Note
  1. E. Stölting, Akademische Soziologie in der Weimarer Republik, Berlin, Duncker & Humblot, 1986.
  2. I. Gorges, Sozialforschung in der Weimarer Republik 1918-1933, Frankfurt a.M., Hain Verlag, 1986. Si veda anche lo «Jahrbuch für Soziologiegeschichte», pubblicato da Leske & Budrich dal 1992 in poi. Si vedano però anche gli scritti coevi di Karl Mannheim citati in seguito.
  3. O. Rammstedt, Deutsche Soziologie, 1933-1945: Die Normalitat einer Anpassung, Frankfurt a.M., Suhrkamp Taschenbuch Wissenschaft, 1986. Il lavoro di Rammstedt è illuminante per cogliere continuità e discontinuità tra Weimar e il nazionalsocialismo. Sul tema della continuità si veda anche: C. Klingemann, Zur Begründung der Nachkriegssoziologie in Westdeutschland: Kontinuität oder Bruch?, in C. Honneger et al. (edd), Grenzlose Gesellschaft?, Opladen, Leske & Budrich, 1989, pp. 131-138. Dello stesso autore non ho potuto tener conto del recentissimo Soziologie im Deutschland der Weimarer Republik, des Nationalsozialismus und der Nachkriegszeit. Der schwierige Umgang mit einer politisch-ideologisch belasteten Entwicklungsphase, Wiesbaden, Springer, 2020. In Italia manca tuttora uno studio accurato della sociologia durante il periodo fascista. Per il periodo precedente il fascismo, A. Pusceddu, La sociologia positivistica in Italia 1880-1920, Roma, Bulzoni, 1989.
  4. Il personaggio di maggiore spicco fu certamente Ferdinand Tönnies, ma vanno ricordati anche Alfred Weber, Leopold von Wiese, Alfred Vierkandt, oltre a Werner Sombart che però si colloca nella zona incerta di vicinanza e lontananza dal regime.
  5. Coloro che dovettero lasciare la Germania erano quasi tutti di origine ebraica: Norbert Elias, Karl Mannheim, Max Horkheimer, Theodor Adorno, Siegfried Kracauer. Theodor Geiger invece non era di origine ebraica ed emigrò prima in Danimarca e poi in Svezia in quanto esponente della socialdemocrazia e oppositore del regime.
  6. Gehlen viene considerato un classico dell’antropologia filosofica e nella sua opera maggiore Der Mensch, uscita nel 1940, non vi sono tracce delle teorie della razza. Per Schelsky l’adesione al nazismo si colloca in età molto giovanile. Nel dopoguerra diventò una delle figure più significative della sociologia tedesca, contribuendo, tra l’altro, alla fondazione del famoso Zif (Zentrum für interdisziplinäre Forschung) di Bielefeld. Non si può dire che le conversioni dopo il crollo del regime siano state tutte dettate dalla necessità opportunistica di adeguarsi al nuovo clima politico/culturale della Repubblica federale, anche se resta sorprendente come sia stato possibile per degli studiosi attraversare una fase storica così eccezionale restando apparentemente indenni. Sulla figura di Schelsky si veda anche: A. Gallus (ed), Helmut Schelsky. Der politische Anti-Soziologe: eine Neurezeption, Göttingen, Wallstein, 2013.
  7. E. Stölting, Akademische Soziologie in der Weimarer Republik, p. 15.
  8. F. Boese, Geschichte des Vereins für Sozialpolitik 1872-1932, ripubblicato nel 2013 a Berlino, dall’editore Dunker & Humblot.
  9. Oltre al già citato lavoro di E. Stölting, rinvio allo studio di V. Kruse, Geschichte der Soziologie, Konstanz - München, UTV, 2008, 20183 che vede la sociologia di Weimar nella prospettiva della crisi del dopoguerra lasciando intendere che la crisi del 1933 giunse pressoché inattesa anche per i sociologi.
  10. Sull’interpretazione della concezione weberiana della democrazia plebiscitaria si è aperto un grande dibattito in seguito alla pubblicazione di un celebre saggio di W.J. Mommsen, Max Weber und die deutsche Politik 1890-1920, Tübingen, Mohr, 1959 (trad. it. Max Weber e la politica tedesca, Bologna, Il Mulino, 1993). In questo dibattito la posizione più equilibrata mi sembra quella assunta da R.M. Lepsius, Das Modell der charismatischen Herrschaft und seine Anwendbarkeit auf den ‘Führerstaat’ Adolf Hitlers, in R.M. Lepsius, Demokratie in Deutschland, Göttingen, Vandenhock & Ruprecht, 1993 (trad. it. Il modello del potere carismatico e la sua applicabilità allo «stato dittatoriale» di Hitler, in M.R. Lepsius, Il significato delle istituzioni, Bologna, Il Mulino, 2006, pp. 171-202). Su questo punto si veda anche M. Ponso, Una storia particolare. «Sonderweg» tedesco e identità europea, Bologna, Il Mulino, 2011, pp. 296-300.
  11. Questo giudizio sommario, come vedremo, non si applica però a tutti coloro che potevano essere considerati dei sociologi.
  12. Si veda M. Weber (ed), Gesammelte politische Schriften, a cura di J. Winckelmann, Tübingen, Mohr, 1958, 19885. Gli scritti sull’attualità politica tedesca negli anni dell’immediato dopoguerra sono ora raccolti nella Gesamtausgabe, vol. I/16: W.J. Mommsen (ed) in collaborazione con W. Schwentker, Zur Neuordnung Deutschlands. Schriften und Reden 1918-1920,Tübingen, Mohr, 1988. Per la traduzione italiana condotta sulla Gesamtausgabe di un’ampia selezione degli scritti politici weberiani, si veda Scritti Politici, Roma, Donzelli, 1998.
  13. Il testo della conferenza, tenuta agli ufficiali dell’Imperial Regio Governo, fu pubblicata a Vienna nel 1918, a pochi mesi dalla Rivoluzione di Ottobre. Di recente è stata ripubblicata una traduzione italiana: M. Weber, Il Socialismo, Roma, Castelvecchi, 2018.
  14. Mi piace ricordare la bella monografia su Geiger scritta da P. Farneti, Theodor Geiger e la coscienza della società industriale, Torino, Giappichelli, 1966.
  15. La traduzione italiana è apparsa nel 2007 presso B. Mondadori (E. Lederer, Lo stato delle masse. La minaccia della società senza classi, a cura di M. Salvati); sul significato dell’emigrazione di scienziati sociali tedeschi negli Stati Uniti per lo sviluppo della sociologia, si veda M. Salvati, Esilio tedesco e scienze sociali in USA nella prima metà del ’900, in P.P. Poggio (ed), L’Altro- novecento. Comunismo eretico e pensiero critico, Milano, Jaca Book, 2013, III, pp. 583-602.
  16. K. Lichtblau, Die Rezeption des Werkes von Max Weber in der Kritischen Theorie, ora in K. Lichtblau, Zwischen Klassik und Moderne, Wiesbaden, Springer, 2017, pp. 356 ss.
  17. O. Stammer (ed), Max Weber und die Soziologie Heute, Tübingen, G.C.B. Mohr, 1965 (trad. it. Max Weber e la sociologia oggi, Milano, Jaca Book, 1967).
  18. D. Kettler - C. Loader - V. Meja, Karl Mannheim and the Legacy of Max Weber: Retrieving a Research Programme, London, Routledge, 2008.
  19. K. Mannheim, German Sociology 1919-1933, in «Politica», 1, 1934, pp. 12- 33. Disponiamo ora di una traduzione italiana di questi scritti, altrimenti difficilmente reperibili, in K. Mannheim, In difesa della sociologia. Saggi 1929-1936, a cura di B. Grüning - A. Santambrogio, Milano, Molteni, 2020, pp. 337-376. Il volume contiene anche un’ampia e accurata ricostruzione delle vicende accademico-scientifiche di Mannheim nelle varie fasi della sua tormentata biografia. Cfr. B. Grüning, Come pensa un professore: Mannheim e la sociologia come disciplina, pp. 49-115.
  20. K. Mannheim, Das konservative Denken: soziologische Beiträge zum Werden des politisch-historischen Denkens in Deutschland, in «Archiv für Sozialwissenschaft und Sozialpolitik», 57, 1927, n. 1 (trad. it. Conservatorismo. Nascita e sviluppo del pensiero conservatore, Roma - Bari, Laterza, 1989); dello stesso autore, Ideologie und Utopie, Bonn, Cohen, 1929 (trad. it. Ideologia ed utopia, Bologna, Il Mulino, 1999).
  21. Una critica a Mannheim sulla scorta dell’epistemologia weberiana era già stata fatta nel 1934 da A. von Schelting, Max Webers Wissenschaftslehre, Tübingen, Mohr, 1934.
  22. R. König, Soziologie in Deutschland: Begründer - Verächter - Verfechter, München, Hanser Verlag, 1987.