Federico Batini (a cura di)
La lettura ad alta voce condivisa
DOI: 10.1401/9788815410238/c6

Capitolo sesto Letture sconfinate: pratiche inclusive oltre la riparazione
di Moira Sannipoli

Notizie Autori
Moira Sannipoli - PhD - è professoressa associata in Didattica e Pedagogia speciale nel Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione dell’Università di Perugia. È docente di Pedagogia della diversità e delle differenze e di Pedagogia speciale nell’infanzia; insegna nel Corso di specializzazione per le attività di sostegno presso l’Ateneo perugino. È referente del Centro di Documentazione, Aggiornamento e Sperimentazione sull’Infanzia della Regione Umbria. È autrice di numerose pubblicazioni relative ai temi dell’infanzia, della disabilità, dell’inclusione e delle povertà educative.
Abstract
Il mondo della disabilità è da tempo vittima di stereotipi e pregiudizi che ne limitano fortemente la comprensione e l’accoglimento. Se il linguaggio negli ultimi anni, almeno nei contesti scientifici e professionali, è fortemente mutato, la stessa sorte non è ancora capitata agli immaginari comunemente espressi. Un professionista, che voglia accogliere davvero la sfida inclusiva, ha la possibilità di misurare le proprie mappe attraverso l’incontro con storie raccontate dall’interno e da dentro, che prendono voce e possono mostrare sensi oltre ai significati, culturalmente subiti e/o costruiti. Dentro il tema del diritto alla lettura, va fatta una sottolineatura importante che concerne i bambini e le bambine, ma anche i ragazzi e le ragazze, con «bisogni educativi speciali» che possono avere gli stessi vantaggi e benefici dall’essere esposti fin dall’infanzia a questa pratica, ma che pagano invece il prezzo di preconcetti e supposizioni che ne ritardano e ne complicano l’esposizione. La lettura può farsi anche occasione per prendere coscienza in maniera onesta della propria condizione di fragilità o di svantaggio: incontrare le storie di altri può permettere di trovare assonanze e concordanze con il proprio stare al mondo, fare pace con quella parte di sé a volte ignota e nascosta, ma di cui è impossibile disfarsi.

1. A partire da dentro: la lettura per contrastare l’abilismo

Il mondo della disabilità è da tempo vittima di stereotipi e pregiudizi che ne limitano fortemente la comprensione e l’accoglimento. Se il linguaggio negli ultimi anni, almeno nei contesti scientifici e professionali, è fortemente mutato, la stessa sorte non è ancora capitata agli immaginari comunemente espressi. A essere dominante è ancora un approccio abilista che tenta di «considerare inferiore una persona o una categoria di persone in base al suo livello di abilità, valutata in relazione a standard fissati arbitrariamente dalla società» [Acanfora 2021, 32]. Di fatto esiste una ricchissima letteratura specialistica che sta cercando di proporre framework differenti sui temi della disabilità, ma non sempre gli esiti in termini di percezione sociale sono immediati e significativi [Fiorucci 2014; 2022; Fiorucci e Pinnelli 2020; Gaggioli e Sannipoli 2021]. Ne deriva un controtempo molto evidente e contraddittorio tra politiche, linguaggi, pratiche e visioni, tanto dei professionisti che della comunità in generale.
Una ricerca empirica condotta recentemente sull’abilismo in Italia [Bellacicco et al. 2022] conferma come il mancato contatto e la scarsa conoscenza di persone reali favorisca visioni ancora molto medicalizzate. Visto che questo tipo di gap richiede interventi culturali e sociali significativi e sul lungo termine, la lettura può in questa direzione assumere un ruolo di importante mediatore, soprattutto se invita a meticciare lo studio e l’approfondimento di testi maggiormente didascalici, con la bellissima letteratura direttamente narrata da persone in situazione di disabilità.{p. 154}
Canevaro [2008, 8] scrive:
per rappresentare la figura dei mediatori possiamo utilizzare la metafora di chi vuole attraversare un corso d’acqua che separa due sponde e non vuole bagnarsi: mette dunque i piedi sulle pietre che affiorano. Forse butta una pietra per costruirsi un punto di appoggio dove manca. Questi appoggi sono i mediatori, coloro che forniscono sostegno e che si collegano uno all’altro. Un mediatore è come un semplice sasso su cui appoggiare il piede per andare all’altra riva.
La ricchissima narrativa che oggi abbiamo a disposizione può svolgere questa funzione e invitarci a sconfinare rispetto all’esistente. Un professionista, che voglia accogliere davvero la sfida inclusiva, ha la possibilità di misurare le proprie mappe attraverso l’incontro con storie raccontate dall’interno e da dentro, che prendono voce e possono mostrare sensi oltre ai significati, culturalmente subiti e/o costruiti. Mi piace allora pensare che nei contesti formativi iniziali e in itinere si debbano proporre letture capaci di essere maggiormente attivanti magari rispetto a una modalità di studio argomentativa dei temi. Incontrare le storie potrebbe invitare ad assumere una punteggiatura delle relazioni di cura che sappiano chiamare per nome piuttosto che per deficit, per prospettive inedite piuttosto che conosciute e scontate. Alcuni testi possono così creare uno spazio mentale che consenta all’altro di non rimanere schiacciato in una categoria, che sia di negazione o di pietismo; parallelamente per attivare un percorso di reciproco riconoscimento, nello svelarsi dell’altro con i suoi punti di forza e di debolezza, anche il lettore abbraccia la sua identità più intima e autentica.
In questa direzione, in modo dialogico tanto per chi racconta la storia che per chi la riceve, «narrare coincide essenzialmente con l’essere in grado di rigenerare quote di libertà, rimuovendo blocchi e paure» [Baricco 2022, 13].
L’opportunità di modificare queste visioni ingenue può di fatto essere affidata anche al mondo della scuola che ha il compito, fin dai servizi per la prima infanzia, di proporre narrazioni che possano rafforzare culture di validità, di riconoscimento e di comprensione. Alcune letture sono {p. 155}espedienti per ribaltare alcuni immaginari soprattutto nei confronti di bambini e bambine in situazioni di svantaggio e fragilità, che pagano ancora il prezzo di visioni fortemente medicalizzate. Parallelamente esistono attualmente delle ricchissime proposte in ambito di letteratura per l’infanzia che richiamano contenuti che consentono con attenzione e «leggerezza» il confronto e il dialogo con i temi della diversità e delle differenze. Allora nella scelta dei testi da offrire ai bambini, oltre alle attenzioni legate alla qualità ritmico-sonora, alla comprensibilità dell’immagine in rapporto con il testo, alla performatività, alla qualità dialogica e originalità della storia, al criterio di progressione (dai libri cartonati, a quelli con foto di facce, rime e filastrocche, fino a testi con pagine di carta con veri e propri racconti, ai libri illustrati), possono essere selezionate storie che affrontano con coraggio e delicatezza queste tematiche [Terrusi e Sola 2009; Emili e Macchia 2020]. Il dono della lettura può diventare così occasione per permettere al pensiero di farsi tenero. «La tenerezza è quella tonalità emotiva che consente alla mente di protendersi verso (tenerum) l’altro ammorbidendo (teneritia) ogni asperità discorsiva: intenerire i tessuti della mente per renderla luogo aperto che fa posto all’alterità» [Mortari 2013, 124]. La possibilità di partire dall’infanzia con questa capacità di pensare e sentire è sicuramente una sfida interessante e vincente: apprendere fin da piccoli in modo semplice può essere sicuramente più fecondo e costruttivo che disapprendere da adulti.

2. Il diritto alla lettura: verso un’accessibilità al plurale

La precocità dell’intervento, il coinvolgimento delle famiglie e l’universalità rappresentano tre caratteristiche fondamentali per la pratica della lettura ad alta voce. Dentro il tema del diritto alla lettura, va fatta una sottolineatura importante che concerne i bambini e le bambine, ma anche i ragazzi e le ragazze, con «bisogni educativi speciali» che possono avere gli stessi vantaggi e benefici dall’essere esposti fin dall’infanzia a questa pratica, ma che pagano invece {p. 156}il prezzo di preconcetti e supposizioni che ne ritardano e ne complicano l’esposizione [Costantino 2011]. I motivi di questo ritardo possono risiedere in differenti ragioni. Innanzitutto, l’aver ricevuto una diagnosi in età infantile modifica profondamente le relazioni familiari. In alcuni casi l’esperienza del «lutto» rispetto al figlio sognato e atteso [Caldin e Giaconi 2022], porta la coppia genitoriale a una serie di azioni che hanno maggiormente tinte risarcitorie e riabilitative. La centralità nei primi anni di vita della presenza del sapere medico genera una vera e propria fede e dedizione nei confronti di una serie di specialismi per cui appare costruttivo solo ciò che è tecnico e in un certo senso correttivo. In un’ottica di recupero, sono privilegiati tutti gli interventi speciali che prendono il sopravvento su quelli ordinari che sono sospesi, non frequentati, non vissuti. In realtà sappiamo bene come «in nome del valore dell’efficacia dell’intervento [...] non si può perdere il valore della partecipazione sociale del soggetto alla normalità» [Ianes 2006, 40]. Si tratta allora fin da subito di promuovere una dialogica tra specialità e normalità che consenta anche a questi bambini di essere esposti a pratiche di cura che fanno bene a tutti e quindi anche a loro, che permettano anche alla famiglia di cogliersi dentro un orizzonte di capacità e abilitazione più che di continua invalidità. Va precisato infatti che:
il termine riabilitazione si riferisce alle strategie di intervento e alle tecnologie che aiutano le persone con disabilità acquisite a recuperare determinate abilità, mentre il termine abilitazione si riferisce alle strategie di intervento e alle tecnologie che aiutano le persone con disabilità di sviluppo a maturare per la prima volta abilità [Beukelman e Mirenda 2014, 27].
Spesso la pratica della lettura è invece evitata perché, in presenza di una disabilità complessa e/o di un disturbo della comunicazione, si ritiene che i testi non possano essere fruibili e che i bambini stessi non siano pronti per la lettura. In queste circostanze a livello comunicativo gli adulti sono portati a utilizzare un linguaggio meno interattivo di quello utilizzato con i coetanei, più strutturato e povero di {p. 157}contenuti, con domande chiuse e risposte già note, che di fatto ne limitano anche l’ampliamento e il potenziamento. L’assenza di libri adeguati ai bisogni di questi bambini, non accessibili su un piano fisico e comunicativo, nella grafica e nelle immagini, porta famiglie e personale educativo a non provare a percorrere la strada della lettura condivisa.
Negli ultimi anni invece sono stati molti gli interventi che permettono il diritto alla lettura, a partire dalla varietà dei testi disponibili, per arrivare agli spazi e alle modalità di avvicinamento e familiarizzazione con i testi e la pratica del leggere.
La disponibilità e la presenza di una molteplicità di libri (di cui una parte direttamente accessibili e fruibili in autonomia dai bambini/studenti e una parte dedicati esclusivamente alla lettura ad alta voce da parte dell’adulto) arricchiscono gli effetti della lettura e garantiscono la formazione a lungo termine di lettori forti e autonomi. In questo senso anche scegliere e allestire il setting è un atto di cura che dà importanza alla pratica della lettura. È sufficiente, se possibile, che sia predisposto uno spazio dedicato e riconoscibile, dove la disposizione dei giovani ascoltatori sia comoda e libera. È preferibile che l’ambiente adibito sia morbido e caldo, tenendo conto che i piccoli lettori devono trascorrere un tempo consistente in ascolto. D’altra parte, se non fosse possibile concretamente allestire un angolo/sala lettura, si può contribuire a rendere confortevole e significativa la disposizione all’ascolto anche spostando banchi e sedie, disponendosi in cerchio, stendendo qualche coperta o cuscino.
È inoltre possibile immaginare testi in cui si possano aggiungere elementi facilitanti che ne permettano la consultazione come feltrini, mollette, abbassa lingue oppure ipotizzare che il testo scritto possa essere tradotto in simboli, facendo riferimento all’ambito multidisciplinare della Comunicazione aumentativa alternativa (CAA). Nel primo caso l’editoria dei libri tattili è un riferimento molto interessante e da approfondire. I libri tattili illustrati sono testi ideati e realizzati per i bambini con deficit visivo che presentano illustrazioni in rilievo realizzate con materiali
{p. 158}e texture diversi, testo scritto sia in Braille sia a caratteri ingranditi [Piccardi 2011]. Nel secondo caso possiamo immaginare libri in simboli [Costantino 2011]: esistono albi illustrati modificati e tradotti oppure libri su misura, testi personalizzati che nascono a partire dai bisogni, interessi e dai funzionamenti dei più piccoli. In alcune situazioni si possono ipotizzare anche letture virtuali attraverso audio-storie, video-storie con la Lingua dei segni italiana (LIS) e con gli stessi simboli (CAA).