Andrea M. Maccarini (a cura di)
L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c1
Più analiticamente, si osserva che questi effetti, in special modo quelli sulla riuscita scolastica, i) funzionano in modo cumulativo, autoincrementandosi dalla prima infanzia fino all’età adulta; in relazione a ciò, ii) gli esiti attesi sono sia a breve che a lungo termine; infine, iii) riguardano un insieme molto ampio di comportamenti e capacità di prestazione, da quelle relative alla produttività nel lavoro in compiti specifici, alla sfera comportamentale in vari ambiti della vita, fino alla salute e al benessere della persona e infine al suo contributo al benessere e alla produzione di beni collettivi – come nel
{p. 21}caso di civismo, empatia e capacità d’interagire in contesti multiculturali.
Per esempio: sul piano della performance, a più alti livelli di SES corrisponde un miglior rendimento scolastico che comprende i risultati conseguiti nei test standardizzati, la media e i voti, il livello di competenza accademica valutata dagli insegnanti. Ciò avviene sia per effetto diretto sullo svolgimento di compiti, sia incrementando l’autostima e favorendo le relazioni cooperative con i pari. Ciò a sua volta influenza positivamente le possibilità di formazione lunga di tipo terziario [Domitrovich et al. 2017; Durlak, Weissberg e Pachan 2010; Durlak et al. 2011] e poi la performance lavorativa, l’occupabilità, la salute e la longevità, il benessere personale in generale [Clarke et al. 2015; Weare e Nind 2011; Yoshikawa et al. 2015].
Da un’altra angolatura, le SES appaiono rilevanti nella riduzione di alcuni problemi di salute mentale nei bambini e nei giovani, quali ansia e depressione, e poi nel contrastare l’abuso di sostanze, il bullismo, i comportamenti violenti e antisociali [Barnes, Smith e Miller 2014; Clarke et al. 2015; Durlak et al. 2011; Korpershoek et al. 2016; OECD 2015; Sklad et al. 2012; Taylor et al. 2017; Piquero, Jennings e Farrington 2010]. Esiti positivi si registrano per quanto riguarda la capacità di risoluzione dei conflitti, il problem solving e il decision making; le attitudini riguardanti la concezione di sé, il senso di autoefficacia, la capacità di instaurare relazioni sociali positive, i comportamenti pro-sociali, come aiutare gli altri, mostrare empatia ed essere cooperativi [Mahoney, Durlak e Weissberg 2019].
In breve, le SES predispongono i giovani a maggiori possibilità di successo nell’università, nel lavoro, in famiglia e nella società [Elias 2014; Jones e Kahn 2017]. A lungo termine, migliorano gli esiti conseguibili nella vita adulta dal punto di vista economico e relazionale [Belfield et al. 2015].
Infine, osserviamo che i benefici derivanti dall’educazione socio-emozionale riguardano anche i bambini in situazioni più a rischio, come coloro che appartengono a una minoranza etnica e culturale o che provengono da una famiglia con basso status socio-economico, oppure che manifestano {p. 22}disturbi emotivi e psicologici. In questo senso, gli interventi sulle competenze socio-emotive forniscono gli elementi per sviluppare la resilienza e proteggere i bambini e i ragazzi maggiormente vulnerabili.
In questo contesto, abbiamo già esplicitato che la nostra ricerca si concentra sul ruolo della scuola nella formazione socio-emozionale. Come accennato sopra, le SES sono evidentemente la risultante dell’interazione tra molteplici forze e agenzie di socializzazione. Ma tra esse la scuola gioca un ruolo rilevante o no? E se sì, in che senso?
Le SES sono state per lungo tempo ignorate nel contesto scolastico [Pellai 2016; Cavioni e Zanetti 2015; Elias e Harrett 2006; Digennaro 2018]. La necessità di formare gli studenti sulle competenze emozionali, per esempio, è stata a lungo attribuita al ruolo esclusivo delle famiglie, essendo quindi affrontata in ambito scolastico soltanto come risposta specifica a situazioni problematiche, quali episodi di bullismo, violenza o gestione dell’ansia da prestazione [Digennaro 2018]. In altri termini, l’impostazione scolastica focalizzata sul solo rendimento cognitivo-disciplinare come criterio di valutazione dello studente e in generale della comunità scolastica [Cavioni e Zanetti 2015] non lasciava spazio ad altre dimensioni, specialmente a quelle difficilmente misurabili, quindi percepite come aleatorie e comunque esogene. Questa impostazione scontava, poi, il paradosso per cui l’attenzione valutativa degli insegnanti ha sempre incluso, di fatto, le dimensioni caratteriali e socio-emotive. Gli alunni, in realtà, sono sempre stati valutati anche in base a queste ultime, la cui genesi veniva però attribuita all’esterno dell’ambiente scolastico. È importante, quindi, che gli studi più recenti in ambito educativo abbiano riconosciuto alla scuola un ruolo cruciale tanto nella trasmissione di un patrimonio cognitivo di conoscenze, quanto nello sviluppo di competenze socio-emotive [Association for Supervision and Curriculum Development 2007; Corcoran 2017a; 2017b; Corcoran et al. 2018; Greenberg et al. 2003]. Una scuola in grado di preparare gli studenti non solo a passare i periodici test standardizzati, ma a superare gli ostacoli che la vita quotidianamente pone, deve mirare a {p. 23}ottenere risultati positivi in entrambe le aree: quella socio-emotiva e quella del successo accademico. Soltanto il coordinamento dell’insegnamento in entrambe le sfere di competenze può massimizzare il potenziale dello studente, nel successo scolastico quanto nella vita in senso più ampio. In questo modo, la scuola assumerebbe anche un ruolo decisivo per la promozione della salute dei più giovani [Zins e Elias 2006].
È dunque cresciuta, per esempio, una letteratura che s’interroga circa le azioni più efficaci per lavorare sull’educazione alle emozioni [Pellai 2016; Digennaro 2018]. È aumentato, altresì, nelle scuole lo spazio dedicato a questi aspetti all’interno della programmazione didattica, con conseguenti questioni aperte rispetto alla modalità d’intervento [Mariani e Schiralli 2012; Pellai 2016; Digennaro 2018]. In diversi paesi, le scuole supportano il benessere degli studenti tramite l’applicazione di programmi di Social and Emotional Learning (SEL), i quali aiutano i giovani a sviluppare le loro competenze sociali ed emotive, tra cui la gestione delle emozioni, le strategie di coping e l’empatia [Elias et al. 2001; Greenberg et al. 2003; Gresham e Elliott 2008; Dowling, Simpkin e Barry 2019]. Questi programmi hanno acquisito nel tempo una forte validità: varie ricerche empiriche a livello internazionale, infatti, hanno evidenziato come i programmi SEL permettano agli studenti di migliorare le loro relazioni interpersonali, studiare in maniera più efficace e aumentare le loro probabilità di successo a scuola come nella vita [Clarke et al. 2015; Weare e Nind 2011; Yoshikawa et al. 2015; Corcoran et al. 2018].
Vale la pena notare che, oltre agli specifici programmi SEL, la questione del ruolo della scuola comporta l’integrazione dello sviluppo individuale con quello organizzativo. Cioè a dire, lo sviluppo socio-emotivo degli alunni richiede uno sforzo complessivo, che coinvolge tutti gli aspetti dell’organizzazione scolastica. Promuovere la cooperazione tra gli insegnanti, sostenere lo sviluppo di forti relazioni nell’ambiente scolastico e l’ingaggio attivo in tutti gli aspetti dell’apprendimento, impiegare approcci di tipo riparativo per gestire la disciplina e la vita della comunità scolastica {p. 24}richiede l’allineamento complessivo di culture e strutture scolastiche ai vari livelli, oltre alla possibile introduzione di programmi SEL nel curriculum.
In sintesi, i contesti scolastici di apprendimento sono più o meno predittivi rispetto allo sviluppo sociale ed emozionale in base alle scelte relative ai punti seguenti:
a) ambiente scolastico (ambiente di classe, effetti degli insegnanti e dei pari);
b) pratiche d’insegnamento (contenuti, modalità di trasmissione) e fattori legati al curriculum;
c) caratteristiche degli insegnanti (età, genere, esperienza);
d) attività extracurricolari (contenuti, obiettivi, modalità trasmissive);
e) risorse delle scuole (infrastrutture, materiali, dimensioni delle classi, rapporto numerico tra alunni e staff).
Un’ultima, importante considerazione riguarda il fatto che la presente ricerca è stata condotta in prospettiva sociologica [6]
. Ci si potrebbe chiedere, allora, se questa sia appropriata. Le competenze non sono forse il campo d’indagine specifico (ed esclusivo) di pedagogia e psicologia? Naturalmente, come ogni problema complesso, quello che qui studiamo è al centro d’interessi teorico-pratici multi- e inter-disciplinari. Ma riteniamo che la sociologia possa offrire un contributo proprio e peculiare, almeno a due livelli.
Anzitutto, essa è fortemente sensibile ai processi e alle relazioni che generano conoscenze e competenze. Nelle sue espressioni più avvertite, lo studio sociologico dell’educazione non si è mai limitato all’analisi dei cosiddetti «contesti sociali» dell’educazione, ma ha definito l’educazione stessa come «fatto sociale» [7]
. Questo fatto consiste, concretamente, {p. 25}in azioni volte a suscitare nei bambini un certo numero di stati fisici e mentali, intellettuali e morali, che la società ritiene debbano essere presenti nei suoi membri. Per questo la sociologia si è interessata direttamente allo studio delle istituzioni, dell’organizzazione scolastica, ma anche dei processi e delle relazioni sociali: il tipo specifico di relazioni che chiamiamo «educative». Questo interesse risale alla stagione dei classici e si articola nella riflessione sui processi di socializzazione e formazione della soggettività umana, le cui proprietà sono al tempo stesso interpretate come medium dell’educazione [Lenzen e Luhmann 1997; Luhmann e Schorr 1988; Luhmann 2002; 2004]. In questo senso, per esempio, una lezione scolastica può essere intesa come un sistema d’interazione sociale [Parsons 1959; Luhmann 2002, cap. 4; Rosa 2016, cap. VIII, 402-420; Rosa ed Endres 2016], che produce effetti emergenti a vari livelli, tra cui determinate competenze nei soggetti che vi partecipano [8]
. È, dunque, in continuità con una lunga tradizione di pensiero che la nostra ricerca studia le competenze sociali ed emotive come proprietà emergenti da un insieme di relazioni, strutture e culture educative, esaminando alcuni modi in cui queste sono pensate e agite nelle dinamiche della vita scolastica. E la sua rilevanza risulta primariamente dagli effetti sulla vita sociale che alle SES sono attribuiti e che in questo paragrafo abbiamo rapidamente messo in luce.
Inoltre, è proprio della prospettiva sociologica implicare un ancoraggio macro-sociale delle indagini in campo educativo. Sotto questo profilo, la riflessione della sociologia dell’educazione ha dato luogo a un duplice programma di ricerca, che ha caratterizzato l’identità della disciplina dalle origini sino a oggi. Da un lato si ha la costante attenzione
{p. 26}al nesso che lega educazione, giustizia, eguaglianza e mobilità sociale [9]
. Dall’altro, l’interesse sociologico ruota attorno a un nocciolo tematico che si potrebbe definire antropologico: il contesto macro-strutturale viene studiato in connessione con le forme in cui la cultura educativa – la paideia tipica di ogni epoca – contribuisce a costruire l’identità personale e collettiva. Ogni costruzione identitaria è in relazione a modelli dell’ordine sociale e culturale, attraverso cui vengono definiti valori, credenze, modelli comportamentali e qualità personali socialmente desiderabili, con le relative modalità di formazione – attraverso i processi di socializzazione – dei tipi umani appropriati [Eisenstadt e Giesen 1995; Mannheim e Campbell Stewart 2017]. Senza risalire fino alla celeberrima e scontata «formazione dell’uomo greco», è noto che in epoca moderna diverse costellazioni simboliche di costruzione della soggettività umana hanno caratterizzato i programmi educativi europei [10]
. Che i sistemi educativi (accompagnati dall’attenzione critica della sociologia) mirino esplicitamente alla «formazione» del soggetto umano nelle sue varie dimensioni, comprese quelle sociali, emozionali e morali, non è dunque una peculiarità contemporanea, magari ascrivibile a una qualche cattiva coscienza tardo-capitalistica. Per limitarci a un solo esempio, ricordiamo la classica riflessione di Durkheim [1938] sui principi dell’educazione morale – lo spirito di disciplina, l’attaccamento alla società e l’autonomia individuale – che dovrebbero dare forma all’ideale educativo francese, e che era volta a comprendere le forme della soggettività adeguate alle strutture sociali della «solidarietà organica». In effetti, quel{p. 27}la trattazione sembra quasi echeggiare da lontano proprio le competenze «caratteriali» di cui ci stiamo occupando.
Note
[6] Diciamo sociologica, nonostante che per la misurazione dei livelli di SES abbiamo utilizzato scale e costrutti originariamente sviluppati e normalmente impiegati nella letteratura psicologica e delle scienze dell’educazione in genere. La stessa cosa, del resto, si può dire delle ricerche di taglio economico sullo stesso tema. Si veda per esempio Heckman [2008]; Heckman e Kautz [2012; 2014].
[7] Per chi fosse interessato a una proposta di definizione sistematica del campo di studi della sociologia dell’educazione, in relazione ad altre discipline, mi permetto di rimandare a un mio contributo [Maccarini 2003, capp. II e III].
[8] Se è vero che i testi sopra citati appartengono prevalentemente a un approccio di teoria dei sistemi (con la notevole eccezione di Hartmut Rosa), tale genealogia teorica non è affatto decisiva. Un’ampia rassegna di contributi sociologici classici e contemporanei di varia ascendenza, utile a documentare l’argomentazione qui esposta, si trova nella vecchia, ma sempre utile antologia a cura di Morgagni e Russo [1997].
[9] Nell’albero genealogico di questo filone di studi, è ovvio ricordare che esso ha avuto nell’approccio di Pierre Bourdieu un punto di riferimento classico. Un contributo recente, esemplificativo di tale linea di ricerca, che integra efficacemente analisi teorica ed empirica si può leggere in Benadusi e Giancola [2021].
[10] Con riferimento al programma radicale e a quello liberale in Francia, rimane importante in merito il lavoro di Glenn [1988]. Ovviamente, l’articolazione di ideali educativi comprensivi non è, poi, una peculiarità occidentale. Tra i numerosi esempi possibili, per una trattazione riferita alla Cina cfr. Tu Wei-Ming [1998].