Giorgia Pavani, Stefania Profeti, Claudia Tubertini
Le città collaborative ed eco-sostenibili
DOI: 10.1401/9788815410221/c1

Capitolo primo Comparare al tempo delle Cities

Abstract
Studiare le città da una prospettiva comparata significa confrontarsi con nuovi approcci metodologici e rivedere l’impostazione stato-centrica di alcune categorie tradizionali della distribuzione territoriale del potere. I criteri e gli elementi determinanti per denominare le città hanno caratteristiche prevalentemente extra-giuridiche e le categorie in uso sono state elaborate da studiosi di discipline non giuridiche: le scienze dure (l’informatica, l’ingegneria), l’economia, la scienza politica hanno identificato le città nel loro divenire, etichettandole come smart, green, sharing, collaborative, human rights, circular… Nella cornice teorica del right to the city stanno proliferando varie pratiche di collaborazione tra pubblica amministrazione, cittadini e altre organizzazioni e formazioni sociali che operano sul territorio. Queste pratiche si basano sulla logica della condivisione di beni e servizi e sulla dottrina dei beni comuni. Frequentemente esse sono agevolate dall’uso delle tecnologie digitali, talvolta sorgono come risposta all’impatto della sharing/collaborative economy sul contesto urbano. Nel modello sharing city i governi locali agiscono come sostenitori e facilitatori dei soggetti (singoli o organizzazioni) che operano nel campo della sharing economy per promuovere pratiche innovative nel tessuto economico urbano. La sharing city trae linfa dall’analisi empirica; si caratterizza per la spontaneità delle proposte innovative delle città che vengono studiate con un approccio bottom-up. Sull’onda del fenomeno della sharing economy sono state elaborate alcune Dichiarazioni con le quali i sindaci delle città firmatarie esprimono l’intenzione di collaborare per arginare, controllare, intercettare gli effetti dell’economia di piattaforma che si riversano sul territorio e sulla cittadinanza urbana. Con queste Dichiarazioni, le città si impegnano a promuovere politiche pubbliche solidali, di sostegno alle imprese, alle attività di piattaforma e alla difesa dell’ambiente, assieme a protocolli digitali nel rispetto della normativa locale. Il carattere «rivoluzionario» di questo modo di fare amministrazione, basato sul diverso rapporto fra politica, amministrazione e cittadini rompe con il passato portando da un «rapporto fra le istituzioni ed i cittadini di tipo verticale, bipolare, gerarchico ed unidirezionale ad uno orizzontale, multipolare, paritario e circolare». Per questi motivi, per il diritto comparato, si tratta di qualcosa di più di un «quarto modello di attività amministrativa» che, nel diritto interno, ben può essere analizzato a fianco dell’attività autoritativa, consensuale e di diritto privato della pubblica amministrazione.

1. Premessa

Studiare le città da una prospettiva comparata significa confrontarsi con nuovi approcci metodologici e rivedere l’impostazione stato-centrica di alcune categorie tradizionali della distribuzione territoriale del potere.
La prima sfida è offerta proprio dall’oggetto di studio: la città. Questa entità, storicamente rilevante sotto il profilo giuridico nel contesto europeo, con l’affermazione degli Stati moderni è stata sostituita da un ente amministrativo autonomo, ma interno agli stessi ordinamenti statuali – il comune – ed è attualmente pressoché assente nella maggior parte dei diritti positivi statali.
La dottrina giuspubblicistica – con un certo ritardo rispetto alle altre scienze sociali – ha manifestato interesse per la dimensione urbana [1]
, investigando alcuni fenomeni globali, come la «megacity» [2]
, nella prospettiva del diritto costituzionale ed è giunta a distinguere, sul piano concettuale, tra l’ente {p. 14}
locale a più stretto contatto con la comunità – generalmente il comune – e la città, intesa come nuovo soggetto politico-istituzionale [3]
.
Riconoscere quindi «un senso giuridico alle città, che superi la dimensione del solo ente amministrativo» [4]
e definirla «as unique socio-economic and political space» [5]
, comporta un cambio di paradigma nello studio del diritto degli enti locali per approdare allo studio del diritto delle città [6]
.
Nella prospettiva del diritto comparato, ciò significa analizzare fenomeni in divenire con strumenti di indagine diversi da quelli normalmente utilizzati per studiare e classificare entità che presentano una certa staticità e sono riconducibili a categorie normative (come sono gli enti locali). Comporta anche passare da una comparazione fra diritti positivi statali, basata sulla classica impostazione dello studio dei rapporti tra livelli di governo nella logica delle competenze amministrative e normative, a un’analisi per formanti [7]
, con una preponderanza di quello dottrinale e una particolare attenzione al soft law. Non da ultimo, significa passare da una comparazione degli ordinamenti giuridici locali, riuniti nei principali modelli di local government, a una comparazione basata sulle categorie dottrinali (§ 2), che riflettono {p. 15}il ruolo assunto dalla città nelle relazioni internazionali, nelle Agende europee (§ 3) e nel rapporto con la propria comunità (§ 4).

2. Le categorie dottrinali

Il comparatista che si appresta a classificare solitamente si imbatte non solo nel «problema di selezionare il materiale e di raggrupparlo», ma pure in quello di «assegnare un nome alle classi identificate» [8]
. Nello studio delle città ciò risulta particolarmente vero e complesso.
I criteri e gli elementi determinanti per denominare le città hanno caratteristiche prevalentemente extra-giuridiche e le categorie in uso sono state elaborate da studiosi di discipline non giuridiche: le scienze dure (l’informatica, l’ingegneria), l’economia, la scienza politica hanno identificato le città nel loro divenire, etichettandole come smart, green, sharing, collaborative, human rights, circular… Ciò spiega i vari tentativi da parte dei giuristi di individuare un quadro normativo specifico per alcune categorie di città [9]
, in primis la smart city [10]
.
Se si vuole intraprendere un’analisi di diritto comparato, occorre dunque confrontarsi con metodi di indagine propri di altre scienze, sperimentandone i modelli predittivi in un’ottica prescrittiva, come nel caso delle co-cities, caratterizzate da un modo nuovo di fare amministrazione, nato da esperienze locali, ora divenuto oggetto di disciplina da parte dei livelli superiori di governo (v. cap. 2, §§ 5 e 6).{p. 16}
Da un lato, lo studio delle città si presta naturalmente alla comparazione, se non altro per il crescente interesse per la misurazione delle performances delle città e l’importanza assunta dai ratings nell’attribuzione di finanziamenti. Dall’altro, l’intento classificatorio è reso particolarmente arduo da elementi prevalentemente non giuridici e dalla dinamicità degli oggetti da classificare, tanto che, con riferimento alla smart city – ma il ragionamento è estendibile anche alle altre categorie, sebbene meno consolidate in dottrina – la comparazione
si allarga a dismisura ed il concetto assume una valenza totalizzante, o meglio la sua interdisciplinarietà è talmente ampia da sfumare in una onnicomprensività suggestiva ma sfuggente, in cui la modellistica, sia essa meramente esplicativa, predittiva o addirittura precettiva, finisce col perdere comprensibilità [11]
.
Nei tentativi di classificazione occorre osservare attentamente l’oggetto di studio e selezionare la tecnica più idonea, per non vanificare l’utilità dell’operazione stessa che risiede proprio nel potenziale analitico di una classificazione.
Il diritto comparato oggi offre strumenti ulteriori rispetto alla classica tecnica classificatoria per contrapposizione (a classi rigide, che produce un risultato dicotomico), utilizzata anche da chi, negli studi sulle città, pioneristicamente, ha proposto nuove tassonomie (v. infra, § 2.2) o cerca di delineare la fisionomia delle aggregazioni urbane rispetto a fenomeni economici e sociali diversi (es. «città santuario» vs «città globali»).
Le città si prestano a ricevere più di una etichetta e se misurare – e classificare – gli oggetti di studio sulla base di una sola categoria presenta le difficoltà summenzionate, meglio evitare le contrapposizioni e procedere con classi sfumate, dai contorni vaghi, capaci di identificare una città come più o meno green, più o meno smart, ecc., sulla base delle policy perseguite.
Come sosteniamo in questo volume, infatti, a livello locale, l’implementazione di qualunque documento normativo {p. 17}o di soft law, che concorre a delineare il profilo di una città, richiede la collaborazione tra l’amministrazione pubblica e la comunità, attenuando quindi la rigidità delle classi, a favore di una città sempre collaborativa e più o meno circolare, green, smart, human rights... Una città che interviene anche su tematiche estranee a quelle corrispondenti alle tipiche competenze amministrative assegnate dai livelli superiori di governo, come dimostra la human rights city, scelta come prima categoria da analizzare, proprio per il suo carattere innovativo e la sua capacità di racchiudere, in una definizione, le potenzialità (e le ambizioni) delle città.

2.1. Human Rights city: promuovere e attuare i diritti umani a livello locale

Il processo di internazionalizzazione dei diritti dell’uomo, come noto, ha consentito di riconoscere e tutelare – mediante una serie di meccanismi di protezione internazionale – i valori della persona umana e di elevarli a una dimensione sovranazionale.
A partire dalla Carta delle Nazioni Unite di San Francisco del 1945 e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, la maggior parte degli Stati continua a sottoscrivere trattati e convenzioni che concorrono a consolidare la natura universalistica di quei diritti, caratteristica tanto sostenuta da una parte rilevante della dottrina pubblicistica [12]
.
Sia la fase ascendente di elaborazione e di firma, sia quella discendente di attuazione di tali atti internazionali continuano formalmente a restare un mero appannaggio del livello statale; gli stessi trattati raramente vincolano soggetti ulteriori rispetto agli Stati firmatari [13]
, lasciando alla normativa interna i rapporti tra Stato centrale ed enti territoriali.
{p. 18}
Note
[1] Come scrivono i curatori «questo Annuario si colloca in un corpus di opere in erba che mira a restituire alle città la capacità di meritare una seria attenzione scientifica nel campo del diritto costituzionale (comparato)»: M. De Visser, E. Hirsch Ballin, G. van der Schyff e M. Stremler, Introduction: The City as a Multifaceted and Dynamic Constitutional Entity, in E. Hirsch Ballin, G. van der Schyff, M. Stremler e M. De Visser (a cura di), European Yearbook of Constitutional Law 2020. The City in Constitutional Law, Berlin, Springer, 2021, p. 3.
[2] Un nuovo paradigma territoriale per R. Hirschl, City, State: Constitutionalism and the Megacity, Oxford, OUP, 2020.
[3] J.B. Auby, The role of law in the legal status and powers of cities, in «Italian Journal of Public Law», n. 2/2013, pp. 302-306; T. Font i Llovet, De la autonomía local al poder de las ciudades, in «Istituzioni del Federalismo», numero speciale 2019, p. 123; J.B. Auby, El papel de la ciudad como nuevo sujeto político institucional, in «Anuario del Gobierno Local», n. 1/2019 e i riferimenti bibliografici ivi contenuti.
[4] F. Giglioni, Verso un diritto delle città. Le città oltre il comune, in E. Carloni e F. Cortese (a cura di), Diritto delle autonomie territoriali, Milano, Wolters Kluwer, 2020, p. 269.
[5] E. Arban, Constitutional Law, Federalism and the City as a Unique Socio-economic and Political Space, in Hirsch Ballin, van der Schyff, Stremler e De Visser (a cura di), European Yearbook of Constitutional Law 2020, cit., pp. 326 ss.
[6] J.B. Auby, Droit de la ville, Paris, Lexisnexis, 2013; F. Cortese, Il nuovo diritto delle città: alla ricerca di un legittimo spazio operativo, in G.F. Ferrari (a cura di), Smart city. L’evoluzione di un’idea, Milano-Udine, Mimesis, 2020, pp. 79 ss.
[7] R. Sacco, Legal Formants: A Dynamic Approach to Comparative Law, in «The American Law Journal of Comparative Law», n. 2/1991, pp. 343 ss.
[8] L. Pegoraro e A. Rinella, Introduzione al diritto pubblico comparato. Metodologie di ricerca, Padova, Cedam, 2022, p. 57.
[9] Si veda a titolo esemplificativo, il monografico n. 4/2015 di «Istituzioni del Federalismo», dedicato a «Smart cities e amministrazioni intelligenti». Sono invece orientati a descrivere il fenomeno delle smart cities con diversi approcci disciplinari i tre volumi curati da G.F. Ferrari citati nelle prossime pagine.
[10] La quale, visto il focus del presente volume, non sarà analizzata come categoria a sé, né come paradigma scientifico, ma saranno richiamate le dimensioni e le finalità della smartness quando necessarie a identificare le città collaborative ed eco-sostenibili.
[11] G.F. Ferrari, Smart city: l’evoluzione di un’idea, in Ferrari (a cura di), Smart city, cit., pp. 13-14.
[12] Per un approccio critico alla categoria dei diritti fondamentali: L. Pegoraro, Diritto costituzionale comparato e uso connotativo di “diritti”, in AA.VV., Studi in onore di Claudio Rossano, Napoli, Jovene, 2013, vol. I, pp. 423-439.
[13] Nel Convention on the Rights of the Child del 1989 vari soggetti sono vincolati: «public or private social welfare institutions, courts of law, administrative authorities or legislative bodies» (art. 3).