Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c3
Quando dunque il caso concreto, almeno nelle situazioni di interlegalità che qui ci interessano, è proiettato al centro della vita del diritto, devono essere affrontate due questioni fondamentali. La prima, preliminare, attiene al chiarimento concettuale circa la differenza ed il rapporto tra i concetti di fatto e di caso (§ 3.2). La seconda, all’importanza decisiva del racconto, cioè di come sono presi in considerazione e poi selezionati i fatti empirici rilevanti per le qualificazioni giuridiche, al fine di ricostruirli per l’appunto nell’ottica delle diverse qualificazioni possibili, portatrici di prospettive di valore differenti e non di rado contrastanti (anzi, proprio quando contrastanti nasce il vero problema di quale sia il diritto applicabile, cui la prospettiva dell’interlegalità intende offrire il contributo più originale). In proposito, si dovrà accennare anche al ruolo del «contesto» nell’interpretazione
{p. 75}ed applicazione del diritto rilevante (§ 3.3). Infine, ci si soffermerà sulla tecnica di descrizione del «caso» a partire dai fatti, ricorrendo ai suggerimenti formulati da un esponente della linguistica nella prima metà del Novecento (§ 4).

3.2. L’importanza di essere un fatto

I termini di fatto e caso concreto sono talvolta utilizzati in modo fungibile, evocati ma non specificamente tematizzati. Anche in un recente, cospicuo testo manualistico di teoria generale del diritto, caso e fatto trascorrono l’uno nell’altro senza che ne sia definita una cornice concettuale davvero nitida. Così, Umberto Breccia definisce il caso come un fatto, cioè un frammento di esperienza che sia determinato nel tempo e nello spazio [22]
; il caso, insomma, è innanzi tutto un fatto della vita. Come frammento della vita, è oggetto di qualificazioni giuridiche, a volte contrapposte. Così è espresso un insegnamento classico: «Fatto altro non è se non un accadimento temporale che, idoneo a modificare la realtà materiale, può essere o non essere giuridicamente rilevante a seconda della concreta previsione che ne abbia fatto il legislatore»; e ancora, «i fatti, ovvero eventi, se hanno poi, dal punto di vista materiale, una propria chiara e netta autonomia, essendo ogni fatto per sua natura singolo, possono invece collegarsi e ridursi ad unità una volta presi in considerazione dal legislatore» [23]
.
Pure nel contesto dell’interlegalità accade di notare come sia facile trascorrere dall’un termine all’altro: richiamando quanto affermato più sopra (§ 2), sono le circostanze che si irradiano dal «fatto» che chiamano in causa diversi ordinamenti, e se il primo è unico o unitario, ad esso si contrappone la pluralità delle fonti [24]
; la questione giuridica posta dalla {p. 76}convergenza fra più ordinamenti non coordinati e non ordinati fra loro «riguarda proprio quale sia la disciplina di un fatto» [25]
, ed ancora, il primo momento dell’argomentazione interlegale è identificato come accertamento dei caratteri propri del caso [26]
.
Il primo, elementare significato del fatto è quello di accadimento concreto della vita per il quale venga invocato a qualunque titolo l’intervento del diritto. Il richiamo all’importanza dei fatti può essere banale, ma è il punto di partenza per comprendere quale diritto applicare (e, dovremmo aggiungere, se confermare che quei fatti reclamano l’intervento del diritto): per usare le parole di Antonin Scalia,
Don’t underestimate the importance of facts. To be sure, you will be arguing to the court about the law, but what law applies –what cases are in point, and what cases can be distinguished –depends ultimately on the facts of your case [27]
.
Detto questo, il fatto concreto emerge pressoché sempre come presupposto di varie qualificazioni possibili, eventualmente capaci di portare ad esiti non soltanto diversi ma persino contrapposti. Le qualificazioni sono oggetto di un «bilanciamento» da parte del giudice; la sussunzione è un mero strumento a partire dal quale, ma non mediante il quale o per effetto diretto del quale è presa la decisione su quale delle qualificazioni possibili è maggiormente pertinente al fatto/caso. Non c’è molto spesso una sola norma che qualifica il fatto, che ne costituisca l’unica premessa maggiore; il fatto attrae più norme e la scelta fra queste precede il meccanismo di vera e propria sussunzione.
V’è da dire che la qualificazione del fatto non è neutra, poiché la stessa istanza di qualificazione è portatrice di valori. Qui non ha senso affrontare la distinzione filosofica tra fatto e valore (irresolubile), quanto piuttosto sottolineare l’impor{p. 77}tanza di un’accurata ricostruzione del fatto proprio alla luce dei diversi valori che su di esso possono essere proiettati.
Si pensi, fra moltissimi esempi possibili, al caso Melloni, oggetto di un duro contrasto fra il tribunale costituzionale spagnolo e la Corte di giustizia dell’Unione europea circa le condizioni di esecuzione di un mandato d’arresto europeo [28]
. Com’è noto, la vicenda nasceva dal rifiuto di eseguire in Spagna un mandato di arresto emesso da giudice italiano, perché la sentenza era stata resa in contumacia e l’ordinamento italiano, diversamente da quello spagnolo che prevede l’obbligatoria presenza dell’imputato, non avrebbe consentito nel caso di specie la nuova celebrazione del processo (questa volta, ovviamente, «in presenza»). Per parte sua, il Tribunale costituzionale aveva ritenuto di applicare gli standard nazionali di tutela, alla luce dei quali sarebbe stato doveroso rifiutare la consegna qualora, per l’appunto, l’ordinamento del giudice richiedente (nella specie, italiano) non ammettesse la nuova celebrazione del giudizio; ciò, pur ricorrendo in concreto le eccezioni [29]
al motivo di rifiuto di consegna consistente nell’avvenuta celebrazione del processo in absentia [30]
: eccezioni basate, in sostanza, proprio sul rispetto della funzione protettiva del diritto ad essere presenti, garantito mediante compiuta informazione del processo e garanzia del diritto di difesa. Di contro, la Corte europea ha replicato che i diritti procedurali di natura costituzionale a livello esclusivamente nazionale non possono avere priorità sugli obblighi di cooperazione derivanti da uno strumento fondato sul mutual trust.
Se si conviene – tutti convenivano – che il diritto ad essere presenti al processo è un diritto fondamentale dell’imputato {p. 78}(momento valoriale), e non ha nulla a che vedere con interessi non strettamente individuali – quali sono invece ravvisabili, ad esempio, nel caso del processo per crimini internazionali da celebrare di fronte alle Corti internazionali – [31]
, è evidente che il diritto è garantito se nel caso concreto è stata precisamente una scelta dell’interessato quella di non essere presente al processo, nonostante l’ordinamento lo abbia posto in condizione di difendersi in modo efficace [32]
. E chiunque abbia esperienza di processi penali sa bene quanto assolutamente inderogabile sia garantire proprio questa scelta, anche per mere ragioni tattiche della difesa, quand’anche l’ordinamento giuridico – nelle vesti funzionali della pubblica accusa o dello stesso giudice che volesse «vedere negli occhi» l’imputato – abbia invece interesse a vederlo presente.
Per quanto interessa ai fini del nostro discorso, dunque, si può concludere in questi termini. Il contrasto fra le due Corti è stato proposto come contrasto di valori: massima tutela dei diritti individuali da un lato; mutua fiducia in ottica di collaborazione nell’efficace esecuzione del diritto europeo, dall’altro. Entrambe queste prospettive hanno finito, con la loro unilateralità, per far perdere di vista il caso concreto: in quest’ultimo, il valore pur sempre condiviso – la libertà di scegliere – risultava rispettato perché l’interessato aveva consapevolmente scelto di non partecipare al processo in presenza di ogni altra garanzia, e tanto sarebbe bastato per assumere coerentemente una prospettiva interlegale. Coerentemente: compatibilmente, cioè, sia con la prospettiva nazionale, sia con quella europea. In tal senso, sembra che un’accurata considerazione del caso concreto consenta di escludere che esista un reale contrasto tra dovere di cooperazione basato sul mutual trust, prevalente nella prospettiva unilaterale assunta dalla Corte europea, e lo «higher standard of protection» dei diritti fondamentali, prevalente nell’op{p. 79}posta prospettiva, pure unilaterale, assunta dal Tribunale costituzionale spagnolo. Invero, proprio quest’ultimo non può essere predicato in astratto, ma deve essere riferito alle caratteristiche della vicenda in cui quei diritti sono affermati; ed è questa, ad esempio, la posizione che si è affermata nella giurisprudenza dei tribunali penali internazionali [33]
. Ed è forse, questa, la prospettiva più innovativa, se non rivoluzionaria, dello sguardo aperto all’interlegalità.

3.3. Dal fatto al caso («case», «Kasus»)

Una volta chiarito il concetto di fatto e la sua relazione con le qualificazioni plurime che su di esso possono convergere, si può, a questo punto, definire il «caso» come il fatto che diviene oggetto di più qualificazioni giuridiche. Esso non coincide con l’esito definitivo della sussunzione da parte di un giudice o di un arbitro in senso lato – quello è la decisione sul caso – ma piuttosto ne rappresenta la condizione di partenza. Il caso è dunque il rapporto tra fatto e qualificazioni possibili e concorrenti; con l’avvertenza che, in realtà, potrebbe trattarsi sia di qualificazioni giuridiche di natura pubblicistica, sia di qualificazioni che traggono la giuridicità dal riconoscimento della normatività ai rapporti inter-privati, sia di qualificazioni operate alla stregua di norme etiche e/o sociali. La qualificazione, insomma, è procedimento complesso nel quale il giudice deve sempre tenere in conto la possibilità che nessuna norma dell’ambito giuridico coinvolto, e addirittura che nessuna norma giuridica qualifichi il fatto.
Detto altrimenti, il fatto ridotto all’osso emerge soltanto se depurato da ogni nota di qualificazione; il caso nasce
{p. 80}quando il fatto è inteso come centro di attrazione di ogni qualificazione possibile, salvo poi decidere quale sia la qualificazione pertinente. In realtà il caso nasce nel momento in cui sono considerate le qualificazioni possibili. Se si tratta di un caso giurisprudenziale, quelle qualificazioni sono prese in considerazione per soppesarle e/o bilanciarle in un’attività di decisione che può portare a vari risultati (la decisione sul caso).
Note
[22] Cfr. U. Breccia, Teoria generale del diritto, Pisa, Pacini, 2019, pp. 405, 451.
[23] F. Gazzoni, Diritto privato, Napoli, ESI, 81.
[24] Palombella e Scoditti, L’interlegalità e la ragion giuridica del diritto contemporaneo, in questo volume, § 2.
[25] Ibidem, p. 45 (corsivo aggiunto).
[26] Ibidem, p. 37 e p. 49.
[27] A. Scalia e B.A. Garner, Making Your Case. The Art of Persuading Judges, St. Paul (MN), Thomson West, 2008, p. 9.
[28] C-399/11, Melloni v. Ministerio Fiscal, su cui cfr. di recente un commento in V. Mitsilegas e L. Mancano, Melloni: Primacy versus Rights?, in V. Mitsilegas, A. di Martino e L. Mancano, The Court of Justice and European Criminal Law, London, Hart, 2019, pp. 393 ss.
[29] Art. 4 bis 1 (a) e (b) della decisione quadro 2002/584 sul MAE.
[30] La regola generale (art. 4 bis, primo periodo) prevede che «l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può altresì rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo emesso ai fini dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà se l’interessato non è comparso personalmente al processo terminato con la decisione».
[31] Sull’equivocità dello Statuto di Roma su questo aspetto, cfr. per tutti W. Schabas, An Introduction to the International Criminal Court, II ed., Cambridge, Cambridge University Press, 2017, pp. 285-288.
[32] Cfr. anche quanto precisato dalla Corte EU nel caso Dworzecki (C-108/16, Openbaar Ministerie v. Pawel D., §§ 49-53).
[33] Per questo rilievo cfr. Schabas, An Introduction to International Criminal Court, cit., p. 285, che più oltre commenta: «the fact that common law jurisdictions make a number of exceptions, and allow for such proceedings [=in absentia] where appropriate, shows that this is not an issue of fundamental values so much as one of different practice» (ibidem, p. 286). In realtà il diritto fondamentale non è tanto quello ad essere giudicato in presenza, ma a poterlo scegliere senza pregiudizi per il rispetto dei principi del fair trial (a cominciare dalla presunzione di innocenza).