Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c15
Sul versante del diritto internazionale, tuttavia, nonostante il tentativo delle Nazioni Unite di promuovere l’approvazione di un accordo-quadro sulla governance di Internet [42]
, non si è mai pervenuti all’adozione di un trat
{p. 420}tato appositamente dedicato alla disciplina della rete, pur trattandosi dello strumento apparentemente più indicato, almeno in una prospettiva tradizionale, per regolare un’infrastruttura globale; la Convenzione sul cybercrime adottata in seno al Consiglio d’Europa risulta, in effetti, l’unico strumento di diritto internazionale specificamente dedicato alla regolazione della rete [43]
.
Numerosi sono, invece, gli atti di soft law elaborati da organizzazioni internazionali per orientare lo sviluppo di una governance globale di Internet e per promuovere adeguati standard di tutela dei diritti fondamentali [44]
. Da questi documenti emerge l’intento programmatico di «ricomporre» ex ante le molteplici legalità che si sovrappongono sul Web mediante forme procedurali di cooperazione, che portino all’elaborazione di norme condivise per la gestione di Internet [45]
. Per il momento, tuttavia, la considerazione delle diverse legalità concorrenti rimane affidata alla responsabilità dei singoli ordinamenti, tanto a livello nazionale, quanto nel panorama sovranazionale e globale.

3.1. L’Unione europea

Alcuni spunti possono, in proposito, ricavarsi dall’analisi della disciplina europea in tema di Internet: e ciò a dispetto del fatto che l’Unione europea, pur avendo adottato nume{p. 421}rosi atti incidenti sulla regolazione del Web, abbia sovente assunto un approccio assimilabile a «quello di un legislatore interno» [46]
, focalizzandosi sulla disciplina delle attività che hanno luogo online, piuttosto che su una visione strutturale e «organica» della rete. Si allude, in particolare, alle prime direttive dedicate al commercio elettronico, alla tutela dei dati personali, al diritto dei consumatori o alla proprietà intellettuale, adottate per rafforzare il mercato unico interno e per proteggere, al contempo, i singoli dall’impatto di Internet nelle attività quotidiane [47]
.
In alcuni recenti interventi normativi dell’Unione emerge, tuttavia, con maggiore evidenza la consapevolezza del fatto che qualsivoglia disciplina europea si trovi, su Internet, a coesistere con le norme di altri ordinamenti giuridici, in parallelo con la ricerca di soluzioni funzionali a governare tale sovrapposizione.
In questo senso, ad esempio, è interessante la soluzione elaborata nel GDPR per disciplinare il trasferimento di dati personali verso Paesi terzi o organizzazioni internazionali: ai sensi dell’art. 45, infatti, tale trasferimento è ammesso soltanto laddove la Commissione ritenga che il soggetto destinatario dei dati garantisca un livello di protezione adeguato. La Commissione è, dunque, chiamata a valutare se le norme adottate nell’ordinamento giuridico di destinazione siano non già formalmente, quanto invece sostanzialmente adeguate ad assicurare tutela al caso concreto, rilevando non soltanto la «pertinente legislazione» dello Stato terzo ma anche «l’attuazione di tale legislazione». La considerazione delle diverse legalità rilevanti si colloca, quindi, già al livello amministrativo, nell’attuazione della disciplina in materia di protezione dei dati. La soluzione individuata non risponde, tuttavia, a un paradigma conciliativo, o di coordinamento, dato che si prestabilisce la prevalenza della disciplina europea e dei suoi scopi di tutela, senza ammettere alcuna considerazione degli interessi di ordinamenti concorrenti {p. 422}(e, dunque, senza attribuire alcuna rilevanza alle ragioni del caso nella definizione del diritto applicabile) [48]
.
La ricerca di soluzioni congegnate proprio al fine di mettere il «caso» al centro di tutte le norme che contemporaneamente rilevano emerge, invece, dalle proposte di regolamento e direttiva relative agli ordini europei di produzione e di conservazione di prove elettroniche in materia penale, in fase di elaborazione nell’Unione europea [49]
.
Secondo uno schema assimilabile a quello adottato nel CLOUD Act americano, infatti, si prevede, agli artt. 15 e 16 della proposta di Regolamento, un’apposita procedura di riesame degli ordini europei di produzione, qualora questi eventualmente contrastino con il diritto di uno Stato terzo, attivabile su segnalazione del provider destinatario dell’ordine. In tali casi, si prevede che l’autorità emittente sia tenuta a riconsiderare il proprio ordine europeo di produzione e che, nel caso in cui intenda confermarlo, debba chiederne il riesame da parte dell’organo giurisdizionale competente nel proprio Stato membro; a quest’ultimo la proposta di Regolamento espressamente richiede di valutare se effettivamente sussista il contrasto prospettato dal destinatario, esaminando il diritto del Paese terzo e cercando di comprendere quale tipologia di interessi esso intenda tutelare, mediante la previsione delle disposizioni che vieterebbero al provider la disclosure delle informazioni. Soltanto là dove ritenga, sulla base delle proprie autonome valutazioni, che effettivamente sussista un contrasto meritevole di riconoscimento, l’autorità competente dovrà interpellare altresì l’autorità centrale del Paese terzo, che potrà comunque opporsi all’esecuzione dell’ordine.
In quest’ultimo scenario pare allora di potersi identificare un significativo mutamento di prospettiva, dato {p. 423}che a un problema interlegale – ovverosia la coesistenza di più norme, provenienti da ordinamenti giuridici diversi, contemporaneamente rilevanti – si tenta di fornire una soluzione interlegale, riconoscendo le legalità degli Stati terzi e prevedendo che sia un diritto «composito» a regolare, in definitiva, le singole fattispecie. Si ammette, in altre parole, che gli interessi perseguiti dall’Unione europea possano contrastare con altrettanto rilevanti interessi e fini di Stati terzi e che, dunque, all’esito del coordinamento, possano essere le ragioni di questi ultimi a prevalere; soprattutto, si attribuisce ai singoli casi il compito di rendere manifesta e di risolvere l’eventuale dissonanza tra le diverse discipline convergenti.

3.2. Gli ordini «spontanei» della rete

I precedenti cenni al diritto internazionale e sovranazionale non esauriscono l’analisi dei vettori normativi che convergono su Internet: la natura tecnicamente complessa della rete, infatti, fa sì che al vertice del suo «sistema di governo» si trovino essenzialmente le entità non governative che concorrono a definire standard tecnici per l’operatività della rete, tra le quali l’Internet Engineering Task Force (IETF) e il World Wide Web Consortium (W3C), nonché, soprattutto, l’ICANN, che detiene il controllo del sistema di assegnazione dei nomi di dominio e, dunque, dello stesso funzionamento della rete [50]
.
Al fine di verificare se la regolazione di Internet promuova la prospettiva dell’interlegalità occorre allora operare un necessario riferimento anche a tali ordini «spontanei», che non derivano la propria autorità da altri ordinamenti giuridici, ma di fatto controllano e disciplinano il sistema {p. 424}di trasmissione dei dati, l’adozione dei protocolli e l’assegnazione dei nomi di dominio, ovverosia gli assi portanti del sistema che consente l’interconnessione tra i nodi locali.
Centrale è, in particolare, il ruolo dell’ICANN, un ente no-profit di natura privata che stabilisce gli standard tecnici di Internet su base globale, uniformando le tecniche di trasmissione [51]
. Orbene, nell’adottare le proprie policies, l’ICANN sembra dimostrare, almeno in alcuni casi, un atteggiamento interlegale: ad esempio, con la ICANN Procedure For Handling WHOIS Conflicts with Privacy Law, citata in premessa, l’ICANN prende espressamente atto della possibilità che le legislazioni nazionali in materia di protezione dei dati personali possano confliggere con lo standard WHOIS, che impone la pubblicazione di tutti i dati identificativi del soggetto che registra un nome di dominio su Internet.
La soluzione prescelta all’interno di questa procedura è singolare: non soltanto, infatti, l’ICANN considera tutte le eventuali legalità concorrenti, su segnalazione dell’autorità locale competente a gestire il relativo registro di nomi di dominio [52]
, ma soprattutto si pone programmaticamente quale ordinamento recessivo nel caso di conflitto con leggi nazionali [53]
: si stabilisce, infatti, – senza che, tuttavia, si tratti di una soluzione imposta da alcun superiore principio di conflitto – l’avvio di procedure di consultazione cooperative, volte a definire le modalità concrete che consentano alla singola autorità, nel rispetto della (prevalente) disciplina statale, di rispettare anche per quanto possibile lo standard WHOIS [54]
.
{p. 425}
Note
[42] Come rammenta G.M. Ruotolo, Internet (diritto internazionale), in Enc. Dir., Annali, Milano, Giuffrè, 2014, vol. VII, pp. 545 ss.: 552: «la firma di una Convenzione generale sulla governance del web era uno degli obiettivi del World Summit on the Information Society (WSIS) indetto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione del 21 dicembre 2001, n. A/RES/56/183». Tale iniziativa ha portato alla Dichiarazione Building the Information Society: A Global Challenge In The New Millennium, adottata a Ginevra il 12 dicembre 2003 e all’Impegno e all’Agenda adottati a Tunisi del 18 novembre 2005. Non si è, tuttavia, pervenuti all’adozione di una Convenzione generale dedicata alla governance di Internet.
[43] Cfr. in proposito anche B. de La Chapelle e P. Fehlinger, Jurisdiction on the Internet: From Legal Arms Race to Transnational Cooperation, in Frosio (a cura di), Oxford Handbook of Online Intermediary Liability, cit., pp. 736 ss.
[44] In questa prospettiva, cfr. Ketteman, The Normative Order of the Internet, cit., pp. 33 ss., ma anche 121 ss., che sottolinea come la governance di Internet quale common interest e la sua rilevanza per la tutela dei diritti umani abbiano comportato l’impegno di organizzazioni quali l’UNESCO, l’OSCE, l’OECD.
[45] Cfr. Ruotolo, Internet (diritto internazionale), cit., p. 556.
[46] Ibidem, p. 564.
[47] Cfr. in proposito A. Savin, EU Internet Law, Cheltenham, Edward Elgar, 2020, pp. 2 ss.
[48] Cfr. in proposito ad es. C. Ryngaert e M. Taylor, The Gdpr As Global Data Protection Regulation?, in «AJIL Unbound», 114, 2020, pp. 5 ss.
[49] Per un primo commento in relazione alle proposte di regolamento e direttiva, cfr. in termini critici su tale profilo V. Mitsilegas, The privatisation of mutual trust in Europe’s area of criminal justice: The case of e-evidence, in «Maastricht Journal of European and Comparative Law», 25, 2018, n. 3, pp. 263 ss.
[50] Il tema è trattato da Carotti, Il sistema di governo di Internet, cit., che analizza la dipendenza della disciplina di Internet dalla sua natura tecnicamente complessa. Cfr. anche Raustiala, Governing The Internet, cit., che contestualizza la progressiva evoluzione dell’ICANN verso un modello di multistakeholder governance.
[51] Come osserva Carotti, Il sistema di governo di Internet, cit., p. 49 «la prevalenza del sistema in uso (…), non è una questione di mera tecnologia, ma di potere: la sua estensione su scala mondiale l’ha trasformata da fattuale in giuridica».
[52] La quale, come sottolinea ibidem, p. 85, agisce sia nell’interesse dello Stato cui appartiene, sia nel perseguimento delle finalità dell’ente globale di governo, cui è contrattualmente vincolata.
[53] Cfr. ancora la ricostruzione ibidem, pp. 140 ss.
[54] Si fa riferimento, in particolare, allo «Step Two: Consultation»: «The goal of the consultation process should be to seek to resolve the problem in a manner that preserves the ability of the registrar/registry to comply with its contractual WHOIS obligations to the greatest extent possible».