Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c12

Ipotesi sulla interlegalità amministrativa

Notizie Autori
Edoardo Chiti è professore di Diritto amministrativo, Università degli Studi della Tuscia e Scuola Superiore Sant’Anna.
Abstract
Il metodo interlegale viene qui descritto dal punto di vista della controversia giurisdizionale vera e propria, e quindi per come essa si presenta sia come situazione che come criterio regolatorio nel processo di elaborazione e di attuazione delle politiche pubbliche. Ciò che qui si vuole mostrare è anzitutto la variabilità di tali situazioni interlegali in base al tipo di rapporto previsto dagli ordinamenti, che pertanto devono essere comprese nella loro dinamica evolutiva. Solo così possono rappresentare un criterio capace di regolare l’insieme dei principi e regole con cui le amministrazioni di un ordinamento danno attuazione alle politiche pubbliche in funzione del pieno riconoscimento della complessità delle situazioni di interlegalità.

1. Oltre la decisione: l’interlegalità nella elaborazione e nell’attuazione delle politiche pubbliche

Nella parte precedente di questo volume, l’interlegalità è stata presentata, analizzata e ricostruita come una situazione che si presenta rispetto a una fattispecie concreta della quale è investito un giudice e come un criterio che lo stesso giudice può e deve utilizzare per la sua decisione.
In questa prospettiva, il punto a partire dal quale l’interlegalità può essere osservata e riconosciuta è quello specifico della controversia giurisdizionale, della particolare vicenda che viene portata di fronte al giudice. Se quest’ultimo è sempre parte di un ordinamento giuridico (sia esso uno Stato, un ordinamento sovranazionale come quello dell’Unione europea, un regime internazionale o globale), non sono esclusivamente proprie di quell’ordinamento le norme potenzialmente rilevanti per la soluzione della controversia. Poiché gli ordinamenti giuridici, nel perseguimento dei propri obiettivi, inevitabilmente si sovrappongono e regolano al di là dei propri confini, una pluralità di norme prodotte da ordinamenti diversi possono essere in principio rilevanti per la decisione del caso: utili, cioè, tanto alle parti per presentare le proprie ragioni nella controversia, quanto al giudice per costruire il ragionamento giuridico attraverso il quale essa sarà risolta. Questo diritto composito rappresenta il materiale giuridico sul quale si fonda la situazione della interlegalità, esemplificata non solo dalla sentenza Kadi della Corte di giustizia, che ne rappresenta quasi la manifestazione prototipica, ma dall’ampia serie di vicende giurisdizionali ricordate nei capitoli precedenti.
L’interlegalità, poi, è il criterio attraverso il quale una simile situazione può e deve essere risolta. Essa raccomanda {p. 334}– o meglio prescrive – di considerare il diritto composito potenzialmente rilevante per la soluzione della controversia giurisdizionale, a prescindere dalle dottrine formali che governano i rapporti tra fonti giuridiche di ordinamenti diversi. È a partire da quel diritto composito, risultante dall’incontro e dalla sovrapposizione di più legalità, che il giudice potrà riconoscere la molteplicità delle prospettive normative in gioco, valutare le loro interferenze e definire i possibili punti di equilibrio tra le loro logiche e finalità [1]
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Se è indubbio che l’interlegalità opera all’interno della controversia giurisdizionale, peraltro, è senz’altro possibile allargare lo sguardo e riconoscere che essa si manifesta anche in altri momenti del funzionamento dell’ordinamento giuridico. In effetti, l’interlegalità emerge, tanto come situazione quanto come criterio per la sua gestione, non solo nel caso che si presenta all’attenzione del giudice, ma anche nel processo di elaborazione delle politiche pubbliche da parte delle istituzioni competenti nei vari ordinamenti politici e nel successivo processo di attuazione amministrativa.
Quanto alla fase ascendente del ciclo regolatorio, il processo di elaborazione delle politiche pubbliche può dirsi interlegale perché la produzione delle normative attraverso le quali tali politiche si svolgono è condizionata dall’esistenza di normative poste da altri ordinamenti in risposta a problemi equivalenti. Non diversamente da quanto accade nella controversia giurisdizionale, anche nell’attività di elaborazione delle politiche pubbliche sono in principio rilevanti norme poste da ordinamenti diversi da quello nel quale opera il {p. 335}rule-maker. Se gli ordinamenti giuridici, come osservato sin dal capitolo di apertura di questo volume [2]
, sono funzionalmente interconnessi e disciplinano settori non comprimibili all’interno dei loro confini, nessuna istituzione politica o di regolazione può realisticamente svolgere le proprie funzioni senza tenere in considerazione le normative degli altri. Questa circostanza è confermata, del resto, dalla proliferazione della miriade di regimi internazionali e globali [3]
che promuovono, in settori che spaziano dalla regolazione economica alla sicurezza, dalla finanza privata al cambiamento climatico, il reciproco riconoscimento delle varie legalità e il loro coordinamento: così, ad esempio, i Paesi membri dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC) possono procedere, nel quadro dell’Accordo generale sul commercio di servizi (GATS), al reciproco riconoscimento di misure regolatorie e decisioni; e sono incoraggiati dall’Accordo sull’applicazione delle misure sanitarie e fitosanitarie a rispettare, nell’adozione delle proprie normative, gli standard internazionali esistenti, tra cui quelli elaborati dalla World Organisation for Animal Health, standard in materia di tutela della vita e della salute degli animali.
Rispetto a queste situazioni di interlegalità, poi, ci si può chiedere come operi l’interlegalità in quanto criterio prescrittivo: se e quando, cioè, i regolatori siano chiamati a {p. 336}farsi carico delle normative di altri ordinamenti, delle loro logiche e delle loro finalità per l’elaborazione delle proprie politiche pubbliche; e cosa chieda l’interlegalità quando l’esigenza di riconoscimento e valorizzazione della pluralità giuridica si presenta non nel momento della controversia giurisdizionale ma in quello delle scelte che definiscono e formano una politica settoriale. Se la questione richiede una trattazione che esula dalle ambizioni di questo scritto, si può comunque registrare, sul piano empirico, che i modi concreti nei quali le situazioni di interlegalità vengono di volta in volta gestite, per quanto molto diversi tra loro, sembrano convergere intorno a principi volti a regolare i rapporti tra fonti di ordinamenti diversi. Si tratta di principi settoriali, posti dal rule-maker nella propria attività di elaborazione di singole politiche e funzionali a definire la rilevanza all’interno dell’ordinamento di norme poste da fonti esterne all’ordinamento stesso, oltre che i criteri per la soluzione di eventuali conflitti tra norme interne ed esterne. Nel mettere a punto una propria politica pubblica della sicurezza alimentare, ad esempio, l’Unione europea ha adottato una complessa disciplina dei controlli relativi all’ingresso di prodotti alimentari provenienti da Paesi terzi, che mira non solo a realizzare gli obiettivi propri della stessa Unione, ma anche a governare i rapporti con le discipline prodotte da altri ordinamenti giuridici nazionali: è a questo secondo obiettivo che risponde il principio di equivalenza fissato dal legislatore europeo, secondo il quale alimenti e mangimi provenienti da Paesi terzi devono rispettare le stesse prescrizioni che si applicano a merci dell’Unione o condizioni riconosciute come equivalenti ovvero regolate da un accordo specifico con il Paese esportatore [4]
. Quanto {p. 337}questa ed altre tecniche di gestione delle situazioni di interlegalità siano coerenti con l’interlegalità in quanto criterio prescrittivo o non riflettano piuttosto dei criteri essenzialmente formali, relativi ai caratteri delle misure regolatorie, resta un problema aperto.
Un discorso non diverso si può fare per la fase discendente del ciclo regolatorio. Anche il processo di attuazione delle politiche pubbliche, infatti, può dirsi interlegale. Sebbene tale processo si realizzi all’interno di un ordinamento giuridico e sia disciplinato dalle norme di quell’ordinamento, sono potenzialmente rilevanti per il suo svolgimento anche norme e pratiche amministrative di altri ordinamenti, statali o ultrastatali. Le amministrazioni domestiche, in altri termini, si trovano comunemente a gestire una varietà di norme, procedurali e sostanziali, prodotte da ordinamenti differenti: è quanto avviene, ad esempio, nel caso delle autorità indipendenti italiane, chiamate a dare esecuzione, nei loro rispettivi ambiti di azione (dai trasporti all’energia elettrica e al gas naturale, dalla concorrenza alle comunicazioni) non solo a discipline settoriali statali, ma anche a principi e regole dell’ordinamento dell’Unione europea e di vari regimi globali: ad esempio, nel nostro ordinamento, il controllo sui mercati finanziari è svolto da tre autorità (la Banca d’Italia, la Commissione nazionale per le società e la borsa-CONSOB e l’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni-IVASS) che danno attuazione a tre discipline nazionali tra loro complementari, a una normativa dell’Unione europea sempre più articolata e alle misure prodotte da sistemi globali quali l’International Organization of Securities Commissions (IOSCO) e l’International Association of Insurance Supervisors (IAIS). Le amministrazioni domestiche, inoltre, sono continuamente esposte alle pratiche amministrative di altri ordinamenti, che non possono ignorare se vogliono dare piena attuazione alle normative interne. Ciò è indirettamente confermato dalla moltiplicazione dei nessi procedurali e organizzativi tra
{p. 338}amministrazioni di ordinamenti diversi, funzionali a mettere in relazione tra loro pratiche amministrative diverse. Ad esempio, la CONSOB e lo statunitense Public Company Accounting Oversight Board hanno concluso un accordo di cooperazione amministrativa che prevede, tra le altre cose, la possibilità di svolgere ispezioni congiunte su violazioni del diritto italiano da parte di società statunitensi e del diritto statunitense da parte di società italiane: in questo modo, entrambe le autorità si impegnano non solo a una reciproca assistenza, ma anche ad operare, ciascuna nell’ambito della propria giurisdizione, attraverso meccanismi che istituzionalizzano il confronto delle rispettive pratiche amministrative e la individuazione di strumenti e metodi comuni [5]
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Note
[1] Si veda J. Klabbers e G. Palombella, Introduction. Situating Interlegality, in Iid. (a cura di), The Challenge of Inter-legality, Cambridge, Cambridge University Press, 2019, pp. 1 ss., dove si afferma, tra l’altro, che «[i]t is the inter-legal sense of complexity that requires the legal decision-maker to account for as many normativities as those involved in the case and to draw the “just” solution from a composite perspective that is not merely one-sided. And if that is so, then “forum-shopping” becomes a less useful activity for the forum-shopper. Of course, all of this implies that the focus rests on individual cases, and therefore places judges (and other decision-makers exercising a quasi-judicial capacity) at the forefront» (ibidem, p. 3).
[2] G. Palombella e E. Scoditti, L’interlegalità e la ragion giuridica del diritto contemporaneo, in questo volume, dove si osserva, ad esempio, che «[il] confronto tra legalità molteplici, di diverso livello, di diversa natura, estensione e dislocazione, portatrici di meri imperativi di efficienza regolativa o espressive delle comunità sociali realmente esistenti, resta la conseguenza inevitabile di interconnessioni formali o sostanziali tra gli oggetti stessi di regimi o ordinamenti diversi (diritti umani, sicurezza, commercio, ambiente, e via seguendo), inevitabili al punto da entrare in contrasto con la presunzione di autoreferenziale esclusività che ciascuna sfera normativa mantiene», p. 33.
[3] I caratteri di tali regimi internazionali e globali sono presentati e discussi in una ricca letteratura, interna soprattutto agli studi di diritto amministrativo globale. Si veda, per un efficace quadro di sintesi, capace di restituire la prospettiva complessiva del processo in corso, S. Battini, The proliferation of global regulatory regimes, in S. Cassese (a cura di), Research Handbook on Global Administrative Law, Cheltenham, Elgar, 2016, pp. 45 ss.
[4] Regolamento n. 178/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare, GUUE l. 31 2002, art. 11; si veda inoltre il più recente Regolamento n. 625/2017 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2017, relativo ai controlli ufficiali e alle altre attività ufficiali effettuati per garantire l’applicazione della legislazione sugli alimenti e sui mangimi, delle norme sulla salute e sul benessere degli animali, sulla sanità delle piante nonché sui prodotti fitosanitari, GUUE l. 95 2017, in vigore dal 14 dicembre 2019.
[5] Questa cooperazione è stata formalizzata nello Statement of Protocol Between the Public Company Accounting Oversight Board of the United States and the Commissione nazionale per le società e la borsa, siglato nel 2016 e disponibile alla pagina https://pcaob-assets.azureedge.net/pcaob-dev/docs/default-source/international/documents/cooperative-agreement-italy.pdf?sfvrsn=7d2d191f_0. Accordi dello stesso tipo sono stati conclusi tra il PCAOB e le autorità di controllo sulle società e la borsa di altri Stati europei, tra cui, ad esempio, Finlandia e Austria.