Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c10
Di contrario avviso molte voci in dottrina. Un orientamento, ad esempio, esclude che possa ritenersi illegale l’ingresso realizzato a seguito delle operazioni di soccorso dal momento che, finché le relative doverose procedure non si siano concluse, ivi compreso lo sbarco in un porto sicuro, gli individui condotti in Italia sarebbero secondo le norme internazionali ancora «naufraghi» da soccorrere, non «migranti» entrati illegalmente nel territorio [77]
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Secondo altra opinione [78]
, non potrebbe ritenersi integrata la condotta di favoreggiamento dell’ingresso illegale tutte le volte in cui l’ingresso avvenga a seguito di attività di soccorso caratterizzate dalla ricerca di un costante dialogo con le autorità dello Stato: in tali ipotesi la condotta degli operatori delle ONG non sarebbe volta a favorire l’ingresso clandestino dei migranti sul territorio italiano aggirando i controlli alle frontiere; al contrario, mirerebbe ad affidarli alle cure dello Stato.
Un’ulteriore ricostruzione evidenzia che la condotta di trasferimento dei naufraghi migranti nelle acque territoriali o nei porti nazionali dopo averli soccorsi, pur senza autorizzazione, non integri la condotta tipica di trasporto ai sensi all’art. 12 t.u. immigrazione, ossia «quella attività specificamente e consapevolmente strumentale al conseguire lo scopo di far arrivare alla destinazione tipica, cioè l’ingresso illegale» [79]
. Oltretutto, quand’anche si ritenga obiettivamente integrata la condotta di trasporto da parte delle operazioni di salvataggio, difetterebbe comunque il relativo dolo [80]
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L’invocazione dell’art. 51 c.p. sembra discutibile anche ove si ritenga che il trasferimento dei migranti nelle acque territoriali o nei porti nazionali integri il fatto tipico dell’art. 12 t.u. immigrazione. In siffatta ipotesi, invero, il giudice dovrebbe domandarsi preliminarmente se la disposizione non si ponga in conflitto già sul piano astratto con la norma internazionale che impone allo Stato il dovere di soccorrere i naufraghi, oltre che con le norme a tutela dei diritti fondamentali della persona.
In effetti, incriminare la condotta appena descritta, se da un lato significa proteggere l’interesse dello Stato al controllo dei flussi di persone che varcano i propri confini, dall’altro costituisce un ostacolo e un disincentivo rispetto alle ope{p. 280}razioni di soccorso in alto mare e un vulnus all’effettività dei diritti fondamentali dei naufraghi migranti [81]
. Oltretutto, proprio nei casi in cui le ONG abbiano avvertito le autorità nazionali e chiesto un porto dove attraccare, lo Stato è posto nelle condizioni di controllare i nuovi arrivati per cui l’interesse posto a giustificazione dell’incriminazione si rivela inconsistente sul piano dell’offensività: ove applicata a queste ipotesi la fattispecie non tutelerebbe tanto l’interesse al controllo dei flussi migratori e alla sicurezza quanto una manifestazione egoistica della sovranità statale, quale l’interesse dello Stato a sottrarsi alla responsabilità e ai costi di assistenza ed identificazione degli stranieri soccorsi che giungono sul proprio territorio [82]
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Alla luce di tali osservazioni si potrebbe forse sollevare una questione di legittimità costituzionale dell’art. 12 t.u. immigrazione per violazione degli artt. 2 e 117 Cost nella parte in cui punisce le condotte che consentono l’ingresso degli stranieri nel territorio per finalità umanitarie in seguito ad operazioni di salvataggio. La questione potrebbe essere sollevata anche sotto il profilo dell’uguaglianza-ragionevolezza, nella parte in cui limita l’applicazione della c.d. scriminante umanitaria alle condotte «prestate in Italia nei {p. 281}confronti degli stranieri in condizioni di bisogno comunque presenti nel territorio dello Stato» e quindi ne esclude la configurabilità rispetto alle condotte che realizzano l’ingresso nel territorio nazionale [83]
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Sotto altro aspetto, al fine di configurare la scriminante dell’adempimento del dovere occorre accertare l’idoneità delle norme internazionali sul soccorso in mare a fondare un diritto o un dovere scriminanti. Rispetto a tali norme si pone tanto il problema della ricostruzione dell’effetto diretto, quanto la questione della precisa individuazione dei limiti del diritto o del dovere di soccorso.
Con riguardo al primo profilo, a fronte di norme internazionali che pongono degli obblighi principalmente a carico dello Stato relativamente al salvataggio delle persone che si trovino in situazione di difficoltà, i giudici non potrebbero limitarsi ad indagarne la relativa efficacia normativa nell’ordinamento [84]
ma dovrebbero compiere un ulteriore sforzo argomentativo per affermarne anche la diretta efficacia nei confronti dell’individuo.
In dottrina, sul tema, si fronteggiano diversi orientamenti [85]
; l’uno che ritiene che le norme convenzionali {p. 282}nell’ambito del diritto del mare fondino obbligazioni in capo soltanto allo Stato; l’altro secondo cui le norme producono effetti direttamente in capo agli individui e, in particolare, attribuiscono al comandante della nave, in conformità ad un principio consuetudinario, una situazione giuridica di obbligo a tutela dei naufraghi [86]
. D’altra parte si sostiene – e tale opzione pare condivisibile soprattutto alla luce di una lettura armonica delle norme sul diritto del mare con quelle sui diritti fondamentali della persona e sul diritto al non respingimento in alto mare [87]
– che gli stessi naufraghi siano titolari di un diritto ad essere soccorsi in mare corrispondente alla situazione di obbligo, a prescindere dal fatto che quest’ultima gravi sugli Stati o sui comandanti.
Oltretutto, i giudici potrebbero riconoscere la doverosità della condotta del comandante sulla base di un altro argomento. E infatti si potrebbe sostenere espressamente che, per poter assolvere l’obbligo internazionale, lo Stato sia tenuto a considerare le condotte di soccorso del comandante come {p. 283}oggetto di un obbligo giuridico; e ciò non solo in malam partem, sanzionandone la violazione [88]
, quanto a maggior ragione, anche in assenza di una norma di trasposizione, in bonam partem, riconoscendone la liceità qualora integrino una norma incriminatrice interna [89]
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Con riferimento all’individuazione dei confini della norma scriminante, non possono sottacersi i dubbi circa la delimitazione del dovere di soccorso. Le norme internazionali non affermano chiaramente che l’assolvimento del dovere di soccorso del comandante implica l’ingresso, anche in assenza di autorizzazione, nelle acque territoriali o nei porti nazionali. Sarebbe l’interpretazione estensiva del concetto di soccorso, che ricomprende il trasporto dei naufraghi verso un luogo sicuro, a consentire di includere nel dovere del comandante anche la violazione dei confini territoriali e lo sbarco non autorizzato [90]
. Un’interpretazione tassativa del contenuto del dovere induce invece a ritenere le condotte di ingresso e sbarco soltanto susseguenti e strumentali rispetto a quella specificamente oggetto del dovere e quindi esorbitanti rispetto ai limiti di contenuto della scriminante.
Il problema si pone soprattutto rispetto alla condotta di ingresso nel porto: come è stato fatto notare [91]
, le norme internazionali non prevedono in capo agli Stati competenti un immediato obbligo di accoglienza delle navi nei propri porti, ma solo un obbligo di coordinamento per l’individuazione di un luogo di sbarco sicuro. Prima di tale individuazione,
{p. 284}salve interpretazioni ai limiti del rispetto del principio di legalità, non sussisterebbe un obbligo giuridico dello Stato di accogliere i naufraghi, né del comandante di farli sbarcare anche in assenza di indicazioni.
Note
[77] In questo senso C. Pitea e S. Zirulia, «Friends, not foes»: qualificazione penalistica delle attività delle ONG di soccorso in mare alla luce del diritto internazionale e tipicità della condotta, in «SIDIblog», 2019, n. 6, pp. 74-86.
[78] A. Spena, Smuggling umanitario e scriminanti, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 2019, n. 4, pp. 1903 s.
[79] A. di Martino e L. Ricci, L’inosservanza della limitazione o del divieto di transito e sosta nel mare territoriale come delitto, cit, p. 14.
[80] Cfr. ibidem.
[81] Tale affermazione circa la responsabilità dello Stato che non accoglie i migranti a seguito delle segnalazioni del comandante può apparire comunque frutto di una semplificazione, in quanto l’ingresso non viene autorizzato proprio quando l’Italia non è competente secondo gli accordi internazionali che individuano le zone di competenza per il salvataggio, ad assicurare lo sbarco dei migranti. Peraltro, come dimostrano i recenti casi, i problemi maggiori riguardano proprio i casi in cui la stessa competenza è oggetto di contestazione e si crea un’impasse che impedisce lo sbarco immediato. Ad ogni modo, lo Stato è responsabile per la tutela dei diritti fondamentali dei naufraghi una volta entrati nelle acque territoriali e, qualora abbia un potere di controllo effettivo su di essi pur se si trovino nel mare territoriale, è tenuto al rispetto della CEDU in conformità con la giurisprudenza della Corte EDU sull’applicazione extraterritoriale della Convenzione (Corte EDU, G.C. Loizidou c. Turchia, 18 dicembre 1996; Al-Saadoon e Mufdhi c. Regno Unito, 30 giugno 2009). Sull’applicazione extraterritoriale delle convenzioni sui diritti umani, cfr. M. Milanovic, Extraterritorial Application of Human Rights Treaties: Law, Principles and Policies, Oxford, Oxford University Press, 2011.
[82] Con toni simili Spena, Smuggling umanitario e scriminanti, cit., p. 1904.
[83] Per una riflessione ponderata sull’illegittimità della «scriminante umanitaria» di cui all’art. 12 t.u.imm. per l’irragionevole esclusione delle condotte di favoreggiamento degli ingressi irregolari, cfr. S. Zirulia, Non c’è smuggling senza ingiusto profitto, in «Dir. Pen. Cont.», 2020, n. 3, pp. 143 ss., spec. 163.
[84] Cass., cit., fa riferimento alle «fonti pattizie in tema di soccorso in mare e, prima ancora, l’obbligo consuetudinario di soccorso in mare, norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta e pertanto direttamente applicabile nell’ordinamento interno, in forza del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 1»; l’ordinanza cautelare del gip Agrigento 2 luglio 2019, a sua volta si limita a ribadire in chiusura che «il parametro normativo al quale riferirsi, sia per individuare il contenuto del dovere, sia per verificare la legittimità dell’ordine impartito, deve essere ricercato nell’ordinamento giuridico italiano e quindi anche nelle norme internazionali che l’ordinamento incorpora», senza affrontare la questione dell’effetto diretto di tali norme.
[85] Cfr. la ricostruzione di Starita, Il dovere di soccorso in mare e il «diritto di obbedire al diritto» (internazionale) del comandante della nave privata, cit., pp. 22 ss. In particolare, secondo l’approccio tradizionale, precisato dalla Corte internazionale di Giustizia nel caso Intertanko, secondo cui natura e struttura della Convenzione di Montego Bay e delle Convenzioni del diritto del mare non consentirebbero di riconoscere al privato la possibilità di avvalersi delle disposizioni ivi contenute davanti ai giudici interni. D’altra parte, almeno con riguardo alle norme internazionali preordinate alla creazione di diritti dei privati, si sostiene una presunzione di efficacia diretta, anche nell’ambito del diritto del mare, salva la relativa incompletezza o l’espressione di una diversa volontà delle parti.
[86] Peraltro, già nel diritto interno una situazione di obbligo è prevista dall’art. 1158 Cod. nav.
[87] Per un dibattito sulla configurabilità di un diritto dell’individuo ad essere soccorso in mare si vedano S. Trevisanut, Is there a right to be rescued at sea? A constructive view, e E.D. Papastavridis, Is there a right to be rescued at sea? A skeptical view, in «QIL», 2014, n. 4, pp. 3-15 e 17-32. A parere della prima tale diritto è configurabile a partire dalle norme internazionali sul dovere di soccorso in mare e sul diritto alla vita. Secondo l’altro autore, invece, le norme internazionali sul diritto del mare e quelle sui diritti umani fondano in capo agli Stati dei differenti tipi di obbligazioni tra loro «non comunicanti». Un diritto dell’individuo ad essere soccorso potrebbe essere fondato sui diritti umani ma esso riceverebbe tutela solo nel caso in cui lo Stato abbia giurisdizione sugli individui.
[88] Oltretutto, già l’art. 1158 del codice della navigazione sanziona penalmente l’omessa assistenza a navi o persone in pericolo da parte del comandante di navi, galleggianti o aeromobili nazionali o stranieri.
[89] In questo senso Spena, Smuggling umanitario e scriminanti, cit., pp. 1859 ss.
[90] Cfr. supra, § 4.
[91] Cfr. Spena, Smuggling umanitario e scriminanti, cit., p. 1864, secondo cui mentre esisterebbe un obbligo assoluto di non sbarcare i naufraghi in un luogo «non sicuro» secondo i parametri della Convenzione SAR, d’altra parte, l’obbligo positivo di sbarco è condizionato all’individuazione di un pos ad opera degli Stati competenti. Le norme internazionali infatti non prevedono sugli Stati competenti un immediato obbligo di accoglienza delle navi nei propri porti, ma un obbligo di coordinamento per l’individuazione di un luogo di sbarco sicuro.