Giorgia Pavani, Stefania Profeti, Claudia Tubertini
Le città collaborative ed eco-sostenibili
DOI: 10.1401/9788815410221/c3
Come è possibile evincere dalla carrellata fin qui illustrata, gli strumenti per innescare, sviluppare e sostenere pratiche collaborative orientate alla condivisione di beni e alla coproduzione di servizi sono dunque molteplici, presuppongono l’attivazione di risorse differenti, includono dispositivi sia tradizionali che più innovativi e, soprattutto, non si escludono a vicenda. Al contrario, in linea con quanto evidenziato da buona parte della letteratura sugli strumenti di policy, l’azione amministrativa richiede solitamente l’utilizzo di un mix di policy tools [21]
, il cui assemblaggio non è necessariamente frutto di scelte basate su esplicite (e coerenti) teorie causali, ma può dipendere piuttosto dall’intreccio di altri fattori quali la fattibilità politica, la compatibilità con la legacy e con le caratteristiche dell’ecosistema urbano, il sopraggiungere di soluzioni che precedono i problemi (si pensi, ad esempio, ai vari bandi di finanziamento europeo finalizzati all’innovazione nelle città), l’emulazione di best practices maturate in altri contesti o, più in generale, «la contaminazione tra strumenti [...] nella misura in cui ogni meccanismo viene traslato in settori di policy diversi e applicato a differenti livelli di governo, mutando nel significato e negli effetti attesi» [22]
. Analizzare come i governi locali combinano e calibrano gli strumenti per governare la collaborazione alla luce della classificazione qui esposta può dunque aiutarci non solo a mettere ordine nella pluralità di manifestazioni empiriche del fenomeno, ma anche a ragionare attorno alle condizioni che possono favorire l’adozione di determinate strategie rispetto ad altre, nonché alla congruenza con gli scopi a cui le pratiche collaborative rispondono.
{p. 123}

3. Strumenti di policy e città collaborative: casi di successo e lezioni di policy

In questa sezione proviamo appunto ad analizzare alcuni specifici casi di collaborazione tra amministrazione e cittadini che hanno interessato alcune città italiane nell’ultimo decennio, utilizzando la griglia illustrata sopra. La scelta dei casi presi in considerazione ha seguito un duplice criterio: da un lato, ci si è concentrati su esperienze che si sono sviluppate in ambiti diversi dalle politiche di welfare, ovvero al di fuori di un terreno già abbondantemente dissodato per quanto riguarda le pratiche di collaborazione e le relazioni tra pubblica amministrazione e terzo settore [23]
.
Si è scelto dunque di privilegiare tre settori, o macro-aree, in cui le pratiche di collaborazione tra amministrazione e cittadini sono in via di diffusione, o comunque non ancora non del tutto esplorate nelle loro potenzialità: il primo, che è quello in cui sono stati mossi i primi passi in un’ottica di amministrazione condivisa (v. cap. 2), è l’ambito della rigenerazione urbana, ovvero tutto ciò che ha a che fare con la riqualificazione del territorio delle città con interventi finalizzati al miglioramento delle condizioni urbanistiche e socio-economiche, e che in Italia ha fatto in un certo senso da apripista per la sperimentazione di forme più innovative e aperte di governance cittadina [24]
. Il secondo è quello dell’economia circolare, ovvero l’insieme di attività volte a promuovere un modello di produzione e consumo alternativo a quello c.d. lineare, che implica condivisione, prestito, riutilizzo, riparazione, ricondizionamento e riciclo dei materiali e dei prodotti il più a lungo possibile, al fine di limitare gli sprechi e la quantità di materia {p. 124}destinata allo smaltimento. Si tratta di un settore ormai al centro degli interventi normativi, delle strategie e dei programmi dell’Unione europea, e in cui il potenziale ruolo delle città è andato progressivamente consolidandosi, in quanto luoghi dove il consumo effettivamente si espleta e in cui si provvede, generalmente, alla raccolta e alla gestione di ciò che è considerato (o destinato a divenire) rifiuto [25]
. Il terzo ambito, infine, è la lotta al cambiamento climatico, e cioè tutte quelle azioni che possono essere intraprese per contrastare o mitigare gli effetti negativi del climate change sulla qualità ambientale (aria, suolo, risorse idriche) e conseguentemente sulle vite dei cittadini. Anche su questo frangente non mancano le iniziative di promozione dell’Unione europea e di altre istituzioni sovranazionali, e le città sono considerate i luoghi di elezione in cui portare avanti iniziative di sensibilizzazione, responsabilizzazione e incentivazione di comportamenti virtuosi da parte di residenti e city users [26]
(v. cap. 1).
Dall’altro lato, tutte le esperienze di collaborazione prescelte hanno valso alle città che li hanno promossi formali riconoscimenti su scala nazionale e internazionale, così come – in alcuni casi – finanziamenti ad hoc a valere su programmi e progetti competitivi. Ciononostante, l’intento qui non è quello di proporre queste esperienze come modelli decontestualizzati replicabili in sé e per sé, secondo la logica delle best practices. Piuttosto, in una prospettiva di lesson drawing, l’idea è quella di ricostruire come, e cioè attraverso quale mix di strumenti messi in atto dalle amministrazioni locali, pratiche attivate in città diverse, in settori diversi, e con finalità differenti, siano diventate casi certificati di successo [27]
, così da poter trarre lezioni più facilmente adattabili ai diversi contesti.{p. 125}
A questo scopo, abbiamo preso in considerazione sei casi di collaborazione che riguardano (a coppie) i tre ambiti sopra menzionati, che hanno avuto luogo in comuni con diversa dimensione demografica (dagli 1,3 milioni di abitanti di Milano ai 46mila di Capannori), che sono state messe in atto in fasi diverse del processo di policy making (dalla fase di design fino a quella di assessment), e che hanno coinvolto differenti costellazioni di attori, all’interno delle quali i cittadini non organizzati ricoprono un peso variabile (tab. 2.3). La rassegna dei casi analizzati si apre con un approfondimento degli strumenti adottati per dare attuazione al Regolamento sulla collaborazione tra amministrazione e cittadini della città di Bologna, già illustrato nel secondo capitolo come emblematico delle pratiche di amministrazione condivisa, per poi esplorare i policy mix adottati in altre esperienze di collaborazione che includono sia pratiche di partecipazione al decidere che pratiche di partecipazione al fare (v. cap. 2).{p. 126}
Tab. 2.3. Panoramica dei casi analizzati
Settore
Caso
Fase*
Attori coinvolti
Rigenerazione urbana
Bologna – Regolamento e Patti di collaborazione
(Design)
Delivery
Cittadini singoli e/o organizzati; associazioni; soggetti istituzionali
Torino – Bilancio deliberativo
(Priority setting) Design
Cittadini residenti; università; esperti facilitatori/garanti; funzionari comunali
Economia circolare
Capannori (LU) – Strategia Zero Waste
Delivery (Assessment)
Cittadini, imprese, associazioni
Milano – Hub di quartiere contro lo spreco alimentare
Delivery
Associazioni, imprese
Clima e ambiente
Bologna – Assemblea cittadina per il clima
Design
Associazioni formali e informali, imprese, esperti, funzionari comunali, garanti
Prato – Progetto Urban Jungle
Design (Assessment)
Classico partenariato pubblico-privato con coinvolgimento di cittadini residenti
 
 
 
* Nel caso di più fasi, tra parentesi la fase di minor rilevanza.

3.1. Collaborare per la rigenerazione urbana

Bologna e il Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani – Bologna è la prima città in Italia ad approvare, nel 2014, un «Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani». L’approvazione del Regolamento, sostenuta dall’intero consiglio comunale, fa seguito ad alcuni percorsi partecipativi già messi in atto dall’amministrazione cittadina a partire dal 2010, e risponde all’esigenza di trovare una veste giuridica (authority) alle numerose sollecitazioni dal basso di cittadini attivi che proponevano spontaneamente di farsi carico di iniziative rivolte alla cura o alla riqualificazione di beni e servizi di pertinenza pubblica e di interesse collettivo (ad es. interventi su scuole, aree verdi e altre strutture di proprietà pubblica), così da renderle compatibili con i principi di buon funzionamento della pubblica amministrazione e con il modus operandi degli uffici comunali [28]
. La stessa formulazione del regolamento è del resto il frutto di un lungo processo di discussione e condivisione con i cittadini e con i funzionari comunali, attuato con il sostegno finanziario della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e con il coinvolgimento dell’associazione Labsus – Laboratorio per la sussidiarietà, che raccoglie docenti ed esperti impegnati nell’ideazione e nella promozione di pratiche di amministrazione condivisa [29]
.
Dopo l’esperienza pionieristica di Bologna l’uso dei Regolamenti per l’amministrazione condivisa dei beni comuni si è gradualmente diffuso in molti altri comuni, piccoli e grandi, nonché in alcune unioni di comuni e città metropolitane: a dicembre 2022 sono infatti oltre 280 le amministrazioni che si sono dotate del medesimo strumento.{p. 127}
Sulla base del Regolamento, le forme di collaborazione si realizzano attraverso dei patti (i Patti di collaborazione, appunto), ovvero lo strumento procedurale che inquadra giuridicamente la relazione che si viene a creare tra amministrazione e cittadini. Si tratta di accordi che fanno seguito alla presentazione di proposte dal basso in risposta a un apposito avviso pubblico comunale, e attraverso i quali uno o più cittadini attivi (o anche altri soggetti, quali associazioni, imprese ecc.) e un soggetto pubblico mettono nero su bianco i termini della reciproca collaborazione per azioni che riguardino la cura di beni comuni materiali, immateriali e digitali: l’identificazione del bene comune, gli obiettivi del patto, l’interesse generale da tutelare, le capacità, le competenze e le risorse mobilitate dai sottoscrittori (compresi i soggetti pubblici), la durata e le rispettive responsabilità, nonché le clausole per una eventuale rescissione. Le aree di intervento su cui i patti bolognesi vanno ad agire sono molteplici e nel tempo si sono ampliate e diversificate, andando oggi dalla cura degli spazi comuni ad attività ricreative e di inclusione sociale, fino ad arrivare a iniziative culturali o di socializzazione [30]
.
Le risorse messe in campo dall’amministrazione raramente sono di tipo squisitamente monetario; di solito, infatti, il sostegno economico del comune (treasure) si concretizza nel comodato d’uso gratuito di spazi pubblici, nel garantire eventuali coperture assicurative, o nella messa a disposizione dei mezzi necessari a espletare le attività previste dal patto. Alle risorse impiegate per il sostegno materiale ai patti si aggiungono poi le risorse di tipo organizzativo e di nodality necessarie a dare concreta attuazione allo strumento e a gestire le relazioni con la cittadinanza: un ufficio appositamente dedicato (l’Ufficio cittadinanza attiva), una piattaforma online (Partecipa) per la presentazione delle proposte e dove vengono messe a disposizione tutte le informazioni (liberamente consultabili) sui patti attivi e conclusi, nonché il ruolo di accompagnamento, promozione e facilitazione delle pratiche collaborative
{p. 128}svolto dalla Fondazione innovazione urbana – FIU (ex Urban center), fondata e partecipata dal Comune e dall’Università di Bologna.
Note
[21] M. Howlett, Designing Public Policies: Principles and Instruments, New York, Routledge, 2011.
[22] Capano e Lippi, Gli strumenti di governo stanno cambiando?, cit., p. 25.
[23] Si vedano, tra gli altri, E. Pavolini, Le nuove politiche sociali. I sistemi di welfare fra istituzioni e società civile, Bologna, Il Mulino, 2003; K. Rummery, Partnerships and Collaborative Governance in Welfare: The Citizenship Challenge, in «Social Policy and Society», n. 2/2006, pp. 293-303; E. Polizzi, C. Tajani e T. Vitale, Programmare i territori del welfare. Attori, meccanismi ed effetti, Roma, Carocci, 2013.
[24] Cfr. D. Cepiku, E. Guga e B. Marchese, Collaborative governance for urban regeneration in Italy, in D. Cepiku, S. Hee Jeon e D.K. Jesuit (a cura di), Collaborative Governance for Local Economic Development, London, Routledge, 2019, pp. 135-150.
[25] C. Farné Fratini, S. Georg e M. Søgaard Jørgensen, Exploring circular economy imaginaries in European cities: A research agenda for the governance of urban sustainability transitions, in «Journal of Cleaner Production», n. 1/2019, pp. 974-989.
[26] E. Brink e C. Wamsler, Collaborative Governance for Climate Change Adaptation: Mapping citizen-municipality interactions, in «Environmental Policy and Governance», n. 2/2018, pp. 82-97.
[27] Sulla differente logica soggiacente all’idea di best practice e alla prospettiva del lesson drawing, si rinvia a C. Radaelli, The diffusion of regulatory impact analysis – Best practice or lesson-drawing?, in «European Journal of Political Research», n. 5/2004, pp. 723-747.
[28] Cfr. Donato Di Memmo racconta il Regolamento per i beni comuni di Bologna. Le opportunità applicative aperte dal Regolamento: il punto di vista dell’amministrazione, www.labsus.org, 9 febbraio 2016.
[29] P. Michiara, I patti di collaborazione e il regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani. L’esperienza del Comune di Bologna, in «Aedon», n. 2/2016 (rivista online).
[30] Per una panoramica completa dei patti attivati dal Comune di Bologna dal 2015 ad oggi, si rinvia alla piattaforma «Partecipa», ospitata sul sito web dell’amministrazione comunale.