Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c15
La soluzione prescelta all’interno di questa procedura è singolare: non soltanto, infatti, l’ICANN considera tutte le eventuali legalità concorrenti, su segnalazione dell’autorità locale competente a gestire il relativo registro di nomi di dominio [52]
, ma soprattutto si pone programmaticamente quale ordinamento recessivo nel caso di conflitto con leggi nazionali [53]
: si stabilisce, infatti, – senza che, tuttavia, si tratti di una soluzione imposta da alcun superiore principio di conflitto – l’avvio di procedure di consultazione cooperative, volte a definire le modalità concrete che consentano alla singola autorità, nel rispetto della (prevalente) disciplina statale, di rispettare anche per quanto possibile lo standard WHOIS [54]
.
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Vi sono altri ambiti, tuttavia, ove l’atteggiamento dell’ICANN si lascia apprezzare in senso inverso. Da un lato, infatti, l’approccio non sufficientemente «aperto» dell’ICANN è stato censurato dal Consiglio d’Europa, che, mediante un’apposita Dichiarazione [55]
, ha sottolineato come gli utenti di Internet dovrebbero godere dei propri diritti umani e libertà fondamentali assicurati dalla Convenzione europea e che tali diritti dovrebbero prevalere sui termini generali e le condizioni di servizio di soggetti privati ed entità specializzate, quale l’ICANN. In tal senso, il Consiglio d’Europa ha invitato l’ICANN a modificare la propria disciplina interna e le proprie decisioni tecniche in modo da renderle conformi e compatibili con i principi del diritto internazionale, le convenzioni internazionali e i singoli diritti locali, cui dovrebbe essere attribuito, ad avviso del Consiglio d’Europa, uno spazio sostanziale all’interno delle singole policies.
Dall’altro lato, sono altresì ricorrenti i conflitti tra la disciplina uniforme dell’ICANN in materia di tutela dei nomi di dominio e le legislazioni nazionali in tema di copyright: il che ha comportato, ad esempio, che l’assegnazione di un determinato nome di dominio a un soggetto richiedente risultasse al contempo illecita sulla base della policy interna dell’ICANN e lecita sulla base della legislazione nazionale applicabile. Si può ricordare, in proposito, la vicenda relativa al dominio barcelona.com [56]
, registrato dalla società Barcelona.com Inc., con sede nel Delaware, ma poi «rivendicato» dall’omonimo Comune spagnolo: mentre, infatti, ai sensi della Uniform Dispute Resolution Policy dell’ICANN la registrazione di tale nome di dominio costituiva una violazione dei diritti del Comune di Barcellona, non essendovi un legittimo {p. 426}interesse all’uso di tale denominazione, anzi impiegata in malafede per attirare utenti, la Court of Appeals for the Fourth Circuit, adita dalla società del Delaware, ha applicato alla controversia il diritto statunitense, che non tutela come marchio un «nome geografico generico» [57]
. Ciò rende ancora una volta evidente, nell’ambito della governance di Internet, la «costante tensione, ancora priva di una soluzione stabile, tra risorse che necessitano di una disciplina unitaria e la differenziazione degli ordinamenti nazionali» [58]
.

3.3. La «private governance» della rete: le piattaforme online

Il riferimento agli standard-setters globali impone infine di operare un cenno all’inedita forza normativa che su Internet ora assumono i gestori delle piattaforme online, che, tramite le policies interne, le condizioni d’uso, i termini di utilizzo, gli Standard della community – affiancati da autonomi meccanismi di enforcement – esercitano poteri para-statali su scala globale, disciplinando i comportamenti e le relazioni degli utenti [59]
.
Nella misura in cui, anzi, tali soggetti sono progressivamente responsabilizzati dagli Stati e dalle istituzioni sovranazionali e internazionali per il controllo di ciò che avviene su Internet, si assiste all’emersione di strutture triangolari [60]
, tra gli utenti, gli Stati e i provider, che finiscono, ad esempio, per condizionare pesantemente l’esercizio della libertà di {p. 427}espressione con forme di private governance, separate ed estranee a tutti gli ordinamenti sinora considerati [61]
.
Anche questi attori privati, dunque, concorrono ad accentuare la complessità del panorama normativo di Internet, esercitando poteri giuridici sostanziali idonei a incidere sui diritti fondamentali degli utenti, che, tuttavia, non si inseriscono all’interno di tradizionali relazioni gerarchiche tra ordinamenti. Non resta allora che chiedersi se essi assumano una prospettiva interlegale, nella produzione e nell’applicazione delle proprie policies.
Per provare a rispondere a tale quesito, può essere utile fare riferimento agli Standard della community di Facebook [62]
, rispetto ai quali è da poco attivo un organismo para-giurisdizionale, l’Oversight board [63]
, per lo scrutinio delle decisioni adottate dal social network. Ebbene, Facebook dichiara espressamente di aver tratto ispirazione, per l’elaborazione della propria policy, dagli «standard internazionali in materia di diritti umani» e di aver consapevolezza del fatto che le regole, così delineate «si applicano a tutti, in tutto il mondo», pur in presenza di consistenti differenze a livello locale. Di conseguenza, Facebook si impegna garantire che, da un lato, tali sfumature siano tenute in conto e, dall’altro lato, che gli standard della community siano applicati in modo coerente ed equo a tutti gli utenti, così da raggiungere uno standard globalmente uniforme [64]
.
Ad ogni modo, verificando il contenuto dei singoli standard, si scopre ad esempio che Facebook, pur riconoscendo che la vendita di determinati beni (come armi, farmaci o altre sostanze non medicinali) non sia soggetta a limitazioni ovunque – e che, dunque, non si tratti di contenuti sempre meritevoli di censura se pubblicizzati online –, abbia tuttavia previsto, «data la natura senza confini della nostra commu{p. 428}nity», di applicare la normativa (più restrittiva) in modo uniforme [65]
. Anche nella sezione dedicata alla pubblicazione delle immagini, Facebook ammette che l’applicazione degli standard concepiti in termini globali possa risultare in alcuni casi «più rigida» rispetto alle intenzioni, limitando «anche contenuti condivisi per obiettivi legittimi» [66]
.
Sembra dunque che Facebook, pur prendendo atto della sistematica sovrapposizione delle norme che contemporaneamente rilevano rispetto a un singolo caso, adotti nondimeno una soluzione che non sempre promuove la prospettiva dell’interlegalità, ma anzi esprime un approccio programmaticamente «universalistico», non considerando le ragioni dei singoli ordinamenti nei quali le policies sono di volta in volta applicate [67]
. Forse proprio tale tendenza omogeneizzante è alla base del recente comunicato dello Special Rapporteur on Minority Issues dell’ONU, che ha invitato Facebook e l’Oversight Board ad assumere anche il punto di vista di ciascuna delle minoranze e delle comunità eventualmente coinvolte, quando si tratti di decidere, di volta in volta, della rimozione di contenuti dal social network [68]
.

3.4. Prime conclusioni

In contraddizione, dunque, con l’idea del Web come un mondo senza confini, paradigma di una realtà globale, {p. 429}dall’analisi della regolazione emergono molteplici punti di tensione, accentuati dal fatto che le antiche forze territoriali e le nuove forze tipiche delle economie globali si propongono, in molti casi, come sfere giuridiche distinte e discrete [69]
, non sempre capaci di interagire e di riconoscere l’una le ragioni dell’altra.
L’esistenza di legalità separate e parallele ha, nello spazio globale di Internet, indubbie ripercussioni soprattutto sui singoli utenti e sugli operatori, i quali ex ante possono trovarsi nell’impossibilità di identificare le regole di condotta, qualora discipline convergenti stabiliscano obblighi contrastanti, ed ex post rischiano di essere sottoposti a standard di tutela variabili o di veder limitate le proprie possibilità di esercitare diritti costituzionalmente garantiti, a causa della sovrapposizione disordinata di strumenti regolatori che perseguono obiettivi contrastanti.
Alcune tra le soluzioni normative esaminate paiono, tuttavia, ascrivibili alla logica dell’interlegalità e risultano idonee, in potenza, a realizzare gli scopi e il senso di tale categoria: come si è visto, infatti, in alcune delle ipotesi considerate si è attribuito proprio al caso concreto il ruolo di segnalare un problema interlegale, per poi demandare all’autorità giudiziaria il compito di ricomporre le diverse legalità concorrenti.
Più rari – ma non del tutto assenti, nel panorama normativo analizzato – sono anche i casi nei quali la prospettiva dell’interlegalità si manifesta in una diversa luce [70]
, là dove i singoli ordinamenti giuridici tentano di gestire già al livello della regolazione l’interazione tra i propri processi di governo e quelli degli ordinamenti contigui, attribuendo alle autorità protagoniste dello spazio amministrativo globale il compito di gestire il conflitto o, eventualmente, il coordinamento con gli altri vettori normativi rilevanti. Prevale tuttavia, in tutte le ipotesi considerate, una tendenza dei singoli sistemi ad
{p. 430}assolutizzare le proprie esigenze, proiettandole su forme di sovrapposizione conflittuale. Nelle disposizioni brevemente analizzate, infatti, l’inevitabile interconnessione tra ordinamenti diversi è pur sempre concepita quale problema o evenienza, da gestire ex post nella fase applicativa, e non ex ante quale presupposto, capace di orientare la prospettiva e la struttura della regolazione.
Note
[52] La quale, come sottolinea ibidem, p. 85, agisce sia nell’interesse dello Stato cui appartiene, sia nel perseguimento delle finalità dell’ente globale di governo, cui è contrattualmente vincolata.
[53] Cfr. ancora la ricostruzione ibidem, pp. 140 ss.
[54] Si fa riferimento, in particolare, allo «Step Two: Consultation»: «The goal of the consultation process should be to seek to resolve the problem in a manner that preserves the ability of the registrar/registry to comply with its contractual WHOIS obligations to the greatest extent possible».
[55] Cfr. Declaration of the Committee of Ministers on ICANN, human rights and the rule of law, adottata dal Comitato dei ministri il 3 luglio 2015 in occasione della 1229ª riunione dei delegati dei ministri.
[56] L’esempio è ripreso da B. Carotti, Il sistema di governo di Internet, cit., pp. 214-215. Altri esempi sono riportati anche da G. Teubner e P. Korth, Two Kinds of Legal Pluralism: Collision of Transnational Regimes in the Double Fragmentation of World Society, in M. Young (a cura di), Regime Interaction in International Law: Facing Fragmentation, Cambridge, Cambridge University Press, 2012, pp. 23 ss.
[57] Ibidem, p. 215.
[58] Ibidem.
[59] In proposito, cfr. ad es. M. Bassini, Internet e libertà di espressione, Roma, Aracne, 2019, spec. p. 108, che analizza questi «nuovi poteri privati». Sul tema cfr. anche, in generale, J.M. Balkin, Free Speech Is A Triangle, in «Columbia Law Review», 118, 2018, pp. 2011 ss., nonché K. Klonick, The New Governors: The People, Rules, and Processes Governing Online Speech, in «Harvard Law Review», 131, 2018, pp. 1598 ss.
[60] Cfr. Balkin, Free Speech Is A Triangle, cit., pp. 2019 ss., ove si osserva come «the result is a burgeoning dialectic of governing power and public–private cooperation. Private-infrastructure companies develop ever greater governing capacities. Nation-states attempt to co-opt these capacities through coercion or threats of regulation».
[61] Cfr. ancora Bassini, Internet e libertà di espressione, cit., passim.
[63] Cfr. in proposito proposito K. Klonick, The Facebook Oversight Board: Creating an Independent Institution to Adjudicate Online Free Expression, in «The Yale Law Journal», 129, 2020, pp. 2418 ss.
[64] Cfr. Kohl, Conflict of Laws and the Internet, cit., p. 290.
[65] Cfr. lo standard 4. Beni soggetti a limitazioni legali, all’interno di: Parte I. Violenza e comportamenti criminali.
[66] Facebook, Linee guida per la sezione Notizie, reperibile su facebook.com/business. Cfr. anche Klonick, The New Governors, cit., p. 1642, ove si evidenza l’adozione di tale prospettiva globale tanto nella redazione degli standard quanto nella successiva applicazione.
[67] Sottolineano i rischi di questa impostazione F. Stjernfelt e A.M. Lauritzen, Your Post has been Removed. Tech Giants and Freedom of Speech, Berlin, Springer, 2020. Rileva Balkin, Free Speech Is A Triangle, cit., p. 2045, come proprio la responsabilizzazione dei provider da parte degli Stati abbia influito sulla diffusione di private codes che operano a livello globale per servire «the nation-state’s parochial ends».
[68] Cfr. Public Comment by UN Special Rapporteur on Minority Issues relating to cases on hate speech and minorities, reperibile su ohchr.org.
[69] Cfr. Schultz, Carving up the Internet, cit., p. 803.
[70] Cfr. per la citata prospettiva E. Chiti, Shaping Interlegality. The Role of Administrative Law Techniques and Their Implications, in Palombella e Klabbers (a cura di), The Challenge of Inter-legality, cit., pp. 261 ss.