imprenditoriali interne per sfruttare e creare nuove idee diventano importanti i fattori contestuali, come la coesione all’interno dei settori, l’efficienza dei cluster o l’apertura dei concorrenti alla cooperazione e la stessa presenza dell’università.
Note
[4] Abreu e Grinevich citano una serie di studi sul coinvolgimento dei ricercatori e, in particolare, degli ingegneri nelle attività di consulenza, ricerca a contratto, ricerca congiunta e formazione. Le attività informali come la ricerca a contratto o il lavoro di consulenza sono il primo passo per avviare una strategia di creazione o espansione delle strutture accademiche, come i laboratori o i gruppi di ricerca. Queste attività costituiscono la base per accordi contrattuali formalizzati, nell’ambito di un processo di natura imprenditoriale. Infatti, è ampiamente riconosciuto, anche dai ricercatori che si occupano di licenze, brevetti e spin-off, che le attività non strettamente commerciali sono rilevanti malgrado esse siano frequentemente non visibili e misurabili come le prime. Le attività imprenditoriali degli universitari sono complesse e possono intensificarsi nel tempo. Cfr. M. Abreu e V. Grinevich, The Nature of Academic Entrepreneurship in the U.K.: Widening the Focus on Entrepreneurial Activities, in «Research Policy», 42, 2, 2013, pp. 408-422.
[5] D.B. Audretsch e M. Belitski, The Limits to Collaboration across Four of the Most Innovative UK Industries, in «British Journal of Management», 31, 2020, pp. 830-855.
[6] R. Veugelers e C. Schneider, Which IP Strategies do Young Highly Innovative Firms Choose?, in «Small Business Economics», 50, 2018, pp. 113-129.
[7] J. West e M. Bogers, Leveraging External Sources of Innovation: A Review of Research on Open Innovation, in «Journal of Product Innovation Management», 31, 2014, pp. 814-831.
[8] M. Granovetter, Economic Action and Social Structure: The Problem of Embeddedness, in «American Journal of Sociology», 91, 3, 1985, pp. 481-510.
[9] Il dato è confermato anche da SIAMPI, Social Impact Assessment Methods for Research and Funding Instruments through the Study of Productive Interactions between Science and Society, Final Report, 2011, a proposito dei progetti ICT che coinvolgono università e imprese tecnologiche.
[10] Informazioni basate su interviste semi-strutturate.
[11] D.B. Audretsch, E.E. Lehmann, M. Menter e K. Wirsching, Intrapreneurship and Absorptive Capacities: The Dynamic Effect of Labor Mobility, in «Technovation», 99, 102129, 2021, trad. mia.