Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c10
Il problema si pone soprattutto rispetto alla condotta di ingresso nel porto: come è stato fatto notare [91]
, le norme internazionali non prevedono in capo agli Stati competenti un immediato obbligo di accoglienza delle navi nei propri porti, ma solo un obbligo di coordinamento per l’individuazione di un luogo di sbarco sicuro. Prima di tale individuazione,
{p. 284}salve interpretazioni ai limiti del rispetto del principio di legalità, non sussisterebbe un obbligo giuridico dello Stato di accogliere i naufraghi, né del comandante di farli sbarcare anche in assenza di indicazioni.
Nelle situazioni di stallo, in cui non venga indicato alcun porto sicuro verso cui dirigersi e vi sia il rischio per i migranti di essere ricondotti nel porto «non sicuro» di partenza, l’ingresso del comandante nelle acque territoriali e nel porto parrebbe allora qualificabile preferibilmente, secondo una lettura armonica delle norme internazionali sul soccorso in mare e delle norme sui diritti umani come condotta necessitata [92]
o come soccorso difensivo [93]
: il comandante agisce per difendere l’integrità psico-fisica dei naufraghi migranti o – pare possibile affermare proprio alla luce delle norme internazionali – il loro diritto a ricevere soccorso in un porto sicuro dove vengano rispettati i rispettivi diritti fondamentali, come anche il diritto al non respingimento, contro il pericolo attuale di essere trasferiti in un porto non sicuro dove non riceveranno protezione alcuna ed è probabile che subiranno persecuzioni.
In questo modo la norma internazionale sul soccorso in mare consente l’applicazione di una causa di giustificazione diversa dall’adempimento del dovere – come lo stato di necessità o la legittima difesa – che scrimina la condotta non in sé e per sé, ma in quanto funzionale alla realizzazione di un assetto di interessi da tutelare [94]
.
Con riguardo al caso Rackete possono essere riproposti i medesimi dubbi sull’idoneità delle norme internazionali a fondare il dovere del comandante di fare ingresso nel porto in mancanza di autorizzazione. Oltretutto, anche ove {p. 285}essi siano risolti in senso positivo, l’applicazione dell’art. 51 c.p. pare discutibile proprio sulla base della concreta vicenda in esame: sembra doversi dubitare che la condotta contestata alla comandante – lo speronamento della motovedetta della guardia di finanza – fosse «strumentalmente necessaria» all’adempimento del dovere di soccorso; tale comportamento sembrerebbe di per sé travalicare i limiti interni del dovere [95]
.
In ogni caso, qualora pure si dovesse ritenere che la realizzazione della condotta fosse nello specifico necessaria per l’adempimento del dovere di soccorso, la prevalenza della norma sul dovere rispetto alla fattispecie penale non avrebbe dovuto essere data per scontata ma avrebbe dovuto essere valutata alla luce dei limiti esterni del dovere derivanti dalla rilevanza degli interessi con esso confliggenti; e ciò pure in presenza di una norma internazionale sul dovere vincolante per il diritto interno ai sensi degli artt. 10 e 117 Cost.
Può quindi censurarsi il percorso argomentativo dei giudici in quanto, pur attingendo in parte alla preminenza assiologica delle norme internazionali sul soccorso in mare e alla relativa connessione con la tutela dei diritti fondamentali della persona, attiene soprattutto alla prevalenza formale del diritto internazionale rispetto al diritto interno [96]
. Ebbene, la prevalenza della norma internazionale avrebbe dovuto essere rafforzata da argomentazioni calibrate sul concreto atteggiarsi degli interessi in gioco; da una parte, quelli sottesi al dovere di soccorso, dall’altro, quelli tutelati dal reato di violenza a pubblico ufficiale. E ciò anche in relazione alle modalità di realizzazione dei primi e al sacrificio imposto ai secondi. Ad esempio, soffermandosi sull’effettiva insussistenza di modalità alternative per consentire lo sbarco senza violare la legge penale e mettere a repentaglio beni omogenei a quelli {p. 286}tutelati proprio attraverso l’adempimento del dovere, quale l’incolumità fisica di altre persone [97]
.

5. Conclusioni

Con le osservazioni sinora svolte si è cercato di evidenziare gli interrogativi che il giudice penale deve porsi per verificare se un fatto sussumibile sotto una fattispecie incriminatrice interna risulti regolato anche da una norma sovranazionale o straniera e per determinare le conseguenze dell’eventuale duplice qualificazione sul giudizio di responsabilità penale.
Dopo aver tentato di classificare i casi di intersezione tra norma incriminatrice interna e norma «estranea» per verificare quali di essi offrano degli esempi di veri e propri conflitti interlegali, ci si è soffermati sull’ipotesi in cui la fattispecie incriminatrice interferisce con una norma sovranazionale che attribuisca un diritto o imponga un dovere. A fronte della frequente invocazione della scriminante dell’art. 51 c.p. come norma idonea a «governare» le situazioni di interlegalità che vedono interagire la fattispecie incriminatrice con la norma sovranazionale, si è tentato di delimitarne l’ambito di applicazione coerentemente con la propria funzione di norma risolutiva di conflitti «in concreto».
Dall’analisi è emersa la necessità di escludere l’applicazione dell’art. 51 c.p. rispetto a conflitti astratti tra ordinamento interno e ordinamento sovranazionale. Come anche nei casi in cui la norma sovranazionale, per la propria struttura e il proprio contenuto, non sia idonea ad attribuire all’individuo una situazione giuridica soggettiva di diritto o di dovere espressa e determinata.{p. 287}
L’analisi del caso di studio relativo alla rilevanza delle norme internazionali sul soccorso in mare ha consentito proprio di cogliere il valore aggiunto del ragionamento interlegale rispetto alla decisione di casi caratterizzati da intersezioni normative. Un metodo aperto alla considerazione di tutte le legalità rilevanti e ad una costruzione «mobile» dei relativi rapporti, secondo una logica definita dal caso anziché dai rigidi e astratti paradigmi della logica inter-ordinamentale, consente di inquadrare l’esatta portata dell’interazione tra le istanze normative e di conciliare nella decisione tutti i valori dalle medesime espressi.
Note
[91] Cfr. Spena, Smuggling umanitario e scriminanti, cit., p. 1864, secondo cui mentre esisterebbe un obbligo assoluto di non sbarcare i naufraghi in un luogo «non sicuro» secondo i parametri della Convenzione SAR, d’altra parte, l’obbligo positivo di sbarco è condizionato all’individuazione di un pos ad opera degli Stati competenti. Le norme internazionali infatti non prevedono sugli Stati competenti un immediato obbligo di accoglienza delle navi nei propri porti, ma un obbligo di coordinamento per l’individuazione di un luogo di sbarco sicuro.
[92] Cfr. ibidem, p. 1865.
[93] Cfr. A. di Martino e L. Ricci, L’inosservanza della limitazione o del divieto di transito e sosta nel mare territoriale come delitto, cit., pp. 17-18.
[94] Sulla distinzione tra le scriminanti dell’esercizio del diritto e dell’adempimento del dovere, «a condotta vincolata», e le altre cause di giustificazione, «a condotta libera», cfr. Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, cit., pp. 142 ss. e, soprattutto evidenziando la peculiarità della scriminante dell’esercizio del diritto, Spena, Diritti e responsabilità penale, cit., pp. 345 ss.
[95] Sui limiti intrinseci della condotta scriminabile ai sensi dell’art. 51 c.p., con riguardo però all’esercizio del diritto, cfr. Mantovani, Esercizio del diritto, cit.; Spena, Diritti e responsabilità penale, cit., pp. 371 ss.
[96] Nell’ordinanza del gip, sembra richiamarsi il criterio della lex superior ai sensi dell’art. 117 Cost. Nella sentenza della Cassazione si fa riferimento al diritto consuetudinario direttamente applicabile ai sensi dell’art. 10 Cost.
[97] In questo senso anche V. Valentini, Dovere di soccorrere o diritto di speronare? Qualche spunto (quasi) a caldo sul caso Sea Watch 3, in «Criminalia», 2018, pp. 802 ss. Può peraltro anche sostenersi che una verifica più attenta al caso concreto sarà oggetto del giudizio di merito, essendo il giudizio della Cassazione sulla legittimità della mancata convalida dell’arresto limitato al controllo di ragionevolezza dell’operato di coloro che hanno eseguito l’arresto.