Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c7
A questo riguardo, riferendoci ai protagonisti del dialogo tra giudici qui considerato, non si può ignorare la classica funzione delle Corti costituzionali di «custodire la Costituzione» nell’ambito dei rapporti tra gli ordinamenti nazionali e sovranazionali. Certamente, la funzione tipica della giustizia costituzionale di tutela della Costituzione, o almeno del suo nucleo duro, rimane integra (e insieme ad
{p. 187}esso anche un certo suo ultimo carattere difensivo), ma il contesto è radicalmente diverso e finisce inevitabilmente per ampliarne i confini: in un certo senso, potremmo dire che le corti costituzionali diventano la voce del dissenso (giuridico) nazionale verso una certa tendenza espansiva dell’integrazione europea latu sensu.
Nello stesso tempo – e qui ci avviciniamo a toccare il nodo dell’interlegalità – questa particolare ambientazione ha ben evidenziato perché anche gli strumenti giuridici tradizionalmente elaborati per bilanciare o districarsi negli scontri tra il contesto nazionale e quello sovranazionale (cioè protezione equivalente, interpretazione coerente, contro-limiti) funzionano solo in parte se calati all’interno di questi casi.
La breve rassegna qui condotta, infatti, mostra che il «contro-costituzionalismo» – inteso appunto come fenomeno di contrapposizione estrema tra giurisdizioni appartenenti a ordinamenti diversi, chiamate a pronunciarsi su casi che pongono in gioco valori identitari o costituzionali dei rispettivi sistemi – può presentarsi con diverse gradazioni di intensità, differenti sfumature e implicazioni. Un tratto comune può nondimeno identificarsi nella tendenza del fenomeno a polarizzare le tradizionali tecniche di «comunicazione» tra Corti e ordinamenti, contrapponendole (cfr. Corte EDU e Corte costituzionale italiana nel caso delle «pensioni svizzere») o, in casi limite, annullandone gli effetti (cfr. Corte EDU e Corte costituzionale russa nel caso del voto dei detenuti). Un ruolo fondamentale dell’approccio fondato sull’interlegalità è porre in evidenza i limiti di funzionamento delle tecniche di bilanciamento allorché esse vengano calate in una prospettiva giuridica di marca «unidirezionale»: in altre parole, quando l’osservatore giuridico privilegiato (nel nostro caso, il giudice) perde di vista l’ottica della legalità «plurale» e assume il punto di vista unico dell’ordinamento di appartenenza, la polarizzazione della controversia diventa altamente probabile e l’esito del caso sarà presumibilmente «sbilanciato» a favore dei valori del sistema di riferimento, con le inevitabili perdite in termini di giustizia sostanziale. In una simile prospettiva anche una tecnica di riduzione {p. 188}dei conflitti normativi quale l’interpretazione conforme (rinominata «presunzione di conformità» nella variante impiegata dalle corti internazionali) mostra tutti i suoi limiti, poiché gli esiti invariabilmente dipenderanno dal valore (prioritario) assunto quale riferimento per l’esercizio del giudizio di conformità: ancora una volta esemplare è il caso del diritto di voto ai detenuti e la diversa declinazione del principio di interpretazione conforme sviluppata dai giudici di Strasburgo e dai giudici russi.
Più promettenti in termini di interlegalità appaiono certi risvolti del ragionamento svolto dalla Corte costituzionale italiana nel caso delle pensioni svizzere, laddove la nostra Corte insiste sulla necessità di un approccio di carattere «sistemico», che contemperi i vari diritti (o meglio i valori) in gioco e tenga conto delle peculiarità degli ordinamenti giuridici tra i quali il caso si svolge. Tuttavia, anche in questa circostanza, le ombre del «predominio assiologico» di un ordinamento rispetto all’altro restano in agguato, con i conseguenti rischi di strumentalizzazione o distorsione delle tecniche di bilanciamento e mediazione elaborate in sede giurisprudenziale: si pensi al riguardo all’idea di un (secondo?) margine di apprezzamento da esercitarsi dal giudice nazionale rispetto all’applicazione degli standard CEDU o alla «stella polare» della massima espansione dei diritti, che pare preludere a un approccio di tipo gerarchizzato alla soluzione dei conflitti normativi, con una funzione di bilanciamento dei diritti riservata alla sola Corte costituzionale. Anche in queste circostanze, un approccio fondato sull’interlegalità risulterà essenziale per svelare le implicazioni che le varie tecniche giuridiche in gioco potranno svolgere, nonché i relativi esiti, ponendo nella corretta luce gli elementi utili a fornire la soluzione più appropriata al caso interlegale. In questo senso, l’interlegalità può dispiegare tutto il suo potenziale non solo per inquadrare, ma soprattutto prevenire gli esiti estremi del contro-costituzionalismo.
Last but not least, abbiamo anche notato che questi dialoghi tra le Corti costituzionali/supreme e le loro controparti sovranazionali possono funzionare da camera di decompressione dei conflitti critici. Su quest’esito gioca {p. 189}il prevalere ultimo del caso concreto sulla soluzione della controversia, con le sue particolarità specifiche: i toni dei dialoghi sono a volte duri, ma nel loro sviluppo progressivo il contrasto tra le Corti pian piano si allenta e la temperatura si raffredda, permettendo ai due ordinamenti giuridici in causa di tornare a guardarsi: non è casuale che sia nella decisione britannica sia in quella italiana la questione venga poi rimandata al legislatore, organo deputato a sciogliere il conflitto in via definitiva.
Note