Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c3
Solo in secondo luogo, per quanto in termini del tutto conseguenti, essa costituisce un criterio regolativo dell’attività del giudice che si trovi a giudicare fatti definendo, in base alle plurime qualificazioni, il «caso» da decidere. Centro dell’interesse epistemologico dell’interlegalità non è la natura dell’attività giudiziale – se essa sia creativa o meno della regola del caso concreto – invece tradizionalmente oggetto delle riflessioni di teoria del diritto (generale, od all’interno di singole discipline quali il diritto penale, forse la più problematica di fronte a questi atteggiamenti) [49]
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Né, si deve aggiungere, interessa in quanto tale il «caso giurisprudenziale» se inteso come fonte di cognizione della «realtà» di un ordinamento giuridico dato, nel quale il formante giurisprudenziale sia, come si è detto sopra, una fonte primaria al cospetto delle regole di fonte legislativa. Il termine «caso», in quella prospettiva, è in realtà sinonimo di decisione giudiziale, indipendentemente dall’esigenza di specificare ulteriormente se essa – in particolare, nella logica del suo eventuale valore come precedente vincolante – sia intesa restrittivamente, cioè con riferimento alla sola ratio decidendi od «holding», oppure presa in considerazione nel suo complesso [50]
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La decisione ed il suo esito sono invece relativamente indifferenti – auf die Spitze getrieben: cioè, detto con qualche punta di estremismo – per la categoria dell’interlegalità, interessata piuttosto al modo in cui si costruisce il caso a partire dal fatto e dalle fonti, riconosciute come fonti a prescindere dal momento applicativo: essa è centrata, come si è cercato di spiegare, sul caso della regola (delle regole). Dev’essere chiaro, infatti, che nelle situazioni interlegali non rileva tanto l’ordinamento in cui esse si producono, ma, per l’appunto, la pluralità di ordinamenti che quelle situazioni di fatto, per così dire, portano con sé all’interno di esso. L’interlegalità rovescia, in definitiva, la tradizionale rappresentazione del rapporto tra regola e oggetto da disciplinare: dalla regola per il caso al caso della regola.
Note
[49] Quanto al diritto penale, è noto che il principio di legalità (statuale) sembra esprimerne il carattere idiosincratico rispetto al tema della creatività del giudice. Ma è discussione aperta; nella letteratura italiana mi limito ad indicare lo studio di O. Di Giovine, L’interpretazione nel diritto penale. Tra creatività e vincolo alla legge, Milano, Giuffrè, 2006, e la letteratura ivi citata; inoltre, con diverse sfumature, M. Donini, Fattispecie o «case law»? La «prevedibilità del diritto» e i limiti alla dissoluzione del diritto penale nella giurisprudenza, in «Questione Giustizia», 2018, n. 4, pp. 79 ss.; V. Manes, «Common law-isation» del diritto penale? Trasformazioni del «nullum crimen» e sfide prossime future, in «Cassazione penale», 2017, pp. 955 ss.
[50] Per il significato di queste sfumature, soprattutto nel contesto della moderna dottrina del precedente, cfr. Mattei, Common Law, cit., spec. pp. 235 ss.