Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c7
Per quanto i segnali di dissenso nei confronti del sistema di controllo facente capo alla Corte EDU si siano negli ultimi anni moltiplicati [12]
, occorre ribadire che le occasioni
{p. 162}di contrapposizioni estreme tra questa giurisdizione e le corti supreme degli Stati parti alla Convenzione restano piuttosto eccezionali.
Da un lato, la Corte EDU è stata chiara nell’affermare in diverse occasioni il carattere «costituzionale» del proprio sistema di riferimento, ricorrendo alla nota formula secondo cui la CEDU rappresenta «a constitutional instrument of European public order». L’espressione è stata di volta in volta utilizzata per superare le riserve alle disposizioni della CEDU opposte da uno Stato parte e rilanciare la piena effettività dei diritti protetti nella Convenzione [13]
, oppure per delineare gli standard di riferimento della protezione dei diritti umani nel sistema CEDU [14]
o ancora individuare i componenti fondamentali dell’ordine pubblico europeo, quali il rispetto del rule of law e del principio democratico [15]
. Ciò ha certamente corroborato la conclusione, sostenuta da una parte rilevante della dottrina, secondo la quale non solamente la Convenzione presenterebbe i caratteri di uno strumento costituzionale di riferimento nel contesto regionale europeo, ma la Corte EDU sarebbe chiamata a svolgere funzioni analoghe a quelle di una vera e propria corte costituzionale nel proprio sistema di riferimento [16]
. {p. 163}D’altra parte, anche ammettendo una simile lettura, è pure vero che le occasioni di contrasto tra la Corte EDU e le Corti supreme domestiche generate dalla sovrapposizione tra principi fondamentali della Convenzione e questioni di rilievo costituzionale interno, restano eccezionali. Il più delle volte, tali questioni sono inquadrate nella più generale dialettica riguardante lo status e l’attuazione della CEDU negli ordinamenti interni degli Stati parti [17]
; oppure sono occasionalmente gestite grazie a strumenti interpretativi endogeni al sistema CEDU, quale la dottrina del «margine di apprezzamento», che permettono di «accomodare» nel singolo caso di specie le questioni più delicate, che possano coinvolgere l’identità costituzionale dello Stato in causa [18]
.
Nondimeno, è pur vero che situazioni eccezionali possono materializzarsi. Un esempio è fornito dalla ben nota vicenda della automatica privazione del diritto di voto per i detenuti condannati, situazione che la Corte EDU ha ritenuto contraria all’art. 3 del Protocollo n. 1 CEDU (relativo al diritto individuale di partecipare a libere elezioni), condannando in tempi diversi tanto il Regno Unito (sentenza Hirst c. Regno Unito del 2005 [19]
), quanto la Russia {p. 164}(sentenza Anchugov e Gladkov c. Russia del 2013 [20]
). Nonostante la vicenda abbia visto due Stati dalle tradizioni costituzionali e democratiche molto diverse avvicinati da una singolare «odd, informal alliance» nel contestare l’autorità della Corte EDU [21]
, è vero che solo nel caso della Russia si sono raggiunti gli estremi della contrapposizione giudiziaria sopra etichettata «contro-costituzionalismo».
Per inquadrare correttamente la portata della vicenda, conviene iniziare con gli sviluppi che hanno coinvolto il Regno Unito. In tale Paese la questione del «blanket ban» riguardante il voto dei detenuti e la conseguente condanna giunta nel caso Hirst hanno occasionato una veemente reazione a livello politico-istituzionale, che ha visto la Corte EDU accusata di ingerirsi indebitamente nella gestione della legislazione interna degli Stati parti alla CEDU [22]
. In sede processuale [23]
sono stati fatti vari tentativi per minimizzare l’impatto della sentenza Hirst attraverso un’interpretazione «morbida» dell’obbligo dei giudici britannici di «take into account» le sentenze della Corte EDU [24]
: secondo tale in{p. 165}terpretazione, già elaborata dalla Corte Suprema del Regno Unito, l’obbligo opererebbe solo allorché vi fosse, su una specifica questione, un orientamento giurisprudenziale chiaro e consolidato dei giudici di Strasburgo [25]
. Si era per tal via eccepito che la giurisprudenza della Corte EDU in tema di privazione del diritto di voto ai detenuti non fosse del tutto univoca [26]
, derivandone la possibilità per i giudici interni britannici di ignorare il precedente stabilito con la sentenza Hirst. Tuttavia, in una ulteriore decisione del 2013 sempre riguardante la questione del diritto di voto dei detenuti, la Corte Suprema del Regno Unito correggeva in senso restrittivo la propria precedente interpretazione, precisando che i giudici britannici avrebbero potuto discostarsi dalla giurisprudenza di Strasburgo – specialmente in casi (come Hirst) in cui la Corte EDU si fosse pronunciata ripetutamente e nella composizione di Grande Camera – solo allorquando venissero in gioco fondamentali principi di diritto dell’ordinamento britannico, in maniera evidente trascurati o fraintesi da Strasburgo («[i]t would have then to involve some truly fundamental principle of our law or some most egregious oversight or misunderstanding before it could be appropriate for this Court to contemplate an outright refusal to follow Strasbourg authority at the Grand Chamber level») [27]
. La considerazione implicita nella {p. 166}conclusione dei giudici supremi britannici – che chiosavano «there is no further current role for this Court» e rinviavano per la soluzione del nodo al Parlamento nazionale [28]
– era che la privazione del diritto di voto ai detenuti non poteva considerarsi questione cruciale per l’identità costituzionale dell’ordinamento del Regno Unito, tale da giustificare la mancata esecuzione delle decisioni della Corte EDU.
È proprio la differenza su tale ultimo, centrale, aspetto che pare spiegare il ben più drammatico esito che la questione della privazione automatica del diritto di voto dei detenuti ha avuto, in sede giudiziaria, in Russia [29]
. Come detto, anche la Russia è stata condannata da Strasburgo per violazione dell’art. 3 del Protocollo n. 1 CEDU con la sentenza Anchugov e Gladkov, in circostanze molto simili a quelle che avevano caratterizzato il caso Hirst nel Regno Unito. Tuttavia, nella situazione della Russia una differenza fondamentale era data dal fatto che la privazione automatica del voto per i detenuti si trovava sancita non già nella legislazione ordinaria, ma in una disposizione della Costituzione [30]
. Non sorprende dunque che la questione dell’esecuzione della sentenza della Corte EDU nel caso Anchugov e Gladkov sia stata portata di fronte alla Corte costituzionale russa; né sorprende che quest’ultima Corte, nella sentenza resa il 16 aprile 2016, si sia espressa molto nettamente per l’impossibilità di dare attuazione nell’ordina
{p. 167}mento russo alla decisione di Strasburgo, data la contrarietà del dispositivo della sentenza Anchugov e Gladkov all’art. 32(2) della Costituzione [31]
. Molto interessante però, ai nostri fini, è considerare alcuni passaggi della dialettica sviluppatasi tra le corti di Strasburgo e di San Pietroburgo nel caso di specie. La Corte EDU, nel rendere la propria sentenza nel 2013, aveva ben presente la circostanza che la privazione del diritto di voto fosse oggetto di una regola stabilita dalla Costituzione russa e, consapevole delle difficoltà che ciò avrebbe sollevato, aveva invitato gli organi competenti, e in particolare la Corte costituzionale, a esplorare le vie possibili per risolvere la questione, ivi compresa un’interpretazione armonizzata con la Convenzione, tale da coordinare gli effetti dei due strumenti ed evitarne il conflitto:
Note
[12] Per una valutazione complessiva della questione del «backlash» nei confronti della Corte EDU, cfr. A. Nussberger, From High Hopes to Scepticism? Human Rights Protection and Rule of Law in Europe in an Ever More Hostile Environment, in H. Krieger, G. Nolte e A. Zimmermann (a cura di), The International Rule of Law. Rise or Decline?, Oxford, Oxford University Press, 2019, pp. 150 ss.; A. Sajó e S. Giuliano, The Perils of Complacency. The European Human Rights Backlash, in Klabbers e Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit., 2019, pp. 230 ss. Cfr. anche il volume a cura di P. Popelier, S. Lambrecht e K. Lemmens, Criticism of the European Court of Human Rights, Cambridge-Antwerp-Portland, Intersentia, 2016, che raccoglie una valutazione in ottica «critica» dei rapporti tra la Corte EDU e le istituzioni politiche e giudiziarie di quindici Stati parti alla CEDU.
[13] Cfr. Corte EDU, Loizidou v. Turkey (Preliminary Objections), App. no. 15318/89, 23 marzo 1995, par. 75.
[14] Cfr. Corte EDU, Bosphorus Hava Yollari Turism Ve Ticaret Anonim Sirketi v. Ireland, App. no. 45036/98, (Grande Camera) 30 giugno 2005, par. 156.
[15] Cfr. Corte EDU, Al-Dulimi and Montana Management Inc v. Switzerland, App. no. 5809/08, (Grande Camera) 21 giugno 2016, par. 145. Il riferimento alla CEDU quale strumento costituzionale dell’ordine pubblico si trova altresì nelle sentenze Al-Skeini and Others v. The United Kingdom, App. no. 55721/07, (Grande Camera) 7 luglio 2011, par. 141; e Bankovic and Others v. Belgium and Others, App. no. 52207/99 (Grande Camera), 12 dicembre 2001, par. 80. Più recentemente, senza riferirsi al carattere «costituzionale» della CEDU, la Corte ha affermato con analoga formula che «Democracy constitutes a fundamental element of the “European public order”»: cfr. Mugemangango v. Belgium, App. no. 310/15, (Grande Camera) 10 luglio 2020, par. 67.
[16] Cfr. in particolare per questa lettura «costituzionalistica» del ruolo della Corte EDU, A. Stone Sweet, Sur la constitutionnalisation de la Convention européenne des droits de l’homme: cinquante ans après son installation, la Cour européenne des droits de l’homme conçue comme une Cour constitutionnelle, in «Revue Trimestrielle des Droits de l’Homme», 2009, pp. 923 ss.; S.C. Greer e L. Wildhaber, Revisiting the Debate about «Constitutionalizing» the European Court of Human Rights, in «Human Rights Law Review», 2012, pp. 674 ss. Con riferimento all’ingresso nel sistema CEDU degli Stati dell’Europa centrale e orientale, cfr. anche W. Sadurski, Partnering with Strasbourg: Constitutionalisation of the European Court of Human Rights, the Accession of Central and East European States to the Council of Europe, and the Idea of Pilot Judgments, in «Human Rights Law Review», 2009, pp. 397 ss.
[17] Cfr. in generale sul tema H. Keller e A. Stone Sweet, Assessing the Impact of the ECHR on National Legal Systems, in Iid. (a cura di), A Europe of Rights. The Impact of the ECHR on National Legal Systems, Oxford, Oxford University Press, 2008, pp. 678 ss.
[18] Cfr. L. López Guerra, National Identity and the European Convention on Human Rights, in A. Saiz Arnaiz e C. Alcoberro Llivina (a cura di), National Constitutional Identity and European Integration, Cambridge-Antwerp-Portland, Intersentia, 2013, pp. 305 ss., spec. 307-309.
[19] Cfr. Corte EDU, Hirst v. United Kingdom (no. 2), App. no. 74025/01, (Grande Camera) 6 ottobre 2005.
[20] Cfr. Corte EDU, Anchugov and Gladkov v. Russia, App. no. 11157/04 and 15162/05, 4 luglio 2013.
[21] Cfr. M. Rask Madsen, The Challenging Authority of the European Court of Human Rights: From Cold War Legal Diplomacy to the Brighton Declaration and Backlash, in «Law and Contemporary Problems», 2016, pp. 141 s., spec. 169-170.
[22] Cfr. ad esempio il pamphlet a cura di M. Pinto-Duschinsky, Bringing Rights Back Home. Making Human Rights Compatible with Parliamentary Democracy in the UK, Policy Exchange, 2011, con l’introduzione di Lord Hoffmann, ove viene sottolineato: «the Strasbourg Court has taken upon itself an extraordinary power to micromanage the legal systems of the Member States of the Council of Europe (or at any rate those which pay attention to its decisions) culminating, for the moment, in its decisions that the UK is not entitled to have a law that convicted prisoners lose, among other freedoms, the right to vote» (ibidem, p. 7).
[23] Sulla questione dell’esecuzione delle sentenze della Corte EDU di fronte alle giurisdizioni britanniche, cfr. in generale E. Bates, The UK and Strasbourg: A Strained Relationship – The Long View, in K.S. Ziegler, E. Wicks e L. Hodson (a cura di), The UK and European Human Rights. A Strained Relationship?, London, Hart, 2015, pp. 39 ss.
[24] Obbligo previsto in particolare dalla sezione 2.1. dello «Human Rights Act» del 1998, secondo cui «A court or tribunal determining a questions which has arisen in connection with a Convention right must take into account any – (a) judgment, decision, declaration or advisory opinion of the European Court of Human Rights, (…)».
[25] Tale interpretazione era stata elaborata dalla Corte Suprema del Regno Unito in particolare nella sentenza R v. Horncastle and others (Appellants) (on appeal from the Court of Appeal Criminal Division) [2009] UKSC 14, 9 dicembre 2009, spec. par. 11 (Lord Phillips).
[26] In particolare, con riferimento al caso Scoppola c. Italia (Scoppola v. Italy [No. 3]), App. no. 126/05, (Grande Camera, 22 maggio 2012, spec. par. 106) in cui la Corte EDU aveva escluso la violazione dell’art. 3 del I Protocollo a carico dell’Italia, sul rilievo che la privazione del diritto di voto per i detenuti nella legislazione italiana non è applicata automaticamente, ma in relazione alla gravità del reato e della relativa pena.
[27] Cfr. R (on application of Chester) (Appellant) v. Secretary of State for Justice (Respondent). McGeoch (AP) (Appellant) v. The Lord President of the Council and another (Respondents) (Scotland) [2013] UKSC 63, 16 ottobre 2013, par. 27 (Lord Mance).
[28] Ibidem, rispettivamente parr. 42 e 34 («within the domestic legal context, it is now therefore for the Parliament as the democratic elected legislature to complete its consideration of the position in relation to [UK legislation on prisoners voting rights]»).
[29] In generale, sull’atteggiamento di resistenza dell’ordinamento russo rispetto all’attuazione delle sentenze della Corte EDU, cfr. A. Matta e A. Mazmanyan, Russia: In Quest for a European Identity, in Popelier, Lambrecht e Lemmens (a cura di), Criticism of the European Court of Human Rights, cit., pp. 481 ss.
[30] Cfr. l’art. 32, cap. 2, sez. 3, della Costituzione russa, riportato (in traduzione inglese) nella sentenza della Corte EDU, Anchugov and Gladkov v. Russia, cit., par. 30: «3. (…) citizens detained in a detention facility pursuant to a sentence imposed by a court shall not have the right to vote or to stand for election».
[31] Cfr. Costitutional Court of the Russian Federation, Judgment of 16 April 2016 No. 12-P/2016 in the case concerning the resolution of the question of possibility to execute the Judgment of the European Court of Human Rights of 4 July 2013 in the case of Anchugov and Gladkov v. Russia in accordance with the Constitution of the Russian Federation in respect to the request of the Ministry of Justice of the Russian Federation (traduzione inglese non ufficiale disponibile al sito della Corte costituzionale russa: www.ksrf.ru/en/ Decision/Judgments/Documents/2016_April_ 19_12-P.pdf). Tra i diversi commenti alla sentenza cfr. P. Pustorino, Russian Constitutional Court and the Execution «à la carte» of ECtHR Judgments, in «QIL-Questions of International Law», 32, 2016, pp. 5 ss.; I. Kleimenov, Judgment of the Constitutional Court of the Russian Federation no 12-P/2016: Refusal to Execute Judgements of ECHR or the search for compromise between Russian and International Law?, in «QIL-Questions of International Law», 32, 2016, pp. 19 ss.