Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c2
Il peso specifico di ciascuna fonte non si colloca secondo un ordine formale, instaurando così una forma precostituita di gerarchia, perché quel «peso» non è determinato in un contesto olistico, che fissi un comune parametro di misurazione e, di conseguenza, una graduazione. Se così fosse, si tratterebbe di un ritorno alla legalità al singolare, consegnata ad una norma che determina la gerarchia in astratto fra legalità. Il peso specifico, inteso come la qualità di ciascuna fonte, è ciò che la distingue dall’altra e che è oggetto di riconoscimento, in rapporto alle circostanze del caso. Ovviamente, il reciproco riconoscimento comporta che la specifica qualità normativa della fonte possa lasciare la sua traccia nell’iter che conduce alla regola. Può accadere, nella considerazione di norme concorrenti, che una fonte eserciti per la sua qualità la forza centripeta, lasciando alla fonte concorrente il ruolo gregario di vincolo o limite di efficacia. L’interlegalità, in quanto comporti ad esempio un bilanciamento fra principi costituzionali, è un fenomeno chiaroscurale [54]
: non ci sarebbe mai un principio o una fonte del tutto vincente, o del tutto perdente. Le gradazioni del chiaroscuro, più o meno accentuate, dipendono dallo specifico contatto da un lato tra fonti normative e dall’altro tra queste e la concretezza del caso, e in quel contatto si determinano i livelli di rilevanza o di prevalenza, e da esso dipende, come per i principi costituzionali, la loro ordinazione, nella particolarità della singola controversia che il giudice deve dirimere.
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7. Il carattere non relativista dell’interlegalità

Il reciproco riconoscimento è indifferente ai contenuti dell’ordinamento con cui si entra in relazione? L’interlegalità dà luogo ad una forma di relativismo giuridico? Che l’esito del reciproco riconoscimento non rappresenti la fine delle differenze lo dimostra già il peso della fonte nella dinamica della legalità al plurale. Occorre ora definire meglio in cosa l’interlegalità si distingua da un approccio relativista.
«Trasformazioni» del diritto come il costituzionalismo prima, e l’interlegalità dopo, rappresentano processi di differenziazione – per usare il termine della teoria luhmanniana dei sistemi – all’interno del diritto. Tali processi vanno nella direzione della moltiplicazione di vincoli, rectius auto-vincoli, per il diritto, direzione in cui l’interlegalità rappresenta uno stadio ulteriore.
Il linguaggio che corre fra gli ordinamenti, nell’«in-between» del caso, è quello della legalità, e cioè quello caratterizzato dalla precedenza del diritto rispetto al potere, o come tradizionalmente si dice del «rule of law» sul «rule of men». Dispiegandosi come ambiente dominato dal diritto, l’«in-between» ad esempio non esclude ma consente di appellarsi ad un giudice indipendente, sebbene lo consenta spesso nei confronti di fora multipli, e apre al riconoscimento tra regimi, ordini giuridici, fonti normative che condividano il senso prescrittivo del rule of law.
Se è infatti da escludere che si tratti di uno spazio «vuoto» di diritto, allora vale in esso un ideale normativo quale il rule of law (RoL) che appare consolidato nei documenti giuridici statali, regionali e inter- e sovra- nazionali. Poiché i suoi connotati non possono essere system-dependent, ossia fissati unilateralmente da uno degli attori, il RoL può assumere una centralità come parametro nei confronti di ordini di diversa origine, natura, scopo, determinando le condizioni per l’accesso al mutuo rispetto.
Quale concezione del RoL entra in gioco? Il RoL porta con sé certamente l’aspirazione alla non arbitrarietà e alla limitazione del potere, ma in termini giuridici esso consiste {p. 60}in una limitazione del diritto mediante il diritto [55]
. Nella ricostruzione dell’ideale normativo alla quale aderiamo, non si tratta della mera esistenza di un ordine giuridico purchessia: la linea di ispirazione ha una radice eminentemente anglosassone, nel solco che congiunge Henry de Bracton (e la coppia gubernaculum/jurisdictio), Edward Coke (cfr. Bonham’s case), i Federalist Papers e la nozione statunitense della «judicial review» i quali tutti concorrono a manifestare una generale logica: quella di una pluralità di fonti capaci di temperarsi l’un l’altra [56]
. Ciò che realizza il RoL è dunque precisamente quella dualità nell’organizzazione del diritto, il quale in parte ha per centro il sovrano, per altra parte un «altro» diritto che quegli non può sovrascrivere, che sia il common law governato dai giudici inglesi o l’insieme dei principi costituzionali contemporanei che incarnano in altro modo un tessuto del diritto irriducibile a quello sottoposto al gubernaculum (e che non è a disposizione di questo) [57]
. Ciò che controbilancia il lato «strumentale» {p. 61}del diritto contribuisce fondamentalmente alla tutela della libertà di ciascuno da una fonte dominante che monopolizzi la definizione della legalità. In questa dualità, in questo schema risiede il senso essenziale del RoL. La ratio ideale è prevenire la concentrazione di uno specifico potere, quello della produzione del diritto, contro la cui monopolizzazione nelle mani di un unico detentore, capace di modificarlo a piacimento, esso contrasta. E tale tensione ben si proietta al di fuori del familiare ambito dello stato, nell’incrociarsi dei poteri jusgenerativi anche oltre gli Stati (includendo quindi entità regionali o globali che esercitano un potere regolatorio in vasti settori funzionali). Anche nello spazio inter e ultra-statale il RoL deve prevenire la riduzione del diritto a un mero unilaterale monopolio, il vero presupposto di ogni arbitrarietà.
I noti requisiti che la teoria del diritto elenca da Fuller a Raz [58]
, per esempio, come pubblicità, non-retroattività, possibilità di essere obbedito, rispetto di canoni di «natural justice», e via seguendo, sono certamente essenziali perché il diritto possa «funzionare» come tale, ad esempio assolvendo efficacemente al compito di guidare i comportamenti. Le condizioni della legalità sono le condizioni minime di uno stato di diritto (come per esempio lo stato «legislativo», pre-costituzionale europeo), ossia di un rule by law. Associato a quest’ultimo, come la sua struttura principale, è appunto il principio di legalità: ma realizzarlo non disinnesca di per sé alcun rischio di quella autocratica onnipotenza della legge, capace di eleggere a legalità qualsiasi decisione, inclusa quella che, ad esempio, cancelli i diritti degli individui. Testimone di questo decadere del RoL nel mero rule by law è l’esperienza – non comparabile a quelle angloamericane né alle trasformazioni degli Stati costituzionali –, dello stato di diritto continentale europeo tra Ottocento e Novecento. Il RoL dunque ha a che fare con la organizzazione strutturale della legalità: dove il RoL prevale, la qualità della legalità {p. 62}comporta una virtuosa tensione tra legittime fonti capaci di competere e di concorrere.
Nello scenario inter ed extra-statale la dualità che caratterizza il rule of law possiede due volti e si svolge su due piani: da un lato quello della limitazione del potere normativo, dall’altro quello del rispetto della diversità. L’una funziona sia in proprio sia attraverso l’altra. Da un lato, in primo luogo, la tensione che il RoL idealmente incarna si è sviluppata nel tempo grazie all’emergere nel corso dell’ultimo secolo di presidi normativi capaci di limitare il monopolio jusgenerativo, per esempio stabilendo obbligazioni per tutti gli attori internazionali, oltre il dogma internazionalistico del consenso e dunque erga omnes, oppure attribuendo il rango di jus cogens a norme che di conseguenza la mera volontà degli Stati non può sovrascrivere legittimamente [59]
; Corti sopranazionali agiscono in base a principi di diritto positivo, divenuti cardine della civiltà giuridica, includendo il rispetto dei diritti umani, dei canoni democratici, delle libertà principali, maturati generalmente entro il costituzionalismo moderno; e convenzioni regionali in vari continenti esercitano una funzione di controllo della qualità e del funzionamento della legalità sulla base di parametri di riferimento tendenzialmente universalizzabili. D’altro lato, e in secondo luogo, oltre lo svilupparsi di strati normativi capaci di condizionare la legalità convenzionale e muniti della forza giuridica necessaria a resistere al gubernaculum dei grandi regimi globali o degli Stati, la dualità tipica del RoL si sostiene proprio attraverso la tutela della pluralità delle legalità (regionali, internazionali, globali, statali, ecc.) sottoponendo ciascuno degli «attori» in gioco al rispetto di sempre più esigenti criteri normativi, necessari per accedere allo spazio interlegale, e a preservare le condizioni di mutua considerazione. Questo equilibrio è allo stesso tempo ciò che l’interlegalità induce e ciò che il RoL richiede [60]
.{p. 63}
Prevenire l’unilateralità nella graduazione delle fonti e nella decisione delle questioni giuridiche, attraverso l’apprezzamento interlegale delle ragioni e delle pretese normative in concorso o in conflitto, è conforme all’ideale del RoL quale limitazione del diritto mediante il diritto. E quest’ultimo condiziona il gubernaculum degli stessi Stati a un limite, a condizioni di accessibilità al teatro della interlegalità, grazie allo svilupparsi di quegli strati di legalità che proteggono conquiste di civiltà giuridica maturate specialmente nell’ultimo secolo.
Non si può certo nascondere che sia questa nozione di RoL sia quella di interlegalità non tendono a produrre una sorta di bene comune globale (né ne avrebbero il compito), risultando invece in una cucitura complessa e per segmenti di diverse pretese in circostanze determinate di sovrapposizione. Pretese normative che hanno le concorrenti legalità come il proprio veicolo, e che portano con sé progetti, bisogni e realtà di differenti pratiche sociali.
Ad entrare in gioco non è dunque una qualche idea di un presupposto, unitario, bene comune, ma la prospettiva della giustizia: il giusto inteso come eguale considerazione e rispetto delle sfere di libertà di ciascuno, e riferito allo status della nostra coesistenza; il giusto inteso come priorità rispetto alla varietà delle preferenze e delle concezioni del bene [61]
, volto ad assicurare che le pretese possano avere «voce» ed essere trattate su un piano di correttezza giuridicamente garantita.
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Note
[54] Secondo la definizione che ne dà la Corte di Cassazione italiana, Sez. U., 9 settembre 2021, n. 24414, par. 23.1, la quale ha sostenuto, nel caso concernente l’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche, che l’adozione del criterio della proporzionalità comporta la «natura chiaroscurale del bilanciamento del diritto fondamentale».
[55] G. Palombella, Oltre il principio di legalità dentro e fuori lo Stato. I due versanti del diritto e il «rule of law», in G. Pino e V. Villa (a cura di), «Rule of law». L’ideale della legalità, Bologna, Il Mulino, 2016, pp. 64 ss.; Id., È possibile una legalità globale?, cit., cap. I: L’ideale della legalità e il «rule of law», pp. 17-66.
[56] Anche la sovranità inglese è condivisa tra Corona, Lords e Commons, e il diritto evolve anche attraverso il common law e le corti, interpreti ultime, peraltro, della coerenza complessiva del sistema: secondo A.V. Dicey: «Il Parlamento è il legislatore supremo, ma dal momento in cui il Parlamento ha manifestato il suo volere in qualità di autorità legiferante, tale volere viene assoggettato all’interpretazione che è posta in essere dai giudici del paese, e a loro volta, i giudici che operano sotto l’influenza della mentalità del magistrato non meno che sotto quella dello spirito della common law sono inclini a interpretare le eccezioni legislative ai princìpi di common law secondo modalità che non riscuoterebbero l’approvazione di un collegio di funzionari della Corona, o delle Camere del Parlamento se queste fossero invitate ad interpretare le loro stesse statuizioni». (A.V. Dicey, Introduzione allo studio del diritto costituzionale. Le basi del costituzionalismo inglese, Bologna, Il Mulino, 2003, pp. 348-349).
[57] Gli Stati costituzionali approssimano tale «dualità» proteggendo, anche dalle maggioranze sovrane e parlamentari, principi e diritti cui attribuiscono lo stesso rango del principio democratico da cui discende la legislazione «politica».
[58] L. Fuller, La moralità del diritto, Milano, Giuffrè, 1986, pp. 65-122; J. Raz, The Rule of Law and Its Virtue, in Id., The Authority of Law, Oxford, Clarendon Press, 1979, pp. 214-218.
[59] G. Palombella, The Rule of Law at home and abroad, in «Hague Journal on the Rule of Law», 8, 2016, pp. 1 ss.
[60] Per esempio, come scrive Yuval Shany: «[I]t is the combination of discretion on the part of national authorities and non-intrusive review by international courts which may produce the right mix between deference and supervision, in the light of the comparable advantages of the two sets of actors» (Y. Shany, Toward a General Margin of Appreciation Doctrine in International Law?, in «European Journal of International Law», 15, 2005, pp. 907 ss., 907).
[61] Come John Rawls (Una teoria della giustizia, Milano, Feltrinelli, 1984) sostiene: «I principi di diritto e della giustizia limitano le soddisfazioni cui si dà valore, impongono restrizioni sulle concezioni ragionevoli del proprio bene». I principi della giustizia «specificano i confini che il sistema dei fini umani deve rispettare» (ibidem, pp. 42-43). La rilevanza del giusto si studia anche nella Critica della ragion pratica, nella quale Kant sostiene che il nostro concetto di «bene» non dovrebbe determinare ciò che è «giusto» e definire ciò che vale come «legge morale», ma al contrario «è la legge morale che anzitutto determina e rende possibile il concetto del bene» (Critica della ragion pratica, Roma-Bari, Laterza, 1982, p. 79).