Andrea M. Maccarini (a cura di)
L'educazione socio-emotiva
DOI: 10.1401/9788815370327/c6

Capitolo sesto Breve sintesi: insegnanti, stili educativi e competenze socio-emotive
di Giulia Maria Cavaletto (parr. 1 e 2) e Andrea M. Maccarini (par. 3)

Notizie Autori
Giulia Maria Cavaletto insegna Metodologia della ricerca sociale nell’Università di Padova e Sociologia dell’educazione nell’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni recenti: Emerging Platform Education? What Are the Implications of Education Processes’ Digitization? (2020), Overcoming the STEM Gender Gap. From School to Work (2020), Democrazia. Le sfide del presente tra rappresentanza e partecipazione (2020).
Notizie Autori
Andrea M. Maccarini insegna Sociologia nell’Università di Padova. È autore, tra l’altro, di Deep Change and Emergent Structures in Global Society (2019) e di Lezioni di sociologia dell’educazione (2003).
Abstract
Dopo aver preso in esame singolarmente gli istituti presentati nel terzo, quarto e quinto capitolo si giunge, qui, ad una sintesi che mira a comprendere le dinamiche che intercorrono tra i vari ambienti di apprendimento, e quindi i contesti scolastici, i vari stili educativi e lo sviluppo delle competenze socio-emotive. In particolar modo si tiene conto della figura del docente e delle metodologie di insegnamento da esso adottate, oltre che del ruolo ricoperto nella mediazione tra ambiente scolastico e ambiente domestico-famigliare. A tal proposito è preliminarmente necessario operare una riflessione in merito ai criteri utilizzati per la classificazione e per l’analisi dei vari stili di insegnamento.
Ogni studente suona il suo strumento, non c’è niente da fare. La cosa difficile è conoscere bene i nostri musicisti e trovare l’armonia. Una buona classe non è un reggimento che marcia al passo, è un’orchestra che prova la stessa sinfonia.
Pennac [2008]

1. Dove e con chi? La classe come spazio educativo

In questo capitolo traiamo alcune considerazioni di sintesi rispetto agli ambienti di apprendimento e in particolare agli stili educativi, basate sugli studi di caso svolti nei precedenti capitoli 3, 4 e 5. In particolare, si dà qui una formulazione più sistematica al nesso tra stili d’insegnamento e SES, che è emerso nei casi in questione.
La classe è un luogo fisico e simbolico, popolato di attori sociali con diversi ruoli e diverse finalità, nonché reciproche interazioni. In questo luogo prendono forma relazioni educative: non a caso la letteratura parla al riguardo di spazio educativo, nel quale si definiscono legami e relazioni significative tra docenti e alunni, nonché tra alunni [Genovese e Kanizsa 2002; Bronfenbrenner 2002]. Affinché tali relazioni possano prendere forma è necessario che s’inneschi una motivazione, un orientamento verso un obiettivo, una premura verso qualcosa che sta a cuore, il che vale tanto per gli alunni quanto per i docenti [Pintrich e De Groot 1990; McCann e Garcia 1999].
In questo spazio educativo un ruolo chiave è attribuito al docente, la cui efficacia si definisce attraverso diverse {p. 198}dimensioni: dal suo essere una figura-guida per gli studenti alla sua autorevolezza nei confronti delle famiglie, dalla capacità di agire sulla motivazione alla capacità di insegnare con un certo stile [Shadbolt 1978; Dunn e Dunn 1992; 1993; Fleming 2001]. Tutte queste dimensioni sottendono un progetto che sia al contempo educativo e didattico, ossia includa in sé una dimensione cognitiva, legata agli apprendimenti e al curricolo, e una dimensione affettiva, relazionale e sociale [Canter 2010].
Queste considerazioni introducono il modello di insegnamento che trova spazio all’interno delle pratiche didattiche osservate nella nostra indagine. Con gradazioni e accenti diversi, si tratta di un modello fondato sullo scambio di conoscenze, sulla costruzione di senso realizzata da tutti coloro che partecipano allo stesso spazio educativo. In tale spazio il docente costruisce con gli studenti «saperi circolanti» [Besozzi 2010] che prendono forma attingendo ad ambienti e risorse differenti, anche extrascolastiche; adotta una nuova didattica fondata su apprendimenti per prova ed errore, scoperta, cooperazione; attiva nuovi processi mentali che vadano oltre la semplice memorizzazione (ne sono un esempio le strategie di associazione, esplorazione, ecc.); infine, mette in campo nuove competenze, e tra queste un posto chiave spetta alle SES.
Esempi delle nuove metodologie «attive» in classe sono, appunto, l’apprendimento cooperativo [Francescato, Putton e Cudini 2001], la peer education [Mennarini 2005; Venza, Grassi e Mandolà 2007], e non da ultimo l’educazione socio-emotiva.
Lo spazio educativo è situato in un ambiente peculiare; viene definito ambiente di apprendimento in quanto:
è composto da un insieme di attori, uno spazio, un setting specifico, da tempi di operatività, da una serie di regole e vincoli, di attività e compiti, da un set di strumenti e artefatti, ma anche sistemi di significato, insieme di relazioni, aspettative, emozioni. In questo senso l’ambiente di apprendimento è appositamente progettato e costruito in relazione a specifici obiettivi formativi, ma può essere continuamente ristrutturato in relazione alla qualità {p. 199}del processo di apprendimento realizzato o ad altri elementi di valutazione che il progettista decide di considerare [Falcinelli, Gaggioli e Capponi 2016, 243].
Nella maggior parte delle situazioni scolastiche l’insegnante non è solo con la sua classe nella gestione di questo compito e nella definizione di questo ambiente: anche nella scuola primaria vige ormai in modo prevalente il modello del team docente. Dunque, il clima di classe e la costruzione dello spazio educativo sono anche l’esito di un’interazione tra docenti. Le riflessioni di Perrenoud [1998], Tardif e Lessard [1999] e di Friend e Cook [2000] avevano messo a tema proprio queste relazioni all’interno del corpo docente, qualificandole come condizionanti rispetto agli esiti degli apprendimenti, di qualsiasi tipo di apprendimento si tratti, cognitivo e non cognitivo. Dalla collaborazione tra docenti come semplice scambio di opinioni alla collaborazione come coordinamento di pratiche per arrivare alla collaborazione come assunzione di responsabilità condivise su una classe: ognuna di queste prassi che qualifica la relazione interna al team docente avrà ricadute su ciò che accade dentro l’aula e negli altri contesti in cui si estendono le relazioni educative.
È quindi evidente che l’insegnante è una figura centrale nei processi educativi non soltanto legati al curricolo. Operativamente, il suo agire prende forma attraverso quelli che sono stati definiti gli stili di insegnamento, ossia i modi in cui sta in aula, in cui interagisce, motiva, sanziona la classe.
La definizione di che cosa sia uno stile di insegnamento è peraltro cosa complessa. In prima istanza, è possibile qualificarlo come un insieme di atteggiamenti, relazioni, comportamenti, interpretazioni del ruolo da cui deriva il «come» si insegna e si sta in classe. Dunque, nello stile convergono aspetti didattici in senso stretto e aspetti relazionali, comunicativi, psicologici ed emotivi.{p. 200}

2. Insegnanti e classi: stili d’insegnamento e competenze socio-emozionali

Come sono stati concettualizzati gli stili osservati nel nostro studio? Le osservazioni illustrate nei capitoli 3, 4 e 5 sono state interpretate alla luce di un corpus di conoscenze sul tema, che qui possiamo solo delineare brevemente come parte del nostro itinerario di lavoro, senza avere l’obiettivo di discuterle analiticamente.
Anzitutto, abbiamo tenuto presente che stili di insegnamento e stili di apprendimento sono tra loro correlati. Non esiste uno stile di insegnamento che possa essere universalmente valido; saranno sempre richiesti adattamenti, modifiche, aggiustamenti in base alla classe che si ha di fronte. Se ci affidiamo al filone di ricerca [Mariani 2000] che definisce gli stili di apprendimento come l’approccio all’apprendimento preferito da una persona, il suo modo tipico e stabile di percepire, elaborare, immagazzinare e recuperare le informazioni [Carbo, Dunn e Dunn 1986; Mariani 2000], comprendiamo immediatamente come essi siano socialmente, istituzionalmente e culturalmente connotati, e quindi siano dinamici e capaci di adattarsi ai diversi contesti. Analogo argomento vale quindi per gli stili di insegnamento, qualificando in tal modo le strategie didattiche che un docente (o un team docente) adotta. Ogni stile di insegnamento produrrà effetti sia sul clima di classe, sia sugli apprendimenti.
Quanto alla classificazione, la letteratura al riguardo individua due stili prevalenti: il learner-centred approach e il teacher-centred approach. Il primo si focalizza sull’apprendimento dello studente, è basato sulla collaborazione, sull’apprendimento cooperativo [Comoglio 1998], la co-costruzione della conoscenza tramite la discussione [Ajello, Pontecorvo e Zucchermaglio 2004] e la trasformazione della classe in una comunità di allievi [Brown e Campione 1994]. Il secondo approccio rimanda invece a un processo di apprendimento gestito esclusivamente e unilateralmente dall’insegnante, che trasmette nozioni, concetti e saperi.{p. 201}
Accanto a questa prima macroclassificazione molte altre ne sono state prodotte, con attenzione ad aspetti specifici dell’interazione in aula, o della didattica o della comunicazione [Altavilla e Raiola 2017]. D’interesse è il riferimento al «triangolo pedagogico», inteso come articolazione tra insegnante-alunno-disciplina [Houssaye 1998]. È certamente ormai lontano un modello educativo didattico esclusivamente fondato sulla capacità dell’insegnante di mantenere la disciplina; l’orientamento prevalente va oggi invece in direzione della conoscenza profonda dei propri studenti, della motivazione loro offerta nelle attività didattiche, della crescita individuale e dell’apprendimento [Tuffanelli e Ianes 2011].
Ma è il contributo offerto da Lewin, Lippitt e White [1939] – che a tutt’oggi trova ambiti di applicazione sia nel contesto educativo in senso stretto, sia in quello organizzativo manageriale – a essere di particolare interesse per noi. La ricerca di questi autori era volta a individuare gli effetti di tre tipi di stili di leadership dei docenti sul clima di classe di un gruppo di ragazzi dai 10 agli 11 anni. I tre stili sono denominati: autoritario, democratico e permissivo o del laissez faire. Con il primo si fa riferimento a uno stile in cui il docente stabilisce unilateralmente attività, tempi e modi di realizzazione, assegna il lavoro agli alunni, determina attività e gestisce il gruppo; nel secondo il docente incoraggia e aiuta sia i singoli, sia il gruppo, agevola e incoraggia la discussione, lascia autonomia nella divisione dei compiti e nell’organizzazione del lavoro; infine nell’ultimo il docente lascia al gruppo la libertà completa di decidere rispetto a mezzi e fini, non interviene nelle dinamiche di gruppo, si esprime solo se sollecitato. Quello studio mise l’accento sul ruolo del leader (in qualsiasi contesto) nella creazione di un clima sociale di gruppo. Tale clima ha effetti sul gruppo nella sua totalità e su ciascuno dei componenti, determinandone i risultati. Gli esiti della ricerca indicarono che lo stile migliore era quello democratico, sia sotto il profilo dell’autonomia e del morale del gruppo, sia per quanto riguardava l’efficienza e la produttività. Più recentemente, Serafini [2002] ha proposto di considerare tre tipi d’insegnante, non difformi
{p. 202}dal modello di Lewin e colleghi: l’insegnante-compagno, connotato come figura incoraggiante, affettuosa che pone l’enfasi sul gioco e il piacere; l’insegnante-sperimentatore, qualificato come colui/colei che insegna a studiare, a fare ricerca, a sperimentare, quindi orientato più al metodo che al contenuto; e infine l’insegnante-guida, descritto come colui/colei che insegna con sistematicità, che intrattiene con gli allievi un rapporto distaccato, rigido, autoritario. Un ulteriore contributo in sintonia con quelli appena menzionati può essere desunto dalla classificazione proposta negli anni Novanta da Kellerhals e Montandon [1991; 1992]: gli stili maternalista, autoritario e autorevole-contrattualista venivano definiti dalle autrici sulla base della maggiore presenza in essi di funzioni espressive o strumentali – intendendo con le prime riferirsi a relazioni fondate sull’emotività, l’affetto, l’empatia; le seconde invece sono funzionali in senso materiale al raggiungimento di un risultato, sono operative, concrete, ma non sono fini in sé. Quest’ultima tassonomia era stata originariamente intesa – almeno in forma prevalente – come relativa alle relazioni genitori-figli. Tuttavia, in ragione della crescente delega da parte della famiglia alla scuola anche del compito educativo e di socializzazione normativa, oltre che didattico, abbiamo ritenuto utile e legittimo importare questo contributo anche nell’ambito degli stili di insegnamento in ambito scolastico. È dunque a queste distinzioni che il nostro lavoro si è ispirato, non in modalità deduttiva, cioè partendo dalle tipologie e cercando di verificarne la presenza nei record della nostra ricerca, ma piuttosto come forme concettuali che sono apparse particolarmente adeguate a interpretare coerentemente i dati delle nostre osservazioni.