Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c15
Più rari – ma non del tutto assenti, nel panorama normativo analizzato – sono anche i casi nei quali la prospettiva dell’interlegalità si manifesta in una diversa luce [70]
, là dove i singoli ordinamenti giuridici tentano di gestire già al livello della regolazione l’interazione tra i propri processi di governo e quelli degli ordinamenti contigui, attribuendo alle autorità protagoniste dello spazio amministrativo globale il compito di gestire il conflitto o, eventualmente, il coordinamento con gli altri vettori normativi rilevanti. Prevale tuttavia, in tutte le ipotesi considerate, una tendenza dei singoli sistemi ad
{p. 430}assolutizzare le proprie esigenze, proiettandole su forme di sovrapposizione conflittuale. Nelle disposizioni brevemente analizzate, infatti, l’inevitabile interconnessione tra ordinamenti diversi è pur sempre concepita quale problema o evenienza, da gestire ex post nella fase applicativa, e non ex ante quale presupposto, capace di orientare la prospettiva e la struttura della regolazione.

4. La prospettiva dell’interlegalità nell’applicazione giurisprudenziale di regole unilaterali a Internet

A questo punto della riflessione non resta, dunque, che verificare se i limiti delle regolazioni unilaterali adottate dai vari ordinamenti possano, eventualmente, essere compensati dalla giurisprudenza, quando questa ha, per così dire, l’ultima chance di promuovere nel caso concreto il punto di vista dell’interlegalità. A tal fine si prenderanno in considerazioni alcune recenti pronunce, nelle quali i singoli giudici erano chiamati ad applicare talune delle discipline che, nei paragrafi che precedono, sono state prese ad esempio dell’atteggiamento unilaterale di alcuni regolatori: la legislazione nazionale in tema di diffamazione, la primigenia disciplina in materia di protezione dei dati adottata dall’allora Comunità europea e, da ultimo, gli Standard della community di Facebook.

4.1. Il caso «Glawischnig Piesczek c. Facebook»: l’applicazione della legge statale a contenuti di portata globale

La prima decisione oggetto di analisi è la pronuncia resa il 3 ottobre 2019 dalla Corte di giustizia dell’Unione europea nel caso Eva Glawischnig Piesczek c. Facebook Ireland Limited [71]
, ove la Corte era chiamata ad esprimersi circa la {p. 431}possibilità per gli Stati membri di attribuire efficacia globale ai provvedimenti adottati, sulla base della dir. 2000/31/CE, per ingiungere agli Internet service provider di bloccare l’accesso a contenuti giudicati illeciti sulla base della legislazione nazionale.
In particolare, il caso nasceva da un rinvio pregiudiziale della Corte Suprema austriaca, che, per poter fornire una tutela piena alla sig.ra Piesczek, gravemente lesa da contenuti diffamatori divulgati su Internet, avrebbe inteso estendere a livello globale l’efficacia dell’ordine di rimozione di tali contenuti dal Web, adottato a fronte della riscontrata violazione.
Di particolare interesse sono le valutazioni dell’avvocato generale Szpunar [72]
, che ha dettagliatamente analizzato la possibilità di ingiungere a un provider di eliminare a livello mondiale contenuti «che sono stati qualificati come illeciti in forza del diritto nazionale di uno Stato membro». A tale questione l’avvocato generale risponde in senso sostanzialmente negativo. Rileva, infatti, che le norme in materia di diffamazione costituiscano espressione di una sensibilità prettamente nazionale, la cui applicazione, peraltro, si pone sempre a valle di un bilanciamento con i contrapposti diritti fondamentali alla libertà di espressione e di informazione. Di conseguenza, l’eventuale attribuzione di una portata globale al proprio ordine di rimozione da parte della singola autorità nazionale comporterebbe che «l’accertamento del carattere illecito [dei contenuti in questione] esplichi effetti in altri Stati», estendendosi «sui territori di questi altri Stati» [73]
, senza tener conto del fatto che, sulla base delle leggi nazionali di {p. 432}volta in volta applicabili, tale informazione potrebbe anche risultare del tutto lecita.
In altre parole, come pur riconosciuto dall’avvocato generale, non è questione di giurisdizione, né di individuazione del giudice territorialmente competente, né di identificazione della legge applicabile: in gioco è una questione diversa, una «questione di merito» [74]
, derivante dall’esigenza di riconoscere la parzialità di qualsiasi punto di vista che ponga al centro la sola legge nazionale, e non, invece, il caso e tutte le sue regole.
L’avvocato generale suggerisce, dunque, al giudice del caso di adottare un «atteggiamento di autolimitazione» [75]
, contenendo per quanto possibile gli effetti extra-territoriali delle proprie ingiunzioni, nel rispetto della «cortesia internazionale» e, per così dire, facendosi carico dell’esigenza di riconoscere che la costruzione delle norme attraverso le quali un caso concreto va risolto richiede di considerare norme prodotte da altri ordinamenti.
Sul punto la Corte di giustizia ha sottolineato ancor più esplicitamente come, benché la direttiva 2000/31 non precluda agli Stati membri l’adozione di ingiunzioni che possano produrre effetti estesi a livello mondiale, ricada sul (singolo giudice del) singolo Stato membro la responsabilità di garantire che i provvedimenti da essi adottati e che producono effetti a livello mondiale tengano debitamente conto di tutte le norme applicabili a livello internazionale [76]
.
Ad ogni modo, il caso si rivela interessante soprattutto confrontando la posizione dell’avvocato generale – che, dopo aver significativamente posto in luce le contraddizioni che derivano dall’applicazione unilaterale di legislazioni statali su Internet, avrebbe inteso suggerire all’ordinamento austriaco un atteggiamento più cauto e, per così dire, deferente, rispetto alle legalità concorrenti – e le conclusioni della Corte, che non ha precluso l’adozione di provvedimenti nazionali con {p. 433}vocazione globale, ma ne ha condizionato la legittimità al rispetto di tutte le altre norme eventualmente applicabili. Anche al di fuori di tale logica formale, infatti, può essere il caso concreto a richiedere allo Stato nazionale di attribuire (eccezionalmente) efficacia globale ai propri provvedimenti restrittivi: ciò non certo in ogni situazione, ma soltanto qualora, ad esempio, gli interessi lesi da un contenuto pubblicato su Internet assumano un valore talmente pregnante da rendere universalmente recessivo il diritto alla libertà di espressione.

4.2. Il caso «Google c. CNIL» e il «timore» dell’interlegalità

Un’altra significativa pronuncia è stata resa dalla medesima Corte europea nel caso Google c. CNIL [77]
, deciso nel 2019 e relativo alla portata territoriale degli ordini di deindicizzazione adottati dagli Stati membri in applicazione del «diritto all’oblio», codificato a livello dell’Unione europea.
Il rinvio pregiudiziale traeva origine, in particolare, dalla controversia tra Google LLC e la Commission nationale de l’informatique et des libertés (CNIL) francese, relativa alla definizione dell’ambito territoriale entro il quale il gestore di un motore di ricerca deve dare attuazione al diritto di deindicizzazione, riconosciuto da uno Stato membro, in conformità con il diritto dell’Unione europea: mentre, infatti, ad avviso della CNIL la piena attuazione del «diritto all’oblio» richiedeva di operare la deindicizzazione dei contenuti su tutte le estensioni del nome di dominio del motore di ricerca a livello globale, Google rivendicava invece la sproporzionata lesione di diritti fondamentali, quali le libertà d’espressione, d’informazione, di comunicazione e di stampa, nonché la violazione dei principi di cortesia e di non ingerenza riconosciuti dal diritto internazionale pubblico. {p. 434}
Nuovamente, dunque, è in questione la possibilità di estendere a livello globale la qualifica di illiceità, attribuita all’interno di un ordinamento regionale: qualificazione che in tal modo si proietterebbe all’esterno dei confini del singolo ordinamento, indipendentemente dalle altre legislazioni eventualmente applicabili al medesimo caso concreto.
Anche in tale occasione l’avvocato generale Szpunar imposta le sue valutazioni riflettendo sulle diverse prospettive che assumono rilievo nel caso concreto: da un lato, quella della persona i cui dati personali devono essere protetti, messa al «centro» dalla Corte di giustizia sin dal caso Google Spain; dall’altro lato, «il punto di vista del soggetto che ricerca le informazioni», che «appare unicamente in via incidentale», ma che pur sempre rappresenta l’incarnazione degli altri diritti fondamentali che coesistono, con pari forza normativa, con il diritto all’oblio [78]
.
Le parole che seguono sembrano tuttavia esprimere un certo scetticismo, per l’applicazione giurisdizionale della prospettiva dell’interlegalità: proprio contemperando tali differenti ma altrettanto rilevanti prospettive, aggiunge infatti l’avvocato generale, le autorità degli Stati membri, al fine di attribuire all’ordine di deindicizzazione effetti di portata globale, dovrebbero poter previamente definire anche nel contesto mondiale la portata del contrapposto diritto all’informazione, per poterlo soppesare rispetto agli altri valori fondamentali tutelati mediante il riconoscimento del diritto all’oblio. Si tratta di un’operazione che, ad avviso ancora dell’avvocato generale, le autorità dell’Unione «non sarebbero in grado» di effettuare, tanto più che «un siffatto interesse del pubblico ad accedere all’informazione varia necessariamente da uno Stato terzo all’altro, a seconda della sua collocazione geografica» [79]
.
{p. 435}
Note
[70] Cfr. per la citata prospettiva E. Chiti, Shaping Interlegality. The Role of Administrative Law Techniques and Their Implications, in Palombella e Klabbers (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit., pp. 261 ss.
[71] Cfr. Corte di giustizia dell’Unione europea, Eva Glawischnig Piesczek c. Facebook Ireland, 3 ottobre 2019, causa C-18/18, su curia.europa.eu. In proposito a tale decisione, cfr. J J. Daskal, Speech across Borders, in «Virginia Law Review», 105, 2019, n. 8, pp. 1605 ss.; D.J.B. Svantesson, Scope of jurisdiction online and the importance of messaging – lessons from Australia and the EU, in «Computer Law & Security Review», 38, 2020, Article 105428.
[72] Cfr. Conclusioni dell’Avvocato Generale Szpunar presentate il 4 giugno 2019 nella causa C-18/18, su eur-lex.europa.eu; cfr. anche D. Keller, Dolphins in the Net: Internet Content Filters and the Advocate General’s Glawischnig-Piesczek v. Facebook Ireland Opinion, Stanford Center for Internet and Society, 2019, su cyberlaw.stanford.edu.
[73] Conclusioni dell’Avvocato Generale Szpunar nella causa C-18/18, cit., par. 80.
[74] Ibidem, par. 86.
[75] Ibidem, par. 100.
[76] Cfr. Corte di giustizia dell’Unione Europea, Eva Glawischnig Piesczek c. Facebook Ireland, cit., parr. 50-52.
[77] Cfr. Corte di giustizia dell’Unione Europea, Google c. CNIL, 24 settembre 2019, causa C-507/17, su curia.europa.eu. Per un’analisi di tale decisione, cfr. F. Fabbrini e E. Celeste, The Right to Be Forgotten in the Digital Age: The Challenges of Data Protection Beyond Borders, in «German Law Journal», 21, 2020, pp. 55 ss.
[78] Cfr. Conclusioni dell’Avvocato Generale Szpunar presentate il 10 gennaio 2019 nella causa C-507/17, su eur-lex.europa.eu, par. 44. In relazione all’importanza della prospettiva adottata nella censura di contenuti online, cfr. Daskal, Speech across Borders, cit., pp. 1649 ss.
[79] Conclusioni dell’Avvocato Generale Szpunar nella causa C-507/17, cit., par. 60.