Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c11
Quanto alla legittimità istituzionale, non bisogna trascurare che i trattati alla base di ciascun regime potrebbero fornire direttive per tenere in considerazione altre norme giuridiche, per così dire «esterne». Ciò potrebbe avvenire esplicitamente, tramite disposizioni di rinvio, ovvero implicitamente, tramite clausole generali (interpretative) [67]
. Anche in assenza di tali
{p. 319}clausole, peraltro, l’intreccio di legalità non si verifica in un vuoto giuridico: il diritto internazionale generale potrebbe a sua volta aiutare nell’interpretazione coerente dei diversi Trattati, mentre le norme in tema di diritti umani o di jus cogens possono entrare in gioco attraversando i vari ordinamenti. Se è vero che non esiste un catalogo di valori «esaustivo», si può senz’altro affermare che ne esistano nel diritto internazionale e in altri ordinamenti giuridici [68]
.
Con riferimento al problema della giustificazione obiettiva, conviene richiamare alcuni elementi dei dibattiti sulla incommensurabilità e sulla incomparabilità dei valori (o degli oggetti del bilanciamento, siano essi principi, ragioni, ecc.), che costituiscono, peraltro, una vexata quaestio del bilanciamento di proporzionalità [69]
. In particolare, si possono {p. 320}richiamare alcuni punti che riguardano la cosiddetta parity (tra istanze messe a paragone) e le sue condizioni.
L’impossibilità di una comparazione razionale tra i diversi valori coinvolti è una conclusione alla quale si può giungere muovendo da una posizione meta-etica, che nega la possibilità di obiettività nei valori, nella valutazione o nel ragionamento pratico (considerato nella sua interezza). D’altra parte, anche ammettendo in linea di principio la possibilità di obiettività nella valutazione o nel ragionamento pratico, si potrebbe ritenere che gli interpreti siano sprovvisti di basi per una scelta razionale o soddisfacente [70]
.
A questo punto, si può ritenere che quasi ogni coppia di elementi possa essere sottoposta a comparazione, secondo un qualche covering value o un parametro specifico (ad esempio, la social importance). L’interesse si sposta sulla questione, più pratica, di come le comparazioni contribuiscano a sostenere una decisione. Valori considerati incommensurabili o incomparabili richiamano l’attenzione su un particolare risultato della comparazione: la parity. Solitamente, si considera la relazione che sussiste tra due elementi in comparazione (valori, principi) come ascrivibile ai concetti di «preminente», «soccombente» o «equivalente». A queste configurazioni, Chang ha aggiunto una possibilità ulteriore: essere «on a par to» l’un l’altro. Il particolare carattere di parity (cioè di essere on a par) consiste nell’essere diverso rispetto al canone di «equivalenza». Se due istanze sono equivalenti, allora un piccolo miglioramento o peggioramento dell’una o dell’altra non può che infrangere l’uguaglianza e renderne {p. 321}una preminente e l’altra soccombente. La parity, invece, perde il proprio punto di equilibrio non per effetto di piccole modifiche, ma a seguito di una catena significativa di variazioni che rendono una istanza preminente e relegano l’altra al ruolo di soccombenza. Ad esempio, se due grandi maestri come Mozart e Michelangelo [71]
sono senza dubbio on a par quanto alla loro creatività, non sono uguali né incomparabili. Piccoli miglioramenti o peggioramenti all’uno o all’altro non impedirebbero di considerarli come grandi maestri (con riferimento alla loro creatività), in quanto tali lievi modifiche non altererebbero l’equilibrio nel paragone. Miglioramenti o peggioramenti ulteriori e significativi, peraltro, infrangerebbero la parity: un Mozart gravemente limitato nella sua creatività non sarebbe più all’altezza di un Michelangelo nel pieno delle proprie forze. Ciò rivelerebbe che un ragionamento comparativo a loro riguardo è stato compiuto (cioè che, sebbene on a par, la loro comparazione è presupposta). Qualcosa di simile potrebbe applicarsi ai valori o ai principi nei casi di bilanciamento «in condizione di stallo», dove un elemento non prevale chiaramente sull’altro: piccoli miglioramenti o peggioramenti dell’uno o dell’altro non comprometterebbero l’equilibrio, che sarebbe invece alterato da una catena significativa di mutamenti.
Una situazione di parity può verificarsi in due diversi scenari. Nel primo, i valori coinvolti in un conflitto tra ordini giuridici diversi, astratto o concreto, sarebbero on a par l’un l’altro se fossero parte del medesimo ordinamento giuridico. In questo caso, la presenza di vincoli o bias giurisdizionali a vantaggio delle norme «interne» potrebbe o far conservare questa parity oppure fare pendere la bilancia nella direzione di uno dei valori. Nel secondo scenario, i valori coinvolti sono on a par esclusivamente in virtù di alcuni vincoli o bias giurisdizionali. Un vincolo o condizionamento giurisdizionale e formale si configura come una ragione importante (sebbene non escludente rispetto ad altre), che deve essere considerata nel nostro {p. 322}ragionamento pratico, assieme ai diversi valori «sostanziali» (o principi) coinvolti. Questo non significa che si debba negare la possibilità di bilanciamento, in favore dell’applicazione di tecniche giuridiche come ad esempio quelle del diritto internazionale privato per proporre un regime specifico. Al contrario, le due cose dovrebbero integrarsi. In questo senso, una serie aggiuntiva di potenziali covering values tali da permettere la comparazione e spezzare la parity potrebbero essere rinvenuti attraverso lo spostamento dell’attenzione sul fuoco epistemico dell’interlegalità, e sul suo orientamento prescrittivo, finalizzato a evitare l’ingiustizia nelle circostanze del caso concreto. Data l’interconnessione materiale tra le diverse norme, la natura giuridica composita del diritto che regola un simile caso potrebbe essere considerata come un tertium comparationis per fronteggiare l’obiezione delle diverse rationes di ciascun regime speciale e dell’incomparabilità dei valori. Dalla prospettiva dei soggetti delle diverse legalità in una specifica vicenda giudiziaria, o dell’ipotetico Stato che deve obbedire a una diversità di obblighi legali internazionali, i diversi regimi sono tutti operanti e rilevanti, e non certo chiusi in se stessi, e gli obblighi che rispettivamente ne scaturiscono non possono essere incomparabili. Se un caso riguarda, ad esempio, norme provenienti da due regimi di diritto internazionale commerciale e diritto internazionale ambientale, il punto di vista epistemico del caso concreto impone di tenerli in considerazione entrambi, anche come condizione per chiarire se sussistano buone ragioni per definire ciò cui accordare protezione in ultima istanza.
Così, è necessario valutare cosa comporti lo structural bias o il limite giurisdizionale proprio di ogni specifico ordinamento giuridico o regime [72]
, in base ad un approccio del tipo tunnel vision, che non tiene in considerazione la dimensione interlegale delle norme in conflitto, oppure all’opposto in base ad una completa apertura su un unrestrained space of reasons{p. 323} di bilanciamento puramente sostanziale e valoriale [73]
. Il bilanciamento interlegale può trovare un’applicazione equilibrata, tramite l’integrazione di due dimensioni dei conflitti, quella della giustizia sostanziale e quella formale-giurisdizionale, che riguardano norme provenienti da diversi ordinamenti giuridici.
Resta aperto il problema di come inglobare (con la giusta ponderazione) simili valori diversi nel bilanciamento interlegale: non solo la differenza dei valori sostanziali tra un ordinamento giuridico e l’altro, ma anche i valori formali coinvolti nella dimensione autoritativa e istituzionale del diritto.

5.3. Criteri per valutare norme in conflitto, provenienti da diversi ordinamenti giuridici

Un contributo importante e condivisibile sul fondamentale problema delle modalità attraverso le quali incorporare, valutare (to weight) e bilanciare considerazioni che provengono da diversi ordinamenti giuridici è quello offerto da Matthias Klatt [74]
. Klatt ha strutturato un modello completo che ha il pregio di dare conto di considerazioni sostanziali e formali attraverso l’argomentazione giuridica. A questi fini, all’insegna del weighting rules, questo autore ha sistematizzato una rilevante quantità di criteri che determinano l’importanza dei temi giuridici trattati. Essi includono la legittimazione democratica, il valore dei principi sostanziali coinvolti, la qualità di una sentenza se sottoposta a scrutinio e considerazioni basate sulla sussidiarietà [75]
.
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Note
[67] Si potrebbero richiamare le eccezioni offerte nell’art. XX GATT (le sue clausole necessary to). Cfr. Bücheler, Proportionality in investor-state arbitration, cit., pp. 70-74, e Tancredi, Trade and Interlegality, in Klabbers e Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit., pp. 158 ss., spec. 170 e 176 ss. Si veda anche il dibattito sull’art. V (2) (b) della Convention on the Recognition and Enforcement of Foreign Arbitral Awards di cui dà conto Pirker, Proportionality analysis and international commercial arbitration – the example of public policy and domestic courts, cit.
[68] E. Vranes, Der Verhältnismäßigkeitsgrundsatz. Herleitungsalternativen, Rechtsstatus und Funktionen, in «Archiv Des Völkerrechts», 2009, pp. 21 ss., distingue tre elementi interconnessi nel contesto di simili obiezioni all’uso della proporzionalità in diritto internazionale: i) manca un catalogo esaustivo o un ordine dei valori in diritto internazionale, ii) non esiste una gerarchia di valori nel diritto internazionale e iii) il bilanciamento nel diritto internazionale (o in generale) non è obiettivo.
[69] Specialmente i contributi più risalenti hanno esposto il punto nei termini della incommensurability. L’idea è che la comparazione (o il bilanciamento) di diversi diritti o interessi assomiglia a comparare «whether a particular line is longer than a particular rock is heavy». Questa frase deriva dal dictum del giudice Scalia nel caso statunitense Bendix Autolite Corporation v. Midwesco Enterprises, 486 US 888 (1988) § 897 (nel suo contesto originario, la citazione riguardava una sconfessione del bilanciamento tra «the governmental interests of a state against the needs of interstate commerce», permettendo al contrario «“balancing” judgments in determining how far the needs of the State can intrude upon the liberties of the individual» come «of the essence of the courts’ function as the nonpolitical branch»). Almeno etimologicamente, l’incommensurabilità suggerisce che non esiste una misura comune tra due oggetti (o valori). Si potrebbe obiettare, peraltro, che anche se i valori (o gli altri oggetti) non hanno misura in comune o sono in altro modo incommunicable gli uni con gli altri, ciò non impedisce di per sé che possano essere comparati. Nelle parole di N. Petersen, Alexy and the «German» Model of Proportionality: Why the Theory of Constitutional Rights Does Not Provide a Representative Reconstruction of the Proportionality Test, in «German Law Journal», 2020, pp. 163 ss.: 165: «human beings have to make choices between incommensurable values all the time».
[70] Cfr. R. Chang, Comparativism: The Grounds of Rational Choice, in Lord e Maguire (a cura di), Weighing Reasons, cit., pp. 213 ss. Si veda anche una rassegna sintetica del dibattito tra diverse versioni di incommensurabilità e incomparabilità dei valori in R. Chang, Value incomparability and incommensurability, in The Oxford Handbook of Value Theory, 2015, pp. 205 ss. Per due opinioni contrapposte sulle conseguenze degli argomenti di Chang sulla parity in tema di valutazioni di proporzionalità, si leggano V.A. Da Silva, Comparing the incommensurable: constitutional principles, balancing and rational decision, in «Oxford Journal of Legal Studies», 2011, pp. 273 ss., e C. Caviedes, Chang’s Parity: An Alternative Way to Challenge Balancing, in «The American Journal of Jurisprudence», 2017, pp. 165 ss.
[71] Per questo esempio, si veda R. Chang, The Possibility of Parity, in «Ethics», 2002, pp. 659 ss., spec. 673 ss.
[72] Cfr. Kleinlein, Judicial Lawmaking by Judicial Restraint? The Potential of Balancing in International Economic Law, cit., p. 258.
[73] Il riferimento a un «unrestrained space of reasons» si deve a J. Habermas, A Short Reply, in «Ratio Juris», 1999, p. 445 ss.: 447, ma il suo uso in questa sede è più generale, evocando un disregard dei vincoli giurisdizionali.
[74] Cfr. M. Klatt, Die praktische Konkordanz von Kompetenzen, Tübingen, Mohr Siebeck, 2014; Id., Balancing competences: How institutional cosmopolitanism can manage jurisdictional conflicts, cit.
[75] Cfr. Klatt, Balancing competences: How institutional cosmopolitanism can manage jurisdictional conflicts, cit., pp. 214-217. Per un elenco dei fattori necessari per valutare, o per assegnare l’importanza di soddisfare (o meno) alcune competenze, Id., Positive rights: Who decides? Judicial review in balance, cit., pp. 367-373, che individua, con riferimento alle istituzioni degli Stati costituzionali: la qualità della decisione primaria, l’affidabilità epistemica delle premesse argomentative adoperate per una decisione, la legittimazione democratica, il significato dei principi sostanziali in gioco e la specifica funzione nella divisione del lavoro in un sistema tra il terzo e il primo potere.