Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c3
Sul rapporto tra interlegalità e disciplina del caso è necessaria sin da subito una precisazione: l’interlegalità si profila come un metodo di gestione del caso. Non si tratta, però, di un metodo funzionale a raggiungere una soluzione piuttosto che un’altra, cioè di una categoria che esprime in quanto tale un criterio sostanziale, contenutistico di decisione; si tratta invece di una categoria concettuale che conferisce legittimità alle varie legalità – o, se si preferisce, normatività – che si riferiscono ad un caso concreto. Talvolta accade che tale legittimità sia espressamente conferita, per decisione unilaterale [9]
di «prise en compte» di un ordina
{p. 70}mento straniero [10]
; ma proprio in simile situazione, in cui la dimensione interlegale è assunta esplicitamente a livello normativo, la soluzione della convergenza non può che avvenire a livello di decisione sul caso concreto, orientata dalle sue caratteristiche. In astratto è definito solo il metodo plurale; la soluzione è affidata all’arbitro delle circostanze del caso (il giudice, in primo luogo); è facile che il criterio sostanziale sia elastico e (gius-)politico, come gli «interessi della giustizia», o la generica «comity» internazionale, peraltro «generica» soltanto in un’ottica giuspositivista, perché nelle relazioni internazionali è criterio ben attestato da un paio di secoli. E tuttavia sono clausole generali che gli ordinamenti ben conoscono a prescindere da situazioni di interlegalità, ogni qualvolta l’universo delle qualificazioni giuridiche confligga con altri paradigmi di valore (si pensi alle clausole dell’interesse pubblico, dell’ordine pubblico, del buon costume, ecc.).
Proprio la situazione concreta, il caso concreto, è dunque il convitato di pietra della categoria e torna a riconquistare {p. 71}la sua centralità a fronte della regola generale e astratta di fonte nazionale. Il principio d’inclusione delle molteplici normatività si impernia sul caso concreto, segmento di realtà sul quale esse esercitano la pretesa di regolamentarlo e costituirne, eventualmente, criterio di decisione (adjudication).

3. Fatto e caso

3.1. Dalla circonferenza della legge ai segmenti del caso concreto

Il concetto di caso concreto (case, Kasus), in effetti, è rimasto tradizionalmente in ombra almeno fino a quando l’importanza della regola generale e astratta, presupposto sillogistico dell’attività di interpretazione, si saldava ad una prospettiva ideale, d’ascendenza illuministica (continentale) [11]
, legata alla garanzia dell’uguaglianza (formale) all’interno di un sistema giuridico dato. Il tramonto di quell’idea ha proiettato il buio sull’illusione di poter descrivere la legge come una circonferenza sulla quale tutti i consociati possano trovare ciascuno il proprio posto, uguale a quello degli altri (è una suggestiva immagine dell’abate Sieyès, all’alba della Rivoluzione francese). Su quella crisi sono già scorsi fiumi di inchiostro e non è il caso di ricamar d’uncinetto su tele già dipinte.
Piuttosto, dev’essere sottolineato che, quanto più la realtà del diritto si allontana dalla centralità ideale del diritto legislativo o, più in generale e più radicalmente dall’esclusività delle fonti nazionali e persino dal loro carattere esclusivamente pubblicistico, tanto più diventa necessario acquisire familiarità con modi diversi di concepire il diritto e la sua applicazione. Per un verso, pretendono il proscenio attitudini mentali del diritto argomentato, tipico dell’esperienza giu{p. 72}ridica anglosassone [12]
; ma anche – laddove quella familiarità culturale sia già presente – prorompe un’ulteriore esigenza di rottura, superare testualismo od originalismo rispettivamente come metodo ed orizzonte teleologico dell’interpretazione [13]
.
Non è un caso se, prima nelle discipline storiche [14]
, poi anche fra i giuristi [15]
, sia rinato in tempi recenti un vivo interesse per la casistica (casuistry), quella tecnica argomentativa elaborata in età moderna dalla morale gesuitica consistente in buona sostanza nell’adattamento dei precetti astratti ed assoluti della morale religiosa alle circostanze della vita mondana (dei casi concreti, diremmo qui), caduta in discredito soprattutto dopo la critica demolitrice del Pascal delle Lettere Provinciali. Come è stato spiegato in un noto saggio [16]
, il termine argomenti ha due significati {p. 73}funzionalmente diversi, uno formale ed uno sostanziale. Nel primo senso, formale, un argomento è una catena di proposizioni collegate tra loro in modo tale da garantire la conclusione; in questa prospettiva, gli argomenti sono catene di prova. In senso sostanziale, invece, gli argomenti sono un complesso di considerazioni presentate per risolvere complicati interrogativi pratici. Gli argomenti teorici sono conseguentemente strutturati in modo diverso dagli argomenti pratici: i primi seguono la scansione sillogistica di premessa maggiore, premessa minore e conclusione che viene dedotta dalle premesse iniziali. Per contro, gli argomenti pratici coinvolgono un ampio ambito di fattori oltre alle deduzioni formali e devono essere lette con un occhio al loro contesto, all’occasione per la quale sono utilizzati. Piuttosto che mirare a rigorosa consequenzialità, si basano sugli effetti, sui risultati di esperienze precedenti, «trasportando» le procedure usate per risolvere i problemi anteriori e applicandoli alle nuove situazioni problematiche.
La forza degli argomenti dipende, in questo caso, dal grado di somiglianza delle circostanze attuali con i casi precedenti più antichi, per i quali lo specifico argomento era originariamente immaginato. L’argomento giuridico avrebbe forza dimostrativa non nel senso aristotelico della dianoetica [17]
, ma in quello persuasivo [18]
dell’argomentazione pratica orientata alla soluzione del caso. L’applicazione del diritto, insomma, non sarebbe mai governata dal rigore della logica e l’attività del giudice è alla fine quella di calettare il diritto sulle caratteristiche del singolo caso [19]
. Ciò non {p. 74}equivale ad affermare, peraltro, che l’attività interpretativa delle regole sia in sé strutturalmente analogica, basata sul rapporto a simili ad similem. Il rapporto di somiglianza, piuttosto, sarà l’esito del procedimento di qualificazione di un caso in termini corrispondenti ad altro perché sono riscontrate mediante comparazione [20]
le ragioni concrete di quella somiglianza [21]
; ma questa corrispondenza potrebbe non essere ravvisata, appunto qualora il caso sia considerato diverso, dissimile, e perciò da «distinguere» dai precedenti.
Quando dunque il caso concreto, almeno nelle situazioni di interlegalità che qui ci interessano, è proiettato al centro della vita del diritto, devono essere affrontate due questioni fondamentali. La prima, preliminare, attiene al chiarimento concettuale circa la differenza ed il rapporto tra i concetti di fatto e di caso (§ 3.2). La seconda, all’importanza decisiva del racconto, cioè di come sono presi in considerazione e poi selezionati i fatti empirici rilevanti per le qualificazioni giuridiche, al fine di ricostruirli per l’appunto nell’ottica delle diverse qualificazioni possibili, portatrici di prospettive di valore differenti e non di rado contrastanti (anzi, proprio quando contrastanti nasce il vero problema di quale sia il diritto applicabile, cui la prospettiva dell’interlegalità intende offrire il contributo più originale). In proposito, si dovrà accennare anche al ruolo del «contesto» nell’interpretazione
{p. 75}ed applicazione del diritto rilevante (§ 3.3). Infine, ci si soffermerà sulla tecnica di descrizione del «caso» a partire dai fatti, ricorrendo ai suggerimenti formulati da un esponente della linguistica nella prima metà del Novecento (§ 4).
Note
[9] Può trattarsi innanzi tutto di un ordinamento statuale (cfr. ad es. il CLOUD Act statunitense ricordato nel citato saggio di Fiorinelli, p. 417: il provider destinatario di un obbligo di produzione di prove elettroniche disposto da un’autorità statunitense potrebbe presentare una richiesta di annullamento dell’ordine quando questo possa collidere con obblighi contrastanti previsti da uno Stato terzo: cfr. sec 103 (b): «(2) Motions to quash or modify. – (A) A provider of electronic communication service to the public or remote computing service, including a foreign electronic communication service or remote computing service, that is being required to disclose pursuant to legal process issued under this section the contents of a wire or electronic communication of a subscriber or customer, may file a motion to modify or quash the legal process where the provider reasonably believes – (…) (ii) that the required disclosure would create a material risk that the provider would violate the laws of a qualifying foreignment)». Ancora, la rilevanza di più legalità può essere prevista dal diritto sovranazionale (cfr. ad es. art. 45 del regolamento noto come GDPR; inoltre, artt. 15, 16 della Proposta di regolamento del parlamento europeo e del Consiglio relativo agli ordini di produzione e di conservazione di prove elettroniche in materia penale [17.4.2018, COM 2018/225/final]). Può inoltre venire in considerazione un’autorità privata, quando i criteri di azione con i quali essa regola un’attività su scala globale prevedano di considerare situazioni di conflitto con leggi nazionali. Si pensi, quanto al governo della rete Internet, al caso dell’ICANN, che ha emanato un testo di Procedure for Handling WHOIS Conflicts with Privacy Law, in relazione alle questioni che possono sorgere circa la pubblicazione dei dati identificativi di chi registra un dominio in rete.
[10] Ciò può accadere anche nella materia più legata alla sovranità statuale, il diritto penale, ogni qualvolta l’ordinamento straniero sia direttamente o indirettamente preso in considerazione: così accade, ad esempio, quando per la punizione di un fatto commesso all’estero si richieda la cd. doppia incriminazione, cioè ch’esso sia punito anche nel luogo dove è stato commesso; o siano considerate le cause di non punibilità riconosciute dalla lex loci, concretamente prodottesi; o ancora, quando sia espressamente previsto che la pena inflitta e già scontata all’estero per uno stesso fatto sia comunque computata in quella da scontare nello stato che ha proceduto per la seconda volta (cd. Anrechnungsprinzip).
[11] Un’informazione storica di carattere istituzionale, ma completa ed istruttiva (fino al XVIII secolo), in un classico della manualistica di storia del diritto: A. Cavanna, Storia del diritto moderno in Europa, 1: Le fonti e il pensiero giuridico, Milano, Giuffrè, 1982, pp. 479-610.
[12] Nella letteratura in lingua italiana cfr. per tutti U. Mattei, Common Law. Il diritto angloamericano, Torino, Utet, 1999, passim e, quanto al ruolo della giurisprudenza, con le puntuali distinzioni fra Stati Uniti e Inghilterra, pp. 214 ss. Per una originale ricostruzione dell’evoluzione storica ottocentesca (nel diritto privato nordamericano) cfr. P. Karsten, Heart versus Head: Judge-made Law in Nineteenth-century America, Chapel Hill, The University of North Carolina Press, 1997, nel quale si sottolinea piuttosto la continuità degli atteggiamenti interpretativi che la creatività da parte dei giudici («continuity, not change, characterized the “creative era.”» [ibidem, cap. I, in fine]).
[13] Cfr. una frase conosciuta di Felix Frankfurter, giudice della Corte Suprema statunitense tra il 1939 ed il 1962: «I was indiscreet enough to say that I don’t care what their [of a legislature] intention was. I only want to know what the words mean» (F. Frankfurter, Some reflections on the Reading of Statutes, in «Columbia Law Review», 47, 1947, pp. 527 ss.: 538); nonché O. Wendell Holmes, Collected Legal Papers, New York, Harcourt, 1920. Sulla distinzione fra «textualism» e «literalism» cfr. le spiegazioni di A. Scalia, A Matter of Interpretation. Federal Courts and the Law, Princeton, Princeton University Press, 1997, pp. 23 ss.
[14] Cfr. in particolare C. Ginzburg e L. Biasiori (a cura di), A Historical Approach to Casuistry. Norms and Exceptions in a Comparative Perspective, London, Bloomsbury Academic, 2018.
[15] Cfr. ad es., nel contest della riflessione sulla prassi decisionale dei tribunali penali internazionali, H. van der Wilt, Equal Standards? On the Dialectics between National Jurisdictions and the International Criminal Court, in «International Criminal Law Review», 8, 2008, pp. 229 ss.
[16] A.R. Jonsen e S.E. Toulmin, The Abuse of Casuistry. A History of Moral Reasoning, Oakland (CA), University of California Press, 1988, pp. 34-35.
[17] L’ordine di conoscenza di tipo dianoetico o discorsivo consiste nel concatenare fra loro gli oggetti della conoscenza mediante giudizi ed argomentazioni (vi appartiene ad es. il principio di non contraddizione; quello di identità appartiene alla conoscenza noetica, cioè intuitiva ma non oggetto di dimostrazione).
[18] Cfr. A. Garapon, Les juges dans la mondialisation: la nouvelle révolution du droit, Paris, Seuil, 2005 (su cui cfr. comunque le considerazioni critiche di Delmas-Marty, Recensione, cit.).
[19] Cfr. M. Cupido, Facing Facts in International Criminal Law, in «Journal of International Criminal Justice», 14, 2016, pp. 1 ss.: 6; cfr. anche D. Jacobs, Positivism and International Criminal Law: The Principle of Legality as a Rule of Conflict of Theories, in J. d’Aspremont e J. Kammerhofer (a cura di), International Legal Positivism in a Post-Modern World, Cambridge, Cambridge University Press, 2014, pp. 451 ss.; J.-L. Halpérin, Profils des mondialisations du droit, Paris, Dalloz, 2009, pp. 275-285, «the casuistic process of analogical reasoning require that courts justify their findings with reference to the assessment of facts underlying previous cases».
[20] «The method of casuistry consists of comparing concrete situations and cases, in order to decide, by inductive reasoning, whether they are governed by the same moral or legal principle» (van der Wilt, Equal Standards?, cit., p. 265). Cfr. anche Id., Domestic Courts’ Contribution to the Development of International Criminal Law: Some Reflections, in «Israel Law Review», 46, 2013, n. 2, pp. 207 ss.: 220-224.
[21] Su questo aspetto si può vedere M. Grabmair e K.D. Ashley, Facilitating Case Comparison Using Value Judgments and Intermediate Legal Concepts, in ICAIL’11 (Proceedings of the 13th Int’l Conference on Artificial Intelligence and Law), New York, ACM, 2011, pp. 161-170.