Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c3
Come si è detto, è decisivo innanzi tutto scomporre nel modo più accurato possibile in forme semplici il fatto
{p. 85}concreto. Non sarebbe corretto attestarsi a livelli di astrazione generalizzante, che instaurino somiglianze tipologiche del «caso» con altri «casi»; è invece necessario scomporre le vicende di fatto destinate a diventare un «caso», fino al grado minimo di concretezza, per così dire.
Sottolineare l’importanza della riduzione del fatto alle forme elementari può apparire un’ovvietà; e tuttavia è importante sotto due profili: uno strettamente applicativo (4.2), l’altro – che qui interessa sottolineare conclusivamente – di teoria dell’interlegalità (4.3).

4.2. Il fatto dietro al caso

Quanto all’aspetto applicativo, può accadere che la prospettiva dalla quale il fatto è qualificato impedisca di considerare adeguatamente il fatto materiale e conseguentemente si definisce un caso non congruente rispetto al fatto. La vicenda Melloni, di cui si è detto in precedenza (supra, § 2.2), ne può esser considerata un esempio: la pretesa di qualificare unilateralmente la vicenda ha sovrastato la constatazione che la fisionomia del caso concreto – l’individuo da tutelare, in una prospettiva, da consegnare all’estero, nella prospettiva (apparentemente) opposta, aveva effettivamente espresso una scelta – poteva rendere compatibili le legalità concorrenti.
Un ulteriore esempio può essere tratto, in questa specifica prospettiva metodologica, dalla vicenda oggetto di apparentemente contrastanti pronunce del Tribunale di Roma, a proposito della cancellazione dei profili «social» di esponenti politici di partiti di estrema destra. È stato segnalato come i giudici abbiano deciso in modo opposto casi simili. Ma con quale procedimento dev’esser stabilita la similitudine del caso? In questo esempio, in cui si dibatte del rapporto fra libertà di manifestazione del pensiero, da un lato, e regole di condotta della Community (private), nonché regole di diritto nazionale, sovranazionale, internazionale rilevanti, dall’altro lato, va anzi tutto premesso che la descrizione del rapporto fra i parametri di qualificazione (libertà di opinione, di associazione, altre regole ordinamen{p. 86}tali nazionali e internazionali, regole di autonomia provata) attiene, per l’appunto, al profilo della qualificazione e del bilanciamento e non già del racconto del fatto. Inoltre, non sarebbe sufficiente accontentarsi del riferimento al «profilo social di esponente politico di estrema destra», che fornisce solo un’apparente concretezza tipologica. Si deve considerare quali fossero i fatti rilevanti, desumendoli dagli atti della causa: domande introduttive, memorie, decisioni. Ad esempio, nel giudizio definito con sentenza favorevole alla libertà di associazione il profilo era stato cancellato sulla base di un giudizio sulla natura dell’associazione politica che il giudice non ha ritenuto conforme a quelle regole generali dell’ordinamento che costituiscono limite altrettanto generale all’autonomia privata; e quanto alle allegazioni relative all’utilizzo della piattaforma per diffondere messaggi discriminatori in violazione delle condizioni di utilizzo, sono state ritenute o generiche o comunque inidonee a fondare una misura di autotutela così pervasiva come la chiusura del profilo: un giudizio, dunque, di sproporzione nell’esercizio della «pena privata». Nel giudizio deciso in senso contrario, invece, si trattava di pagine contenenti simboli (non soltanto fascisti, ma) «razzisti» e che «avrebbero incitato all’odio e alla discriminazione»; quanto all’organizzazione ed a suoi membri, sono indicate denunce per apologia del fascismo, enumerati gli esiti di perquisizioni, dalle quali è stato possibile articolare il giudizio che in effetti «il richiamarsi agli ideali del fascismo in numerosissime iniziative pubbliche e pubbliche manifestazioni vale a qualificare» l’organizzazione coinvolta «come “organizzazione di odio” secondo le condizioni contrattuali e gli Standard della Community» [42]
; inoltre, risulta provato che l’organizzazione si sia resa «protagonista di iniziative discriminatorie in danno di rom, migranti e omosessuali e veri e propri “discorsi d’odio”».
Diversamente da quanto – almeno in base alle risultanze degli atti di causa – [43]
poteva risultare circa la diversa orga{p. 87}nizzazione oggetto della prima pronuncia ricordata, i fatti a sostegno delle condotte oggetto di processo (la chiusura degli account) sono considerati sufficienti ad effettuare il giudizio che i contenuti «postati» sono «illeciti in base a tutto il complesso sistema normativo» rilevante, nazionale e internazionale, nonché «con la vasta giurisprudenza nazionale e sovranazionale» di cui i giudici danno ampio resoconto.
Semplificando e riassumendo, nell’esempio in esame il primo «caso» concerne un’associazione e condotte di cui non è possibile, in base ai fatti di causa, predicare il carattere incompatibile con le molteplici fonti di qualificazione considerate rilevanti; il secondo concerne, al contrario, un’associazione e condotte di cui quel carattere è invece predicabile. È dunque comprensibile che i due «casi» siano decisi in modo diverso.
Resta salva, com’è chiaro, la possibilità di discutere nel merito la congruenza dell’uno o dell’altro giudizio, in fatto o in diritto: ma dev’esser chiaro che, per come risultano, sono decisioni diverse su casi diversi, e non su uno stesso «caso».

4.3. «False friends». Il caso della regola e il «case-law»

Quanto all’aspetto di teoria del diritto, l’importanza del caso si ricollega per l’appunto alla pluralità di qualificazioni possibili da parte di vari ordinamenti che tutti concorrono in questa pretesa di qualificazione senza che sia possibile individuare una relazione di tipo gerarchico. Insomma,
le diverse qualificazioni giuridiche contenute nelle concorrenti legalità non possono essere assunte ciascuna come la regola del caso (…). Semplicemente perché il caso non è costruibile, in circostanze di interlegalità, come una fattispecie unica. Nessuna delle legalità prese in sé e in astratto può essere assunta come portatrice della regola da applicare al caso.
Il rapporto fra identità del caso e molteplici fonti di qualificazione segnala una caratteristica propria delle situazioni interlegali, che non le rende assimilabili sic et simpliciter{p. 88} al diritto casistico («case-law») quale sottoinsieme di quest’ultimo.
Il diritto casistico, come idea e come locuzione, esprime la prospettiva secondo la quale la giurisprudenza riveste un ruolo di fonte primaria, indipendentemente dai tributi declamatori concessi alla preminenza del diritto legislativo (statutory law). Non è ovviamente il caso di indugiare qui sulle correnti che hanno percorso il common law in epoca moderna e contemporanea, dal formalismo giuridico di un Langdell al realismo di Holmes e Llewellyn [44]
. Tuttavia, utile per comprendere la specificità della prospettiva interlegale in quanto centrata sul «caso» è un rapido confronto con la visione del case-law tipica del «realismo giuridico», secondo la quale il diritto non è espresso tanto dalla regola generale ed astratta, quanto dall’attività del giudice che crea la regola del caso concreto (judge-made law) [45]
. In quest’ottica, proprio il comportamento del giudice costituisce il «fatto» oggetto dello studio del diritto [46]
.
È noto, del resto, che alcune correnti del realismo (ad esempio Jerome Frank) portano a negare la normatività del diritto, ridotto ai fatti intesi come le decisioni dei tribunali, a loro volta intese come frutto di intuizione piuttosto che di argomentazione e dunque ritenute essenzialmente incontrollabili. Vero è che altri (ad es. Karl Llewellyn) sostengono piuttosto che la decisione è un processo che «avviene entro i confini e secondo i limiti propri della tradizione giuridica, delle abitudini interpretative e delle regole» [47]
. Anche {p. 89}quest’opinione, peraltro, si muove nell’ottica del diritto come arte o disciplina di previsione delle decisioni sul caso; l’attenzione alla regola è del tutto in ombra [48]
.
In termini significativamente diversi, l’interlegalità è categoria ermeneutica la cui cifra caratterizzante è proprio quella di ammettere e rappresentare una realtà normativa certamente molteplice ma la quale, appunto, possiede una normatività indipendente dalla decisione giudiziale e che, anzi, si impone a quest’ultima. Correlativamente, la situazione interlegale impone di essere riconosciuta come tale: la categoria sottolinea come il criterio di decisione non stia nelle norme astratte ma nelle caratteristiche del «caso».
Nella prospettiva dell’interlegalità, in altri termini, il diritto rilevante si rivela in primo luogo nella sua molteplicità, cioè come diritto composito proveniente da fonti tutte legittimamente concorrenti, in assenza di criteri ordinatori necessari, nella disciplina dei rapporti ai quali si riferiscono (supra, § 1). È l’inclusività – piuttosto che la devoluzione alla decisione giudiziale – il primo «messaggio» culturale che la categoria intende innanzi tutto veicolare.
Solo in secondo luogo, per quanto in termini del tutto conseguenti, essa costituisce un criterio regolativo dell’attività del giudice che si trovi a giudicare fatti definendo, in base alle plurime qualificazioni, il «caso» da decidere. Centro dell’interesse epistemologico dell’interlegalità non è la natura dell’attività giudiziale – se essa sia creativa o meno della regola del caso concreto – invece tradizionalmente oggetto delle riflessioni di teoria del diritto (generale, od all’interno di singole discipline quali il diritto penale, forse la più problematica di fronte a questi atteggiamenti) [49]
.
{p. 90}
Note
[42] Sentenza, fg. 24-25.
[43] Ma è rilievo decisivo: nel giudizio civile la decisione è iuxta alligata et probata.
[44] Cfr. Mattei, Common Law, cit., pp. 250 ss e spec. 274 ss.; sempre utile l’informazione manualistica offerta da G. Fassò, Storia della filosofia del diritto, III: Ottocento e Novecento, ed. aggiornata a cura di C. Faralli, Roma-Bari, Laterza, 2001, pp. 255 ss. e spec. 269 ss.
[45] Per un inquadramento culturale sia sufficiente richiamare, innanzi tutto, il testo fondamentale di A. Kronman, The Lost Lawyer, Harvard, Belknap Press, 1993.
[46] Prima dell’affermarsi del realismo e nell’opposta prospettiva «formalista», peraltro, anche l’espressione di Langdell, secondo la quale «i casi sono gli unici materiali del laboratorio del giurista» (per i necessari riferimenti cfr. Mattei, Common Law, cit., p. 276, nota 278 e p. 274, nota 271).
[47] G. Palombella, Filosofia del diritto, Padova, Cedam, 1996, pp. 210-213 (211).
[48] Per la precisione, è affermata la «pari importanza nello studio dei casi dell’analisi delle situazioni di fatto rispetto a quella della regola giuridica» (così Mattei, Common Law, cit., p. 284, nota 325 riassume le posizioni di J. Frank).
[49] Quanto al diritto penale, è noto che il principio di legalità (statuale) sembra esprimerne il carattere idiosincratico rispetto al tema della creatività del giudice. Ma è discussione aperta; nella letteratura italiana mi limito ad indicare lo studio di O. Di Giovine, L’interpretazione nel diritto penale. Tra creatività e vincolo alla legge, Milano, Giuffrè, 2006, e la letteratura ivi citata; inoltre, con diverse sfumature, M. Donini, Fattispecie o «case law»? La «prevedibilità del diritto» e i limiti alla dissoluzione del diritto penale nella giurisprudenza, in «Questione Giustizia», 2018, n. 4, pp. 79 ss.; V. Manes, «Common law-isation» del diritto penale? Trasformazioni del «nullum crimen» e sfide prossime future, in «Cassazione penale», 2017, pp. 955 ss.