Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c2

L’interlegalità e la ragion giuridica del diritto contemporaneo

Notizie Autori
Gianluigi Palombella è professore di Filosofia del diritto, Scuola Superiore Sant’Anna.
Notizie Autori
Enrico Scoditti è consigliere della Corte di Cassazione.
Abstract
Il capitolo offre un quadro d’insieme specificamente teorico in merito al tema dell’interlegalità, con il fine di mostrare i modi con cui essa può fungere da strumento utile nei processi di attuazione amministrativa delle politiche pubbliche. Si affronterà anzitutto il percorso che a partire dall’esclusivismo del diritto monopolistico caratteristico dello Stato moderno ha condotto al sorgere del diritto pluralistico e, successivamente, interlegale a causa della coazione di molteplici soggetti, logiche e criteri che riguardano ambiti legislativi sovra, inter e trans-nazionali. L’analisi della particolare articolazione del diritto interlegale è condotta sulla base dell’osservazione delle interferenze e delle collaborazioni tra le forze normative, sulla base del loro reciproco riconoscimento e sui legami di collaborazione o di interferenza.

1. Il tempo della legalità al plurale

Legalità è un sostantivo al singolare per il giurista europeo formatosi nel tempo dominato dall’esperienza della statualità. Lo Stato moderno, quale precipitato del lungo processo di monopolizzazione della forza, ha condotto all’accentramento della legalità, dotandola di un vertice, dal quale si dipartono le articolazioni di un’unitaria entità [1]
. La norma giuridica diventa così, dopo il sovrapporsi medievale di una pluralità di ordinamenti, per definizione esclusiva. In pagine che hanno formato nel secolo scorso i giuristi italiani, Angelo Ermanno Cammarata scriveva che la giuridicità risiede nell’assunzione della norma come unica ed esclusiva regolatrice dell’attività pratica [2]
. Il diritto è necessariamente «unico» se deve esercitare la propria forza precettiva. Ma questa unicità è fatta dipendere dalla riduzione della capacità di produzione di norme ad una fonte sovrana e dalla definizione di «confini», atti a delimitare una sfera interna, separandola da ogni possibile «esterno». L’intera dimensione giuridico-normativa conosce una logica binaria, che consente di distinguere tra norme e fatti, annoverando le prime nell’area chiusa del sistema ordinamentale e i secondi fuori di esso. Pertanto, la complessa costruzione artificiale che allinea Stato-sovranità-ordinamento dispone di un potere essenziale e sottile, al di {p. 30}là del monopolio della coercizione, che non è solo quello di «normare» ma anche quello di eleggere ciò che vale e di relegare ciò che residua a mero fatto.
Per riprendere il linguaggio di una delle più influenti teorie della scienza sociale novecentesca, la teoria dei sistemi di Niklas Luhmann, nel momento in cui un senso specificatamente giuridico si differenzia dagli altri contesti dell’agire, tutto ciò che è all’esterno dei confini segnati da quel senso diventa un ambiente indeterminato di possibilità sottoposto alle operazioni selettive del diritto. Alla base di quest’ultimo vi è l’asimmetria che connota il rapporto fra un sistema e l’ambiente che lo circonda [3]
.
Nel tempo della legalità al singolare vive naturalmente anche la pluralità degli ordinamenti giuridici, ma essa non intacca l’esclusività moderna, si dispone lungo piani non assimilabili a quelli del mondo precedente, caratterizzato dalla co-vigenza, ossia dalla nota concorrenza medievale di ordinamenti.
La compatibilità fra l’esclusività del criterio giuridico ed il pluralismo viene instaurata, proprio come nelle tesi di Cammarata, attraverso la relatività della distinzione fra il diritto ed il fatto. C’è sempre una distinzione fra un elemento materiale e l’elemento formale corrispondente al valore giuridico, solo che quella distinzione è relativa e dipende dal punto di vista dell’osservatore: pertanto, ciò che è valore, se muta l’angolo di osservazione, può essere derubricato a fatto. Dal punto di vista dell’attore collocato entro un dato ordinamento giuridico, gli altri ordinamenti esistono, ma non quale valore giuridico (qualità riservata all’«interno»), bensì come fatto, o come ambiente, per riprendere il linguaggio di Luhmann. Ogni ordinamento può quindi diventare fatto/ambiente per l’altro ordinamento. Ciò che importa è che la distinzione, fra valore e fatto o fra sistema e ambiente, non venga mai meno, pena la fine della giuridicità come criterio esclusivo di valutazione.
La solitaria voce di Santi Romano, in Italia, manifestò l’inadeguatezza dell’intero, dogmatico, assetto della giuridi{p. 31}cità, ponendo in questione anche uno degli assiomi da cui quell’assetto dipendeva:
Quale, infatti, potrebbe essere il nesso necessario fra il diritto e lo Stato, per cui il primo non potrebbe altrimenti immaginarsi che come un prodotto del secondo? Non solo non si può dimostrare che questo nesso esista, ma si può dimostrare che non esiste. Infatti, mentre il concetto del diritto si determina perfettamente senza quello dello Stato, al contrario non è possibile definire lo Stato senza ricorrere al concetto di diritto [4]
.
Al di là dell’istituzionalismo che Santi Romano adottò per interpretare quella società plurale che il Novecento avrebbe consacrato, uno sguardo alla giuridicità del millennio medievale relativizza la costruzione «ontologicamente» statalistica del diritto. Presa sul serio, questa diversa visione del diritto, che ne promuove la ri-espansione oltre il vincolo concettuale dello Stato, mina alla base il dispositivo fondamentale che questo attivava: quello dell’esclusività, con il connesso potere di attribuzione di valore, l’elezione e la determinazione del discrimine tra fatti e norme. Da questo diverso angolo visuale, la giuridicità non decadrebbe né avrebbe fine se perdesse il carattere dell’esclusività.
La teoria del diritto, del resto, non dovrebbe poter ignorare lo stato delle cose.
Quest’ultimo, com’è noto, è oggi descritto alquanto diversamente da quello con cui si erano misurati molti grandi giuristi del Novecento. Su uno stesso livello di produzione giuridica convivono gli Stati nazionali, a competenza territoriale e vocazione universale (lo Stato quale ente «a fini generali»), i sistemi di amministrazione de-territorializzati ed a vocazione specialistica, regimi regionali o globali che esercitano poteri regolatori non sempre riducibili alla catena di controllo degli Stati (sul piano sostanziale o anche sul piano formale), gli ordinamenti sovranazionali su base regionale derivanti da parziali cessioni di sovranità da parte degli Stati nazionali (è il caso dell’Unione europea), gli ordinamenti {p. 32}puramente giurisdizionali che presidiano specialmente la violazione dei diritti umani, per rammentare in breve un vasto elenco. Sovente essi si pongono a un identico livello di produzione giuridica, ossia manifestano una co-vigenza di ordinamenti, concorrendo in relazione ad un medesimo contesto fattuale a definirne la disciplina. Da un lato non si dà gerarchia che stabilisca un ordine, e dall’altro le autorità di produzione normativa, che siano di origine pubblica, privata o ibrida, restano autoreferenziali (self-observing systems, self-contained regimes [5]
), operano in prospettive non disegnate per coordinarsi tra loro in direzione di un qualche bene comune, cui debbano subordinarsi. Lo «stato delle cose» suggerisce, tra l’altro, che la congerie di autorità normative insiste su spazi funzionali integrando ciascuna la visione dell’altra, occupando i suoi angoli ciechi, senza che vi sia un preordinato effetto complessivo, né che divergenze e conflitti siano effettivamente risolubili tramite assunti d’ordine formale o gerarchico. Per questa ragione, l’eterarchia [6]
dell’insieme è apparsa la meno controversa caratteristica di un dis-ordine orizzontale [7]
per altri versi molto problematico. Ne deriva, tra l’altro, che la costruzione teorica più plausibile della stessa natura dell’autorità, sul piano giuridico, appare sempre più avvicinarsi a quella di una «relative authority» [8]
che sostituisce miti di «esclusività» precedenti.{p. 33}
Legalità diventa legalities, un sostantivo al plurale (come consente la lingua inglese) [9]
. Il confronto tra legalità molteplici, di diverso livello, di diversa natura, estensione e dislocazione, portatrici di meri imperativi di efficienza regolativa o espressive delle comunità sociali realmente esistenti, resta la conseguenza inevitabile di interconnessioni formali o sostanziali tra gli oggetti stessi di regimi o ordinamenti diversi (diritti umani, sicurezza, commercio, ambiente, e via seguendo), inevitabili al punto da entrare in contrasto con la presunzione di autoreferenziale esclusività che ciascuna sfera normativa mantiene. Data l’inevitabile complessità, molti dei problemi giuridici da affrontare sono solo fittiziamente questioni isolate relative a un singolo settore regolativo, e al contrario sono più spesso inquadrabili da prospettive normative multiple ispirate da logiche e finalità interferenti. Come ha scritto Yuval Shany,
in complex social systems composed of multiple regulatory frameworks, one set of «legalities» must be cognizant of other sets of «legalities», notwithstanding the stance taken by any specific legal order toward the way in which specific normative conflicts should be reconciled (e.g., monism, dualism, or pluralism). This means that some form of cross-regulation – inter-legality – is essential, even if at a «second-order» level; that is, between the institutions interpreting and applying the competing regulatory frameworks [10]
.
Le interazioni, filtrate attraverso le pronunce delle Corti, nazionali o sovranazionali, ci restituiscono una realtà giuri
{p. 34}dica che appare mettere in relazione ciò che è nato per non esserlo, ossia impone sia pure incrementalmente interferenze non previste negli statuti normativi di quei self-observing systems identificati nelle pionieristiche letture sistemiche di Gunther Teubner.
Note
[1] Vale rinviare alla c.d. «giuspubblicistica tedesca» e tra i suoi maestri, a C.F. von Gerber, Diritto pubblico (1913), Milano, Giuffrè, 1971; O. Mayer, Deutsche Verwaltungsrecht, Leipzig, Duncker & Humblot, 1895. Significativa silloge in G. del Vecchio, On the Statuality of Law, in «Journal of Comparative Legislation and International Law», 19, 1937, n. 1, pp. 8 ss.
[2] A.E. Cammarata, Formalismo e sapere giuridico, Milano, Giuffrè, 1963, passim.
[3] All’interno di una vastissima letteratura, si vedano almeno N. Luhmann, Sociologia del diritto, Roma-Bari, Laterza, 1997 e Id., La differenziazione del diritto, Bologna, Il Mulino, 1990.
[4] S. Romano, L’ordinamento giuridico (1918), Firenze, Sansoni, 19462, p. 111.
[5] Per es. cfr. G. Teubner e A. Fischer-Lescano, Regime-Collisions: The Vain Search for Legal Unity in the Fragmentation of Global Law, in «Michigan Journal of International Law», 25, 2004, pp. 999 ss.
[6] Il campo di applicazione è stato soprattutto quello dell’Unione europea; si veda oggi per esempio, M. Fichera, Solidarity, Heterarchy, and Political Morality, in «Jus Cogens», 9, 2020, pp. 1 ss.
[7] N. Walker, Beyond boundary disputes and basic grids: Mapping the global disorder of normative orders, in «International Journal of Constitutional Law», 6, luglio-ottobre 2008, n. 3-4, pp. 373 ss.
[8] Per quanto sotto significati non sempre tra loro coincidenti, la nozione è alquanto ricorrente. Si veda per esempio R. Cotterell, Does Global Legal Pluralism need a Concept of Law?, in U. Baxi, C. McCrudden e A. Paliwala (a cura di), Law’s Ethical, Global and theoretical Contexts. Essays in Honor of William Twining, Cambridge, Cambridge University Press, 2015, p. 310. Vi ha dedicato il suo volume N. Roughan, Authorities: Conflicts, Cooperation, and Transnational Legal Theory, Oxford, Oxford University Press, 2013, che scrive: «The relative authority theory argues that, when there are multiple prima facie legitimate authorities in interacting or overlapping domains, and there is no outweighing reason to have just one singular authority, then those prima facie legitimate authorities can have only relative authority and must coordinate or cooperate or tolerate one another in order to be legitimate for their subjects. In these circumstances, law can still claim to possess legitimate authority; indeed, claiming legitimate authority remains an important part of law’s having authority».
[9] G. Palombella, È possibile una legalità globale? Il «Rule of law» e la «governance» del mondo, Bologna, Il Mulino, 2012, cap. III: Una mappa del globo: Legalità al plurale, pp. 107 ss.; E. Scoditti, Legalità al plurale, in «Quaderni costituzionali», 2013, pp. 1031 ss.
[10] Y. Shany, International Courts as Interlegality Hubs, in J. Klabbers e G. Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, Cambridge, Cambridge University Press, 2019, pp. 319 ss.