Christoph Cornelissen, Gabriele D'Ottavio (a cura di)
La Repubblica di Weimar: democrazia e modernità
DOI: 10.1401/9788815370228/c5
Un mutamento nella forma dell’interconnessione globale avvenne anche nell’industria chimica. Le aziende chimiche
{p. 139}tedesche che non riuscivano legalmente a essere risarcite o a recuperare i loro brevetti esteri cercarono l’accordo con i loro nuovi concorrenti. Inoltre si concentrarono sull’apertura di nuovi mercati nei Paesi nel frattempo diventati più importanti sulla scena mondiale, come la Cina e il Giappone. Nel 1929 metà del fatturato della IG Farben, che all’estero poteva contare su 268 stabilimenti di produzione e 458 filiali di vendita, proveniva ancora dalle esportazioni [45]
. Negli anni Venti le imprese chimiche tedesche si difesero dalla nuova concorrenza attraverso la «cartellizzazione interna» e nuove forme di accordi di mercato. Il modo in cui la prassi dell’interconnessione globale cambiò in pratica lo si può evincere dalle vicende di un’altra azienda, la Beiersdorf. Prima della guerra l’azienda esportava in gran quantità prodotti per la cura della persona e gli Stati Uniti erano il suo più importante mercato estero. I beni della Beiersdorf espropriati durante la guerra ammontavano a circa 700 milioni di dollari solo negli Stati Uniti. Negli anni Venti l’azienda rinnovò l’organizzazione del suo business estero. Le filiali in Svizzera e nei Paesi Bassi furono registrate come società indipendenti e affidate a fiduciari. Non più formalmente tedesca, la società olandese poté pertanto acquisire i diritti di marchio espropriati. Negli Stati Uniti un ex dipendente con cittadinanza americana fondò una nuova azienda. L’attività estera americana era formalmente indipendente dalla Beiersdorf, ma possedeva ancora i diritti di marchio per quello che negli anni Venti era il prodotto più importante dell’azienda, la Nivea. Nel 1924 l’azienda generò all’estero il 24% del suo fatturato. Tutto ciò non avvenne attraverso l’export dalla Germania o l’acquisto di aziende straniere o trasferimenti di capitali, ma attraverso una complicata struttura di aziende e corporazioni straniere completamente indipendenti che si finanziavano a vicenda e generavano profitti in valuta estera che affluivano alla famiglia proprietaria tramite la Svizzera [46]
.{p. 140}

7. La globalizzazione dell’economia di Weimar

Nei dibattiti e negli studi sulla globalizzazione dell’economia è emerso un consenso di fondo sul fatto che l’interconnessione globale dell’economia, che iniziò con i movimenti di libero scambio e il Trattato Cobden-Chevalier del 1860, subì una brusca interruzione in seguito allo scoppio della Prima guerra mondiale, al punto che si è parlato di de-globalizzazione economica. Più cautamente, la letteratura meno recente sulla Prima guerra mondiale ha preferito piuttosto parlare di un «decentramento dell’economia mondiale» dal momento che negli anni Venti in alcuni Paesi, soprattutto in Sud America, le esportazioni aumentarono. A partire dagli anni Novanta l’esistenza di un crollo tra le due guerre mondiali (interwar slump) è stata sostenuta sulla base di dati sempre più accurati e tramite il ricorso alle statistiche delle bilance dei pagamenti. Solo di recente sono sorti nuovi dubbi in merito a questa tesi, specialmente grazie ad una analisi più approfondita del periodo tra la fine della Prima guerra mondiale e la Grande Depressione. Se si considerano singoli indicatori e singoli livelli di argomentazione si possono in realtà cogliere segnali che depongono a favore di una continuazione del processo di globalizzazione dopo la Prima guerra mondiale. Per quel che riguarda la Repubblica di Weimar, ad esempio, si possono individuare alcuni settori dell’industria che, anche per le statistiche, superarono i livelli di esportazione prebellici. Ma soprattutto si può notare che l’economia tedesca assunse forme diverse per adattarsi al processo di globalizzazione iniziato già prima della guerra. Un mutamento di forma reso inizialmente necessario dalle condizioni imposte dal Trattato di Versailles e dalla svalutazione della moneta che difficilmente può essere interpretato come una strategia aziendale a lungo termine.
Dagli esempi presentati si possono enucleare almeno tre aspetti di questo mutamento di forma: 1. Nell’immediato dopoguerra le imprese furono costrette a condurre i loro affari internazionali attraverso filiali estere completamente «camuffate» perché in molti Paesi non era loro permesso operare o erano discriminate {p. 141}sul piano burocratico-amministrativo. La Svizzera e i Paesi Bassi svolsero la funzione di «cerniere» internazionali per questa «copertura» dell’industria tedesca [47]
. 2. Con la stabilizzazione della moneta nel 1924 i successi delle industrie esportatrici tedesche aumentarono rapidamente, anche se raramente venne raggiunta la posizione dominante del periodo prebellico. La «cartellizzazione» interna fu una conseguenza diretta dell’intensificazione della concorrenza sul mercato mondiale. Le aziende tedesche tentarono di organizzare la catena globale del valore a livello nazionale attraverso un’integrazione verticale completa. Il che può essere considerato un mutamento nella forma della globalizzazione. 3. Le imprese tedesche affiancarono le loro strategie sul mercato estero con accordi con i concorrenti stranieri la cui importanza era cresciuta rispetto al periodo prebellico, anche in seguito all’esigenza di coordinare un sempre maggiore numero di interessi a causa dell’aumento del peso dei piccoli Stati e della nascita di nuovi. La crescente «cartellizzazione» dell’economia globale fu già evidenziata da Harm Schröter e Peter Fäßler [48]
. Tuttavia, ancora non è stato sistematicamente indagato se essa possa essere considerata un mutamento nella forma della globalizzazione, anche perché quest’ultima viene interpretata unilateralmente come un processo di crescente espansione di ‘liberi mercati’ che esistono al di là degli Stati nazionali. Questo approccio sembra appropriato per il periodo tra le due guerre mondiali, se non altro perché in alcune regioni gli accordi internazionali tra imprese sostituirono le relazioni diplomatiche tra gli Stati. Secondo Stephen Gross, soprattutto dopo la guerra un intreccio di predominio economico ed egemonia culturale consentì persino la nascita di un «impero informale» tedesco {p. 142}nell’Europa sud-orientale che preparò clandestinamente i piani di dominio nazionalsocialisti [49]
.
Se la globalizzazione viene intesa solo come l’aumentata interconnessione economica degli Stati-nazione, come per lo più si ricava dai testi meno recenti di storia economica basati sulle statistiche delle bilance dei pagamenti, in tal caso difficilmente si può cogliere l’effettivo grado di interconnessione economica su scala globale della Repubblica di Weimar nel dopoguerra. In questo articolo, quindi, ci siamo proposti di non basarci sulla logica dello Stato-nazione, ma sulla logica delle catene globali del valore. Il presupposto è che un aumento della divisione economica globale del lavoro si traduce in effetti in ricchezza globale. La divisione globale del lavoro può avvenire in forme molto diverse e lo scambio di beni tramite i mercati è solo una di queste. Le multinazionali e i cartelli internazionali ne rappresentano ulteriori forme. Come questo funzioni nel dettaglio, nel contesto di questo articolo si è potuto solo accennarlo sulla base di singole ricerche della letteratura critica e non si ha certo la pretesa di aver fornito prove a sostegno di questa ipotesi. Se tuttavia si dovesse riconoscerne la plausibilità, in tal caso un vantaggio dell’approccio proposto potrebbe non da ultimo consistere nel fatto che esso facilita i collegamenti con la letteratura più recente sulla storia sociale e culturale.
La lunga attenzione posta dagli studiosi sulle prove della de-globalizzazione economica pare abbia portato la ricerca storica economica tedesca a trascurare le molteplici forme di interconnessione dell’economia di Weimar su scala globale. Lo studio delle catene globali del valore, per contro, offre l’opportunità di cogliere la varietà di queste interconnessioni al di là della logica della contabilità nazionale e della politica commerciale dello Stato-nazione.
Note
[45] Ibidem, p. 68.
[46] G. Jones - C. Lubinski, Managing Political Risk in Global Business: Beiersdorf 1914-1990, pp. 85-96. Cfr. A. Reckendrees, Beiersdorf. Die Ge-schichte des Unternehmens hinter den Marken Nivea, Tesa, Hansaplast & Co, München, C.H. Beck, 2018.
[47] E.-M. Roelevink, Organisierte Intransparenz. Das Kohlesyndikat und der Niederländische Markt 1915-1932, München, C.H. Beck, 2015.
[48] H.G. Schröter, Kartellierung und Dekartellierung 1890-1990, in «Vierteljahrschrift für Sozial- und Wirtschaftsgeschichte», 81, 1994, pp. 457-493; P.E. Fässler, Internationale Kartelle während der Deglobalisierung 1918-1939, in R. Walter (ed), Globalisierung in der Geschichte. Erträge der 23. Arbeits-tagung der Gesellschaft für Sozial- und Wirtschaftsgeschichte vom 18. bis 21. März 2009 in Kiel, Stuttgart, Franz Steiner, 2011, pp. 233-251.
[49] S.G. Gross, Export Empire. German Soft Power in Southeastern Europe 1890-1945, Cambridge, Cambridge University Press, 2015, pp. 13 s. Tuttavia, l’evidenza empirica è relativamente debole perché il libro si occupa solo della fiera industriale di Lipsia.