Note
  1. Questa espressione riprende la formulazione inglese, diffusa in letteratura, di Social and Emotional Skills (d’ora in avanti SES).
  2. Si noti che questa esplorazione potrebbe essere declinata anche rispetto a condizioni dell’ambiente scolastico che mescolino relazioni in presenza e a distanza. In effetti, in letteratura è oggi più comune trovare tematizzazioni della tecnologia come potenziale strumento formativo o informativo (per operatori, clienti o utenti) sui programmi di apprendimento socio-emotivo (Social and Emotional Learning, SEL), che come veicolo diretto di questi ultimi. Cioè a dire, compare più raramente come modalità e forma della loro implementazione, in differenti mix con le relazioni educative «in presenza» [Stern, Harding, Holzer e Elbertson 2015].
  3. Cfr. per esempio Kechagias [2011]; si vedano anche le utili rassegne in alcuni grandi testi di riferimento, come Weissberg, Durlak, Domitrovich e Gullotta [2015, parti II e III].
  4. Importante fu qui il contributo di Elias; nello stesso gruppo diede vita anche a CASEL (Collaborative for Academic, Social and Emotional Learning, si veda soprattutto CASEL [2013; 2017]) come espressione organizzativa del proprio interesse di ricerca.
  5. Riassumiamo qui, in estrema sintesi e in termini molto generali, i maggiori risultati di un corpus di ricerca empirica molto ampio. Oltre agli autori citati nel testo, l’evidenza che riportiamo si basa su rassegne e meta-analisi concernenti gli outcomes delle competenze socio-emotive. Tra queste ricordiamo la prima, grande analisi di Durlak et al. [2011] e tre importanti studi successivi [Sklad et al. 2012; Taylor et al. 2017; Wiglesworth et al. 2016], che hanno riportato risultati sostanzialmente concordi rispetto alla prima. Due di queste indagini sono focalizzate sugli esiti a breve termine degli interventi SEL, con dati provenienti da ricerche svolte poco dopo la conclusione dei programmi [Durlak et al. 2011; Wiglesworth et al. 2016]. Le altre due, invece, sono centrate sugli effetti a lungo termine delle competenze socio-emotive, a partire da dati raccolti nei periodi di follow-up degli interventi [Sklad et al. 2012; Taylor et al. 2017]. Per uno studio comparativo specificamente orientato alla situazione europea, molto utile è anche la rassegna analitica degli interventi di SEL presenti nei curricula delle scuole in area UE presentata in Cefai et al. [2018].
  6. Diciamo sociologica, nonostante che per la misurazione dei livelli di SES abbiamo utilizzato scale e costrutti originariamente sviluppati e normalmente impiegati nella letteratura psicologica e delle scienze dell’educazione in genere. La stessa cosa, del resto, si può dire delle ricerche di taglio economico sullo stesso tema. Si veda per esempio Heckman [2008]; Heckman e Kautz [2012; 2014].
  7. Per chi fosse interessato a una proposta di definizione sistematica del campo di studi della sociologia dell’educazione, in relazione ad altre discipline, mi permetto di rimandare a un mio contributo [Maccarini 2003, capp. II e III].
  8. Se è vero che i testi sopra citati appartengono prevalentemente a un approccio di teoria dei sistemi (con la notevole eccezione di Hartmut Rosa), tale genealogia teorica non è affatto decisiva. Un’ampia rassegna di contributi sociologici classici e contemporanei di varia ascendenza, utile a documentare l’argomentazione qui esposta, si trova nella vecchia, ma sempre utile antologia a cura di Morgagni e Russo [1997].
  9. Nell’albero genealogico di questo filone di studi, è ovvio ricordare che esso ha avuto nell’approccio di Pierre Bourdieu un punto di riferimento classico. Un contributo recente, esemplificativo di tale linea di ricerca, che integra efficacemente analisi teorica ed empirica si può leggere in Benadusi e Giancola [2021].
  10. Con riferimento al programma radicale e a quello liberale in Francia, rimane importante in merito il lavoro di Glenn [1988]. Ovviamente, l’articolazione di ideali educativi comprensivi non è, poi, una peculiarità occidentale. Tra i numerosi esempi possibili, per una trattazione riferita alla Cina cfr. Tu Wei-Ming [1998].
  11. Ho cominciato a discutere questo aspetto della questione in Maccarini [2021]. Tornerò altrove su questo argomento.
  12. Per considerazioni più ampie e sistematiche, benché introduttive, in merito devo rinviare a Maccarini [2019, cap. 8]. Quel testo costituisce una base di partenza dell’approccio che qui trova uno sviluppo sul piano empirico.
  13. Ciò non esclude che un’idea di «carattere globale» possa emergere. Significa, però, che essa sarebbe a sua volta una formula parziale tra le altre possibili, dipendente da una particolare cultura con i suoi presupposti ontologici ed etici, e non una sorta di «esperanto antropologico» universale e simbolicamente neutrale. Il Davos man [Sennett 1998] può senz’altro esistere empiricamente, ma rappresenterà una «nicchia» identitaria e di stile di vita tra altre.
  14. Questo avviene in Durlak et al. [2015] e nella maggior parte della letteratura basata sulla nozione di SES.
  15. Analoghe considerazioni valgono per il concetto di capitale sociale e sono emerse per esempio nel dibattito sul suo nesso con le organizzazioni criminali.
  16. Queste considerazioni spiegano anche che SES e character sono quasi sempre espressione di psico-semantiche differenti sul piano della corrispondenza macro-sociologica. L’idea di character è più spesso associata a una semantica «critica», secondo cui capitalismo, materialismo e individualismo espressivo «corrodono» le migliori qualità personali. Questo concetto implica dunque una qualche forma di resistenza psichica, antropologica e culturale. La nozione di SES si avvicina invece normalmente a una visione che enfatizza la necessità di adattamento e integrazione in contesti di lavoro e interazioni quotidiane sempre più complessi, interconnessi e collaborativi.
  17. Come ricorda ancora Kankaraš [2017], citando Marlowe [1986]; Murphy e Hall [2011].
  18. Per una trattazione più approfondita di quest’ultimo tema devo rinviare ancora a Maccarini [2019, cap. 8].
  19. Su questo punto ci riferiamo ancora al frame concettuale articolato in sede OECD da John e De Fruyt [2015]; Chernyshenko, Kankaraš e Drasgow [2018].
  20. Study on Social and Emotional Skills in Cities. Varie informazioni e documenti relativi a questa indagine, tutt’ora in corso, si trovano sul sito web di OECD-Ceri: http://www.oecd.org/education/ceri/.
  21. Osservo di passaggio che nella tassonomia sviluppata per lo studio SSES la categorizzazione delle competenze socio-emotive viene poi ulteriormente modificata: da un lato vi sono il raggiungimento dei risultati e la gestione delle emozioni, che possono essere comprese tra le competenze intrapersonali; mentre lavorare in maniera cooperativa con gli altri rientra tra le competenze interpersonali. Questa categorizzazione riflette una concezione maggiormente olistica dello sviluppo della persona nella società, volta alla promozione di una cittadinanza attiva, alla valorizzazione della diversità, all’equità e alla giustizia sociale [Boland 2015; Kautz et al. 2014; Cefai et al. 2018]. Al tempo stesso, si avvicina e diventa parzialmente sovrapponibile, in forma più analitica, al modello CASEL citato sopra.
  22. Le notazioni tecniche sulle modalità di somministrazione e sulla percentuale dei rispondenti sono esposte, a seconda della pertinenza, nei capitoli 2, 7 e nell’Appendice metodologica del presente volume.
  23. Il clima scolastico è un costrutto teorico importante e variamente concettualizzato. Per i nostri scopi possiamo qui definirlo come segue: si tratta di un costrutto complesso che integra i) struttura e organizzazione (regole e norme valide nella scuola, dimensione delle classi, collaborazione tra le varie componenti, politiche e protocolli disciplinari, ecc.); ii) cultura (valori, norme, convinzioni sostenute esplicitamente come parte dell’identità e della mission della scuola); iii) relazioni (tra adulti e alunni, tra pari, fiducia tra i membri della comunità scolastica, presenza o meno di bullismo o varie forme di comportamenti a rischio, comunicazione, empatia, forme di risoluzione dei conflitti).
  24. Da questo punto di vista, il disegno di ricerca si è in parte ispirato al progetto di Seider [2012], nel quale tuttavia non vi è un nesso sistematico tra studi di caso e survey, che viene tentato solo sul piano narrativo. Anche il frame concettuale, le variabili indagate e i questionari utilizzati sono differenti.