Edoardo Chiti, Alberto di Martino, Gianluigi Palombella (a cura di)
L'era dell'interlegalità
DOI: 10.1401/9788815370334/c10

Il conflitto tra norma incriminatrice interna e norma extra-penale straniera o sovranazionale. Prove di ragionamento interlegale per il giudice penale

Notizie Autori
Sofia Milone è dottoressa di ricerca in «Law», Scuola Superiore Sant’Anna, e magistrato ordinario, Corte di appello di Palermo.
Abstract
Ci si focalizza qui sulle relazioni che abitualmente intercorrono tra la legalità in ambito penale e gli altri regimi normativi che possono eventualmente essere responsabili di conflitti, quali norme di natura extra-penale o provenienti da altre fonti del diritto interno o sovranazionale. Ciò che in questo capitolo si tenta di analizzare mediante l’utilizzo di concreti esempi di scontri giuridici e mediante l’articolo 51 del Codice penale è l’insieme dei modi con cui a tale norma esterna viene attribuita rilevanza e con cui viene valutata la sua preminenza da parte del giudice penale che deve decidere in merito ad un’eventuale duplice qualificazione sul giudizio di responsabilità penale. A tal proposito si evidenzia, infine, le differenze tra un approccio interlegale e uno basato sulle intersezioni normative.

1. Introduzione

Per quanto caratterizzata da principi suoi propri a garanzia della funzione primaria di regolamentazione del potere coercitivo dello Stato, la legalità penale non è un sistema impermeabile agli altri regimi normativi: alla qualificazione del comportamento ricadente sotto la fattispecie penale possono concorrere anche norme extrapenali, di diritto interno o sovranazionale, talvolta anche straniero, che tutelano un interesse concorrente o confliggente con quello sotteso all’incriminazione.
L’intersezione normativa impone al giudice di risolvere due fondamentali questioni: stabilire se il caso da decidere sia regolato tanto dalla fattispecie incriminatrice di diritto interno quanto dalla norma «estranea» – straniera o sovranazionale –; individuare i criteri di soluzione dell’eventuale conflitto. La soluzione della prima questione passa per la verifica dell’efficacia normativa della norma «estranea» rispetto al caso; la risposta alla seconda esige la previa qualificazione del tipo di conflitto e l’identificazione dello stadio del giudizio di responsabilità penale – la tipicità, l’antigiuridicità o la colpevolezza – sulla cui valutazione il conflitto incide.
In questo scritto tali questioni sono affrontate secondo il metodo dell’interlegalità, nella sua accezione prescrittiva di metodo che richiede, a fronte di casi regolati da plurime istanze normative, l’applicazione di un diritto composito. Nella prima parte, per rispondere alla domanda preliminare «quando una norma “estranea” può dirsi rilevante», si proverà ad individuare le ipotesi di rilevanza della norma {p. 240}prodotta in un altro ordinamento rispetto al fatto sussunto nella norma penale interna proponendo una tassonomia dei conflitti che il giudice è chiamato a risolvere.
Come si vedrà, in certi casi la norma «estranea» gode di efficacia normativa sulla base delle norme di coordinamento tra gli ordinamenti e il giudice è tenuto a prenderla in considerazione ai fini dell’applicazione del diritto interno – ad esempio, nel caso delle norme sovranazionali vincolanti ai sensi degli artt. 10, 11 e 117 Cost. In altre ipotesi un simile coordinamento normativo è assente – come avviene generalmente con riguardo alla norma di diritto straniero – e la decisione giudiziale rimane normalmente indifferente al diritto prodotto negli altri ordinamenti. La prospettiva dell’interlegalità induce però a prendere in considerazione l’efficacia normativa della norma straniera anche in talune di queste ipotesi, qualora il fatto presenti degli elementi di estraneità rispetto all’ordinamento interno.
In un secondo momento ci si concentrerà su una delle possibili intersezioni tra la norma «estranea» all’ordinamento e la norma penale interna: il conflitto tra la norma sovranazionale attributiva di un diritto o di un dovere e la fattispecie incriminatrice. Tale conflitto è normalmente gestito attraverso l’applicazione della scriminante di cui all’art. 51 c.p. La previsione da parte dell’art. 51 c.p. delle cause di giustificazione dell’esercizio del diritto e dell’adempimento del dovere imposto da una norma giuridica è paradigmatica dell’esigenza di «apertura» del diritto penale ad altri interessi rilevanti per l’ordinamento: il giudice è chiamato ad accertare se il comportamento umano, pur penalmente tipico, sia espressione di un diritto o di un dovere riconosciuti da una norma extrapenale prevalente sulla norma incriminatrice.
Con la crescente connessione e influenza reciproca tra gli ordinamenti si è posto sempre di più il problema dell’idoneità delle norme sovranazionali a fondare una situazione giuridica di diritto o di dovere concorrente con quella tutelata dalla norma incriminatrice interna ai sensi dell’art. 51 c.p. e ci si è interrogati sulla soluzione dei re{p. 241}lativi conflitti [1]
. La riflessione su tale questione costituisce quindi un’efficace «palestra» per il ragionamento interlegale.
Come si dimostrerà, l’art. 51 c.p. non può operare come passe-partout per l’ingresso nel giudizio penale di norme sovranazionali sul diritto o sul dovere. La disposizione, da un lato, non pare trovare applicazione a fronte di conflitti normativi «in astratto», ossia quei conflitti che postulano l’incompatibilità logico-formale tra norme e l’applicabilità di una soltanto di esse al caso concreto. Dall’altro, postula determinati requisiti in capo alla norma sul diritto o sul dovere non sempre facilmente rilevabili rispetto alla norma sovranazionale: non solo occorre che sia dotata di efficacia normativa rispetto all’ordinamento, ma anche che sia provvista di effetto diretto nel senso di attribuire una situazione giuridica soggettiva di diritto o di dovere all’individuo; e che sia determinata in modo da fornire un parametro normativo sufficientemente chiaro e preciso per poter stabilire se il fatto è stato commesso nell’esercizio di un diritto o nell’adempimento di un dovere.
Nell’ultima parte dello scritto le riflessioni saranno calate in un contesto divenuto ormai familiare al giudice nazionale: quello del conflitto tra le norme internazionali sul dovere di soccorso in mare dei naufraghi e le fattispecie incriminatrici interne suscettibili di essere integrate dalla condotta del comandante della nave che intervenga in soccorso e faccia ingresso nelle acque territoriali o nei porti nazionali.
Prima di intraprendere l’analisi è opportuno un avvertimento: una riflessione attinente a problemi di interlegalità in materia penale non può certo prescindere dalla considerazione dell’irriducibile significato di garanzia della legalità {p. 242}penale per l’individuo [2]
. In questo scritto tale questione non sarà direttamente oggetto di esame dal momento che nelle ipotesi di intersezione di legalità esaminate la legalità «estranea» è extrapenale ed opera in bonam partem [3]
.

2. Fattispecie penale e rilevanza delle norme straniere e sovranazionali

La rilevanza di norme extrapenali prodotte in altri ordinamenti e l’applicazione delle stesse nel giudizio di responsabilità penale è questione di non facile soluzione. Il giudice è chiamato innanzitutto ad affrontare il nodo dell’efficacia normativa nell’ordinamento interno della norma «estranea» verificando la sussistenza di norme di rinvio o coordinamento. In mancanza di queste ultime la norma «estranea» parrebbe relegata alla dimensione di mero fatto rispetto all’ordinamento, insuscettibile di entrare in conflitto con la norma incriminatrice interna [4]
.{p. 243}
Il problema dell’efficacia normativa è più facilmente risolvibile con riguardo alle norme sovranazionali che con riferimento alle norme straniere: gli artt. 10, 11 e 117 Cost. vincolano il nostro ordinamento all’osservanza, rispettivamente, del diritto internazionale generale, del diritto eurounitario e del diritto internazionale pattizio. A fronte di norme sovranazionali vincolanti in astratto, il giudice è tenuto comunque ad accertarne la rilevanza in concreto rispetto al fatto; quindi, ad identificare l’eventuale contrasto con la fattispecie incriminatrice e a «conciliarlo» con le modalità più indicate a seconda della situazione. Potrebbe riscontrare infatti un conflitto normativo «in astratto», che impedisce di applicare la fattispecie incriminatrice al caso concreto – ad esempio perché illegittima – ed esige di essere risolto attraverso l’interpretazione conforme della fattispecie, la disapplicazione o la proposizione di una questione di legittimità costituzionale. Oppure può rinvenire un conflitto normativo «in concreto» che gli richiede, a fronte dell’astratta possibilità di applicare entrambe le norme al caso concreto, di valutare quale delle due debba prevalere – perché ad esempio esprime un valore preminente in quella data situazione.
Con riguardo alle norme straniere la questione che il giudice deve preliminarmente affrontare, non risolvibile una volta per tutte, è la seguente: pur essendo prive di efficacia normativa generale nell’ordinamento, possono in taluni casi essere rilevanti per la qualificazione del fatto sussunto sotto la fattispecie incriminatrice di diritto interno?
Può essere utile compiere un tentativo di sistematizzazione delle ipotesi di rilevanza della norma straniera distinguendo quelle in cui l’osservanza della stessa pare rilevare solo come fatto che condiziona il processo motivazionale interno al soggetto, suscettibile di influire sul giudizio di colpevolezza o sulla personalizzazione della pena, da quelle in cui la stessa sembra concorrere con le norme interne a qualificare il fatto dando origine ad una vera e propria
{p. 244}situazione interlegale sul piano del giudizio di tipicità o di antigiuridicità.
Note
[1] Il tema è stato affrontato in passato da F. Viganò, L’influenza delle norme sovranazionali nel giudizio di antigiuridicità del fatto tipico, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 2009, n. 3, pp. 1062 ss. e da F. Palazzo, Costituzione e scriminanti, in «Riv. it. dir. e proc. pen.», 2009, n. 2, pp. 1033 ss. Tra le trattazioni recenti, F. Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, Torino, Giappichelli, 2018, in particolare pp. 392-409 che si concentra sulla compatibilità della legalità delle norme sovranazionali con le garanzie qualitative di prevedibilità e controllabilità delle fonti scriminanti.
[2] Per una riflessione sul significato del nullum crimen, nulla poena sine lege nei contesti di interlegalità, A. di Martino, Interlegality and Criminal Law, in J. Klabbers e G. Palombella (a cura di), The Challenge of Inter-legality, Cambridge, Cambridge University Press, 2019, pp. 250 ss.
[3] Deve sottolinearsi peraltro che le norme sul diritto e sul dovere, per quanto originate in un settore diverso da quello penale e destinate a produrre un effetto in bonam partem, interagiscono con la legalità penale contribuendo a delineare il confine tra ciò che è illecito e sanzionato penalmente e ciò che, invece, alla luce di una valutazione globale dell’ordinamento giuridico, è giuridicamente lecito. Per poter fornire un parametro normativo di qualificazione alternativo a quello costituito dalla fattispecie incriminatrice, pertanto, esse devono essere formulate in modo preciso e determinato in modo che la giustificazione risulti controllabile e prevedibile. Sul tema già F. Bricola, Teoria generale del reato, in Nov. Dig. It., XIX, Torino, 1973, pp. 24 ss.; A. Pagliaro, Fatto, condotta illecita e responsabilità obiettiva nella teoria del reato, in «Riv. it. dir. proc. pen.», 1985, n. 1, pp. 631 ss. Il dibattito in dottrina ha riguardato anche l’eventuale sussistenza di un vincolo di fonte idonee del diritto o del dovere scriminante; su di esso recentemente Consulich, Lo statuto penale delle scriminanti, cit., pp. 421 ss.
[4] F. Mantovani, Esercizio del diritto (dir. pen.), in Enc. Dir., XV, Milano, Giuffrè, 1966, pp. 627 ss., secondo il quale «un ordinamento può entrare in rapporti con altri solo nel senso che mediante norme di rinvio può fare propri i contenuti normativi di questi».