Giorgia Pavani, Stefania Profeti, Claudia Tubertini
Le città collaborative ed eco-sostenibili
DOI: 10.1401/9788815410221/c1
Per gli enti locali, invece, le attività di paradiplomazia si collocano necessariamente al di fuori delle competenze amministrative attribuite loro in via legislativa. Essendo però la paradiplomazia sempre più orientata verso i bisogni dei cittadini, essa trae legittimazione proprio dalla vocazione degli enti locali come quelli più a contatto con la comunità, sempre
{p. 38}pronti a farsi portavoce delle nuove esigenze e, in un mondo globalizzato, a sperimentare nuove politiche a beneficio della popolazione, anche in collaborazione tra loro (come ben affermato dall’ex Sindaco di New York Mike Bloomberg)
siamo il livello di governo più vicino alla maggioranza della popolazione mondiale. Siamo direttamente responsabili del loro benessere e del loro futuro. Così, mentre le Nazioni parlano, ma troppo spesso procedono lentamente, le città agiscono [70]
.
Se il fattore economico e lo sviluppo tecnologico hanno contribuito alla rinascita delle relazioni internazionali tra città, che dialogano tra di loro o con enti sub-statali, l’ambizione di estendere gli interessi a tematiche tipicamente statali, come la protezione dei diritti individuali e collettivi, mediante l’implementazione di Dichiarazioni e Carte su temi ambientali e sulla tutela dei diritti umani è in crescente aumento (v. supra § 2.1 e 2.3). Lo testimonia il tentativo di elevare a livello internazionale, portando all’interno dell’ONU, il dibattito sul riconoscimento dell’autonomia locale nelle Costituzioni statali. In questa ottica va interpretata la proposta – non andata a buon fine – di una World Charter of Local Self-Government, ispirata alla Carta Europea delle Autonomie Locali approvata in seno al Consiglio d’Europa nel 1985.
Questi e altri tentativi di agire a livello internazionale sono aumentati da quando gli enti locali si sono affrancati dai rispettivi Stati nella partecipazione a summit internazionali su tematiche di forte impatto territoriale. La svolta risale al 1996, durante Habitat II, la seconda United Nations Conference on Human Settlements, quando a Istanbul i delegati degli enti locali non sono stati accreditati come rappresentanti ufficiali degli Stati, né come agenti non governativi, ma come membri delle loro associazioni, facenti parte della comunità di soggetti associati alle Nazioni Unite (consolidatasi poi nel 2000 con la creazione di UNACLA, il Comitato consultivo degli enti locali delle Nazioni Unite).{p. 39}
Oltre al profilo funzionale, la crescente attività internazionale delle città tocca anche il piano organizzativo degli enti: alcune grandi città hanno optato per dividere le attività internazionali tra uffici interni al gabinetto del sindaco e uffici del livello superiore di governo (es. Montréal si avvale del Bureau des affaires internationales institutionnelles e del Equipe d’affaires économiques internationales), altre si affidano ad agenzie esterne alla macchina comunale (es. la Agencia de cooperación e inversión di Medellín y el Área Metropolitana o alcune businnes agencies di supporto alle attività commerciali come a Milano e New York).
Ugualmente, associazioni nazionali di sindaci e di governatori si sono moltiplicate (es. US Conference of Mayors; National League of Cities; Frente Nacional de Prefeitos, in Brasile; Associação Nacional de Municípios Portugueses, ecc.), così come le reti internazionali (ricordiamo le principali: Eucities; il già menzionato United Cities and Local Governments (UCLG), promotore di Carte dei diritti umani a livello urbano; Sustainable Cities and Towns Campaign; Local Governments for Sustainability (ICLEI); Covenant of Mayors for Climate and Energy).

3.2. Solidarietà, digitalizzazione e condivisione nelle Cities Declarations e nei Cities Agreements

Uno dei risultati più tangibili delle relazioni internazionali intraprese tra città appartenenti a Stati e a continenti diversi è rappresentato dal numero crescente di documenti collegiali (Carte e Dichiarazioni) e di accordi bilaterali, sottoscritti spesso in occasione di summit, per suggellare la collaborazione con il mondo produttivo, il settore della ricerca scientifica e la società civile.
Questi documenti si rivelano un interessante strumento di soft law in grado di orientare le politiche pubbliche urbane su svariate tematiche: alcune corrispondono a competenze tipicamente locali (es. i servizi pubblici di trasporto o i servizi sociali); altre emergenti (la sovranità digitale e il rapporto con le piattaforme digitali); altre ancora formalmente estranee alle competenze degli enti locali, ma ancor più rilevanti nelle {p. 40}città eco-sostenibili. Infatti, le città sono sempre più portate a farsi carico di problematiche non regolate a livello statale o sub-statale che emergono da quel sharing ecosystem, dove pubblico e privato si avvicinano continuamente e agiscono alla pari.
Orbene, il comune si è sempre presentato come un collante delle esigenze che generano dalla società: è l’ente chiamato a risolvere le problematiche che, prima facie, nascono dai bisogni della collettività; diventa l’interlocutore privilegiato dei singoli come delle formazioni sociali e, talora, assume la veste di intermediario tra tali soggetti e lo Stato centrale, proponendo soluzioni o esponendo i problemi che permeano dal tessuto sociale. Da un lato, si fa promotore di nuove istanze e, dall’altro, appronta soluzioni anche in assenza di un quadro normativo-istituzionale di riferimento, mostrando i governi locali una maggiore capacità innovativa rispetto ai governi centrali [71]
. Storicamente, a livello locale si sono introdotte e sperimentate per la prima volta innovative politiche pubbliche (ripercorrendo la storia pensiamo al caso del Comune di Milano, che già a fine Ottocento, in assenza di precise disposizioni legislative ha anticipato di molto alcuni tipi di intervento urbanistico e sociale, quali il servizio di distribuzione del gas, dell’acqua potabile, della rete tranviaria, oltre ad alcuni interventi nel campo del lavoro).
La novità, nell’era della sharing economy, è che il «very» soft law che emerge da queste Carte è tutto improntato ai temi della solidarietà sociale e proietta le città verso uno scenario nuovo, nel quale «le città si fanno carico dei problemi globali e non solo di quelli locali» [72]
.
Sull’onda del fenomeno della sharing economy sono state elaborate alcune Dichiarazioni con le quali i sindaci delle città firmatarie esprimono l’intenzione di collaborare per arginare, controllare, intercettare gli effetti dell’economia di piattaforma che si riversano sul territorio e sulla cittadinanza urbana.
Con queste Dichiarazioni, le città si impegnano a promuovere politiche pubbliche solidali, di sostegno alle imprese, alle attività di piattaforma e alla difesa dell’ambiente, assieme a protocolli digitali nel rispetto della normativa locale.{p. 41}
La più nota è la Sharing Cities Declaration: Cities’ Common Principles and Commitments for City. Sovereignty Regarding the Platform Economy [73]
, sottoscritta inizialmente da 31 città di tutto il mondo, in occasione del Sharing Cities Summit di Barcellona nel novembre 2018. In linea con i due precedenti summit di Amsterdam 2016 e di New York 2017, i partecipanti si sono riunti per discutere su come la continua crescita delle economie di piattaforma stia impattando sulla vita e sullo sviluppo economico delle città, con l’intento di condividere i principi ispiratori per un governo dell’economia digitale [74]
.
La Dichiarazione opera inizialmente una distinzione di principio tra piattaforme digitali che si organizzano secondo un modello cooperativo – e rappresentano dunque un’opportunità per le attività economiche delle città – e quelle non ispirate a tale modello, sul presupposto che esse mal potrebbero «permettere relazioni prevalentemente tra pari; basarsi su modelli economici e retribuzioni giuste […], favorire l’inclusione e fornire gli stessi servizi a differenti fasce di popolazione della città, evitando discriminazioni» (principio #1 Platform models differentiation).
Quanto ai contenuti, essa insiste sui grandi temi socio-economici influenzati dalla sharing economy (lavoro [75]
, inclu{p. 42}sione, salute, sostenibilità ambientale, promozione economica della piccola e media impresa) e sui nuovi temi che questo fenomeno ha fatto affiorare (es. la protezione dei dati, intesi come beni comuni urbani). In particolare, si mira a promuovere l’apertura e la trasparenza dei dati, mediante standard etici digitali, la responsabilità algoritmica delle piattaforme digitali e l’accesso da parte delle città, in modo tale da tutelare la privacy, «ai dati rilevanti delle imprese che operano nei loro territori (quali informazioni su trasporti, sicurezza, lavoro, e tutte le potenziali informazioni di pubblico interesse)», auspicando che i dati della città siano gestiti come «un bene comune per risolvere le sfide urbane» (principio #7 data sovereignty & citizens’ digital rights).
Pur rispettando lo spirito promozionale dell’iniziativa, la Dichiarazione tenta di riportare le attività delle piattaforme sul piano giuridico, richiedendo il rispetto delle normative locali, incluse quelle fiscali, che garantiscano uguaglianza di condizioni, anche mediante la promozione di protocolli digitali per l’adempimento della normativa propria di ogni città.
La sovranità della città emerge anche dalla richiesta, da parte delle piattaforme, del permesso di entrare, per la prima volta, nel contesto urbano e di concordare con la città il modo appropriato di operare, rispettando le «caratteristiche dei quartieri, le condizioni economiche e le esigenze della comunità» (principio #8 City sovereignty).
Dopo la Sharing Cities Declaration del 2018 altre iniziative sono state portate avanti per rafforzare le reti tra le città e promuovere la transizione da un’economia lineare a un’economia circolare nei contesti urbani, in ottemperanza del Green Deal e degli indirizzi europei in tema di circular economy. Tra queste si segnala la European Circular Cities Declaration promossa da una serie di stakeholders e di associazioni di città, supportata dall’International Council for Local Environmental Initiatives (ICLEI), lanciata nel 2020 e aperta alla sottoscrizione delle città che condividono i principi dell’economia circolare e si identificano nel modello di circular city [76]
(v. supra § 2.3.1).
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Note
[70] Il passaggio del discorso è riportato in molti testi. Si veda, ad esempio, H. Abdullah (a cura di), Cities in World Politics. Local responses to global challenges, Barcelona, CIDOB Edicions, 2019.
[71] L. Bobbio, I governi locali, Roma-Bari, Laterza, 2002.
[72] Font i Llovet, De la autonomía local al poder de las ciudades, cit., p. 123.
[73] Disponibile sul sito http://www.sharingcitiesaction.net.
[74] In occasione del summit è stato pubblicato un volume sui risultati delle ricerche di uno degli enti organizzatori: M. Fuster Morell (a cura di), Sharing Cities. A worldwide cities overview on platform economy policies with a focus on Barcelona, Barcelona, Universitat Oberta de Catalunya, 2018.
[75] Nell’ambito del lavoro digitale, pur essendo l’iniziativa di una sola e non rappresentando l’incontro di volontà di più città, si segnala la «Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano» del Comune di Bologna. Questo documento, in linea con gli indirizzi europei in materia di diritti sociali e di nuove forme di lavoro sorte con l’economia collaborativa, è tutta improntata alla promozione di standard minimi di condizioni di lavoro eque, dignitose e sicure (intesa la sicurezza tanto nel profilo fisico, mentale e nella proiezione virtuale, mediante la gestione dei dati) dei lavoratori e collaboratori delle piattaforme digitali che operano all’interno del territorio della Città metropolitana di Bologna. Dalla Carta emerge la funzione promozionale del Comune in una materia formalmente estranea alle competenze degli enti locali (la regolazione del lavoro), ma al tempo stesso nuova (nelle piattaforme digitali) con ricadute sul contesto urbano. Reperibile nella pagina web del Comune di Bologna (www.comune.bologna.it).
[76] Maggiori informazioni nella pagina dedicata alla sottoscrizione: https://circularcitiesdeclaration.eu.