Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c7
La risposta non si è fatta attendere (sentenza Stefanetti del 2014): una severa condanna dello Stato italiano non solo per un ancora più netto riconoscimento della violazione dell’art. 6 CEDU [60]
, ma anche per la violazione del Proto
{p. 182}collo n. 1 in riferimento all’entità del danno in concreto [61]
. La non comprensione della posizione della Consulta nella sentenza n. 264/2012 emerge con chiarezza laddove il giudice di Strasburgo osserva che «malgrado la giurisprudenza della Corte costituzionale italiana, non esistevano impellenti motivi di interesse generale che giustificassero l’applicazione retroattiva della legge 296/2006, che non era una interpretazione autentica dell’originaria legge ed era pertanto imprevedibile» [62]
. A buon intenditor poche parole.
E, immancabilmente, la Cassazione è ritornata a bussare alle porte della Consulta: questa volta, con sentenza n. 166/2017, il giudice delle leggi – di fronte a nuovi casi specifici, diversi dai precedenti analizzati – riconosce l’orientamento espresso dalla Corte europea affermando «l’esistenza di una più circoscritta area di situazioni in riferimento alle quali la riparametrazione delle retribuzioni percepite in Svizzera, in applicazione della censurata norma nazionale retroattiva, può entrare in collisione con gli evocati para{p. 183}metri convenzionali e, corrispondentemente, con i precetti di cui agli artt. 3 e 38 della Costituzione» [63]
, così lasciando trasparire la possibile contemporanea non conformità a Costituzione e a Convenzione. Come abbiamo visto accadere nel caso britannico, la Corte costituzionale rimanda però la soluzione del problema al legislatore, fermandosi ad una dichiarazione di inammissibilità per discrezionalità legislativa: «ma nel dichiararla tale, questa Corte deve tuttavia affermare che non sarebbe tollerabile l’eccessivo protrarsi dell’inerzia legislativa in ordine al grave problema segnalato dalla Corte di Strasburgo» [64]
.{p. 184}
Al termine di quest’analisi – che si caratterizza per impegnare un arco temporale ampio, tale da permette un’analisi di lungo periodo, e per coinvolgere ripetutamente sia la Corte di Strasburgo che la Corte costituzionale e la Corte di Cassazione –, alcune osservazioni emergono con chiarezza. In questa vicenda si può rilevare non solo, come si è detto, che le tecniche dialogiche pensate per mettere a sistema più legalità nel momento di contrasti forti entrano esse stesse in tensione, ma anche che la fattispecie concreta esercita un suo peso specifico sulla soluzione del caso [65]
e sul (invero non facile) dialogo fra Corti. Le controversie (solo) apparentemente marginali – quale la vicenda in esame, che riguarda un numero limitato di lavoratori migranti colpiti da una legge retroattiva che, solo per una parte di loro, comporta una lesione «del diritto dei lavoratori al “bene” della vita rappresentato dal credito relativo a pensione» [66]
– spesso hanno il pregio di far cogliere con più nitidezza le questioni realmente in gioco: così, nello specifico, «elementi pertinenti» per l’ultima tappa delle pensioni svizzere davanti sia alla Corte di Strasburgo sia alla Corte {p. 185}costituzionale sono così risultati «i lunghi periodi da quei soggetti trascorsi in Svizzera», «l’entità dei contributi ivi versati», «la loro categoria lavorativa di appartenenza» e «la qualità dei rispettivi stili di vita», nonché «l’entità della riduzione del credito pensionistico congiuntamente alla lunghezza del periodo maturato» [67]
.
In conclusione, verrebbe da parafrasare la nota affermazione di Bulgakov secondo cui «i fatti sono le cose più ostinate del mondo» [68]
, e le questioni non risolte si ripresentano inesorabilmente (anche in tribunale).

4. Contro-costituzionalismo e interlegalità: qualche considerazione conclusiva

È stato osservato che «attriti e resistenze esprimono un momento di revisione critica delle relazioni fra ordinamenti» [69]
: è questa speciale ambientazione che abbiamo scelto per verificare come l’interlegalità può (o potrebbe) giocare.
Se, certo, non si può dire sia una novità vedere la Corte europea dei diritti dell’uomo impegnata con le omologhe corti supreme nazionali in una serie di casi su questioni fondamentali – o, se vogliamo, ultime –, la prospettiva d’indagine qui adottata è consistita nel rileggere il fenomeno classico del diritto internazionale riguardante i «backlash» all’interno della grammatica propria del diritto costituzionale. Abbiamo così potuto notare, innanzitutto, che più si tende ad avvicinare la funzione svolta dalla Corte di Strasburgo a quella tipica di una Corte costituzionale, più i rispettivi ruoli vengono ridisegnati: emblematica in questo senso la descrizione fornita dalla sentenza italiana sulle pensioni svizzere – tesa com’è a tracciare limpidamente i confini delle due giurisdizioni mettendone in luce le (evidenti) differenze – ma non meno {p. 186}rilevanti sono le più generali forme di resistenza al diritto convenzionale, esemplarmente espresse dal caso Anchugov e Gladkov [70]
. In questi casi, dunque, emerge con chiarezza una ridefinizione della mappa dei poteri pubblici all’interno dei confini nazionali (in primo luogo – ovviamente – le loro corti costituzionali o supreme) ma anche europei: una sorta di riequilibrio del processo di costruzione dei rapporti fra ordinamento interno e ordinamento internazionale che, certamente, sul terreno dei diritti fondamentali/umani sta giocando una battaglia importante. In questa prospettiva abbiamo, quindi, usato il termine contro-costituzionalismo: al (presunto) costituirsi della legalità internazionale secondo caratteri costituzionali emerge una sorta di costituzionalismo interno di ritorno, in opposizione.
Inutile aggiungere che lo sviluppo di una narrativa costituzionale multilivello si colloca ancora su un terreno estremamente delicato, caratterizzato innanzitutto da un alquanto fragile rapporto fra Corti.
A questo riguardo, riferendoci ai protagonisti del dialogo tra giudici qui considerato, non si può ignorare la classica funzione delle Corti costituzionali di «custodire la Costituzione» nell’ambito dei rapporti tra gli ordinamenti nazionali e sovranazionali. Certamente, la funzione tipica della giustizia costituzionale di tutela della Costituzione, o almeno del suo nucleo duro, rimane integra (e insieme ad
{p. 187}esso anche un certo suo ultimo carattere difensivo), ma il contesto è radicalmente diverso e finisce inevitabilmente per ampliarne i confini: in un certo senso, potremmo dire che le corti costituzionali diventano la voce del dissenso (giuridico) nazionale verso una certa tendenza espansiva dell’integrazione europea latu sensu.
Note
[60] Sentenza della Corte EDU, Stefanetti e a. contro Italia, 15 aprile 2014, par. 42 e 43, laddove non solo si condanna un inammissibile ritardo dello Stato italiano nel regolare la questione dei lavoratori migranti svizzeri, a seguito dell’intervenuta riforma del 1982 («fu lo Stato stesso a creare una disparità che esso provò a correggere solo ventiquattro anni dopo [e trentotto anni dopo la promulgazione delle disposizioni di legge originarie])», ma anche una diversa e costante interpretazione maggioritaria ad opera dei giudici in favore dei soggetti lesi dal ricalcolo della pensione operato dall’INPS, tale per cui «nel caso di specie l’ingerenza legislativa (che faceva pendere la bilancia a favore di una delle parti) non era prevedibile». Per queste ragioni «La Corte ritiene (…) che non si possa affermare che l’intervento legislativo mirasse a ripristinare l’intenzione originaria del legislatore del 1962. (…) Invero, anche ammettendo che lo Stato stesse tentando di perequare una situazione che originariamente non aveva inteso creare, avrebbe potuto farlo tranquillamente senza ricorrere all’applicazione retroattiva della legge. Inoltre, anche il fatto che lo Stato abbia aspettato ventiquattro anni prima di effettuare una simile perequazione, nonostante il fatto che numerosi pensionati che avevano lavorato in Svizzera stessero ripetutamente vincendo in giudizio dinanzi ai tribunali nazionali, crea dei dubbi riguardo al fatto che quella fosse realmente l’intenzione del legislatore nel 1982».
[61] In proposito si veda l’analisi dettagliata della Corte sul merito del ridimensionamento delle pensioni subito dai ricorrenti da par. 60 a 65, per poi concludere che «dopo aver versato contributi per tutta la vita, perdendo il 67% delle loro pensioni i ricorrenti non hanno subito delle riduzioni proporzionate ma sono stati di fatto costretti a sopportare un onere eccessivo. Perciò, nonostante le ragioni che erano alla base delle misure contestate, nelle presenti cause la Corte non può concludere che sia stato trovato un giusto equilibrio» (par. 66).
[62] Ibidem, par. 65 (corsivo nostro); per una ricostruzione dettagliata del caso e dei suoi precedenti si veda anche C. Masciotta, Leggi interpre- tative e rigidità degli strumenti decisionali della Corte costituzionale: quali prospettive nella vicenda delle «pensioni svizzere»?, in «Osservatorio sulle fonti», 2017, in particolare pp. 15 ss. A questa sentenza è poi seguita la sentenza Stefanetti bis volta a quantificare il danno materiale subito dai singoli ricorrenti: cfr. sentenza della Corte EDU, Stefanetti et autres c. Italie (Satisfation équitable) (Première section, 1° giugno 2017).
[63] Sentenza Corte costituzionale del 20 giugno 2017, n. 166/2017, p.to 6. Può essere altresì interessante notare il seguito della sentenza Stefanetti nel nostro ordinamento: come risulta dalla Relazione sullo stato di esecuzione delle pronunce della corte europea dei diritti dell’uomo nei confronti dello stato italiano, 2018, presentata dal ministro per i Rapporti con il Parlamento, disponibile online sul sito www.senato.it, pp. 34 ss., nel 2018 ben 246 ricorsi seriali sull’oggetto in esame pendevano davanti alla Corte europea. Per tale ragione nel corso dello stesso anno, la Corte EDU, considerando «il prevedibile esito sfavorevole di questo contenzioso», ha elaborato con la collaborazione dell’INPS e dei ministeri interessati, proposte di definizione amichevole al fine di prevenire future condanne e ridurre le conseguenze economiche a carico dell’erario in caso di condanna da parte della Corte. A seguito di ciò «si è dato il nulla osta alla chiusura attraverso dichiarazione unilaterale a seguito della mancata accettazione della proposta di regolamento amichevole di 139 posizioni individuali riguardanti il gruppo Caratti, per i quali era in discussione solo la violazione dell’articolo 6 della Convenzione, per un totale di euro 1.574.375. Successivamente la Corte EDU ha manifestato la volontà di chiudere altri gruppi di ricorsi sempre attraverso lo strumento della regolamentazione amichevole. Sono state, pertanto, elaborate 200 proposte di regolamento amichevole per una spesa complessiva di euro 14.887.283,00 secondo i criteri descritti per il gruppo Caratti».
[64] Ibidem, p.to 8. Si noti che già nel 2012 la questione del necessario intervento al legislatore era presente alla dottrina: così M. Massa, La sentenza n. 264 del 2012 della Corte costituzionale: dissonanze tra le corti sul tema della retroattività, in «Quaderni Costituzionali», 2013, p. 141, segnalava come «una maggiore tempestività [del legislatore] potrebbe risolvere, almeno in alcune situazioni, i problemi di certezza del diritto, affidamento dei cittadini, rapporti con il Consiglio d’Europa. Al riguardo, la Corte avrebbe almeno potuto lanciare un monito, senza sminuire – anzi, evidenziando ancora più nettamente – le particolarità del caso».
[65] Particolarmente interessante risulta anche l’osservazione di Ruggeri, La Consulta rimette abilmente a punto la strategia dei suoi rapporti con la Corte EDU, cit., che sottolinea l’importanza delle condizioni concrete in cui si ambienta, ad esempio, la sentenza n. 264/2012, caratterizzato com’è da una profonda crisi economica che affligge il Paese italiano (e non solo): «da una prospettiva di più ampio respiro, poi, la soluzione oggi accolta dal giudice costituzionale offre un’ulteriore, eloquente testimonianza del fatto che il fondamento dei diritti fondamentali non sta oggi tanto nella Costituzione o in altre Carte, che pure ne danno l’astratto riconoscimento, bensì nel contesto: un contesto, di certo, al presente non benigno per i diritti stessi (specie per alcuni diritti e di alcuni soggetti) obbligati a forti riduzioni di senso ed al pressoché sistematico sacrificio davanti al pressante e prioritario bisogno di far salvi i vincoli di ordine economico-finanziario imposti dall’Unione (e – come si diceva – ora anche dall’art. 81 Costituzione)».
[66] Sentenza n. 166/2017, p.to 7, citata, nel momento in cui riprende le argomentazioni della sentenza Stefanetti.
[67] Ibidem.
[68] M.A. Bulgakov, trad. it. Il maestro e Margherita, Einaudi, Torino, 1996, p. 267.
[69] Palombella, La politica come limite al diritto?, cit., p. 47.
[70] Nell’introduzione al lavoro si era già toccato questo problema; si veda anche, in via esemplare, Ruggeri, La Consulta rimette abilmente a punto la strategia dei suoi rapporti con la Corte EDU, cit., nel momento in cui osserva che «non è chiaro, per vero, se, marcando la diversità delle prospettive, la Corte punti allo stesso tempo ad evidenziare lo “stacco” esistente tra se stessa, quale giudice stricto sensu ed optimo iure costituzionale, e la Corte europea, giudice pur sempre internazionale, malgrado ormai molti segni si abbiano della vocazione di tale giudice (al pari, peraltro, della Corte dell’Unione europea) alla propria “costituzionalizzazione”, senza nondimeno che ne risulti per ciò rinnegata l’origine e la peculiare connotazione; ovvero se punti, puramente e semplicemente, a fare del “sistema” il grimaldello che apra al giudice delle leggi la porta per sfuggire alla “presa” del giudice convenzionale, sgravandolo dell’obbligo di conformarsi a pronunzie da quest’ultimo emesse che risultino alla Consulta sgradite».